L'intervista

L'ex ministro della Scuola, Berlinguer:
è vero al Sud si cerca la raccomandazione.

L'ex ministro sul gap formativo: «Un tempo i genitori pretendevano
il massimo del rendimento dai propri figli, oggi non è più così»

 Rosanna Lampugnani  Il Corriere del Mezzogiorno del 16.9.2008

NAPOLI — Luigi Berlinguer, ex ministro alla Pubblica istruzione, oggi presiede il Comitato per lo sviluppo della cultura scientifica. Un suo articolo, comparso sull'Unità del 29 agosto, denunciava i deficit della scuola nel Mezzogiorno ed è stato ripreso da Ernesto Galli della Loggia nell'editoriale pubblicato domenica scorsa dal Corriere della sera.

Professor Berlinguer, Ernesto Galli della Loggia sostiene che la società meridionale è interessata solo al buon voto, nient'affatto all'apprendimento. In base alla sua esperienza di ministro della Pubblica istruzione crede che sia davvero così? Condivide questa pesante analisi?

«Sono sostanzialmente d'accordo con Galli della Loggia, che ringrazio per le parole spese per il mio articolo, nonostante le divergenze che spesso abbiamo avuto nel passato. Nel Sud è più diffuso il fenomeno del genitore sindacalista del figlio. Un tempo padri e madri pretendevano il massimo del rendimento, oggi non è più così, soprattutto in un territorio figlio della raccomandazione, che è spesso anticamera delle mafie. Questo grave problema possono risolverlo gli stessi genitori, partecipando alla gestione scolastica e contribuendo a monitorare permanentemente l'educazione dei propri figli».


Nel suo articolo lei affrontava i problemi della scuola in tutti i suoi aspetti. Della Loggia ha sottolineato quello sulla scarsa qualità dell'insegnamento al sud. Se è vero che la scuola settentrionale è infarcita di insegnanti meridionali, vuol dire che questi diventano bravi quando vanno al nord e restano asini se insegnano al sud?

«La ragione della drammatica differenza risiede nei dati strutturali, di gestione della scuola e di management di contesto. Oggi il rapporto scuola-territorio è fondamentale. C'è interscambio tra la gestione della scuola e le iniziative sul territorio: penso a ciò che fanno gli enti locali, alle biblioteche. Un docente che operi in un deserto culturale dove può aggiornarsi?»


Una docente di liceo che ha lavorato a Catania, a Firenze e oggi è a Rovereto racconta che non c'è differenza di contesto se un ragazzo non riesce a fare una divisione senza utilizzare la calcolatrice. Così come se un ragazzo non conosce l'ortografia a Napoli o a Torino non dipende dalle offerte culturali presenti sul territorio. Non è forse questione di curricula, non è il momento di rivederli?

«Nella scuola italiana tutta ci sono due grandi problemi, di metodo e di contenuto. Le materie scientifiche non si possono insegnare su carta come la grammatica latina, hanno bisogno della teoria e della sperimentazione. Il nostro Comitato ha rilevato che si usano poco i laboratori, ma di meno al sud, e non a caso si registra un deficit maggiore nella preparazione degli studenti meridionali, come dimostra anche la rilevazione dell'Ocse. Stesso discorso va fatto per le materie letterarie, basate ancora sulla lezione ex catedra, mentre contemporaneamente l'arte e la musica non vengono considerate nemmeno cultura. Mancano gli stimoli e questo fa sì che non solo le scienze, ma anche la grammatica e l'ortografia siano considerate solo "purghe" inflitte agli studenti. Io sono convinto che alle regole formali, qualsiasi esse siano, ci si dovrebbe arrivare coinvolgendo i ragazzi, suscitando interesse».


La valutazione del rendimento scolastico non sarebbe più oggettiva con le commissioni esaminatrici esterne? Quando il ministero inviava i docenti veneti in Sicilia, i pugliesi in Piemonte non funzionavano meglio gli esami di maturità?

«Il nostro sistema basato sugli esami di maturità è una macchina infernale da abolire - anche se gradualmente. Negli altri Paesi utilizzano test, o sistemi di valutazione centralizzati. In Gran Bretagna, per esempio, le scuole sono affidate ad enti locali, ma all'esame finale ci pensa una commissione nazionale. Questo potrebbe essere una strada percorribile. Oggi chi è valutato 100 al sud non sempre registra lo steso tipo di valutazione al nord, perchè nel Mezzogiorno si giudica con manica larga, perché nelle valutazioni interagiscono influenze negative di contesto. Il Mezzogiorno è un problema, perché è un mondo di deregulation, in cui alcuni riescono a resistere, ma altri no. Ma viene penalizzato anche dalla minore rilevanza della scuola dell'infanzia, che aiuta a correggere le disuguaglianze sociali. Al nord quasi tutti i bambini di quella fascia di età frequentano queste strutture, in buona parte affidate ai Comuni. Non è un caso che le materne di Reggio Emilia e Scandicci siano finite sulle copertine di Time. E anche le scuole cattoliche al nord hanno fatto molti passi in avanti».
 

C'è chi sostiene che anche per i docenti è arrivato il momento di essere in qualche modo giudicati. Lei che ne pensa?

«Io passo come il ministro che ha introdotto la valutazione dei docenti. Tutti i mestieri sono giudicati e in tutti i mestieri c'è progressione di carriera, tranne che nell'insegnamento, dove introdurrei tre livelli di valutazione: autovalutazione continua delle scuole, basata sul rendimento dei ragazzi; valutazione esterna anche attraverso il rendimento degli studenti nei gradi successivi d'istruzione. In proposito, si usi l'ente di valutazione da me creato e poi riformato. Infine gli insegnanti potrebbero sottoporsi individualmente, anche per la progressione della propria carriera, al giudizio di una commissione di tecnici di livello superiore».


Non ci vuole anche per i ragazzi maggiore severità di giudizio? Può bastare il recupero dei debiti scolastici così come oggi utilizzato?

«Chi non sa non passa: di questo sono convinto. Ma aggiungo anche che il recupero a fine anno scolastico serve poco, non possono bastare quindici giorni di preparazione a colmare lacune accumulatesi in un anno. Il problema è come conciliare qualità e giustizia: bisogna sostenere talento e merito e contemporaneamente aiutare chi è in difficoltà, se vogliamo una scuola per tutti, come dovrebbe essere. Comunque dobbiamo costruire una scuola che coinvolga, che interessi i ragazzi, che sia per loro una casa, non estranea».