Come dare risorse ai migliori. di Daniele Checchi e Tullio Jappelli, La Voce, 4.9.2008 Dalla premessa condivisibile che l'università italiana disperde risorse preziose e le utilizza in modo inefficiente, avrebbe dovuto seguire un piano per stimolare l'impegno dei docenti e istituire incentivi adeguati. Invece, ancora una volta si è deciso di distribuire i tagli in modo uniforme tra tutti gli atenei. Ecco alcune proposte concrete per incidere sul potere delle lobby accademiche. Se attuate, darebbero almeno la speranza che in futuro la distribuzione delle risorse premierà il merito. La manovra di finanza pubblica predisposta con il decreto legge n. 112 del 25 giugno 2008 contiene misure rilevanti per le università. Il perno della manovra è costituito dalla riduzione progressiva, su un arco quinquennale, del Fondo di finanziamento ordinario, collegata al rallentamento degli scatti automatici di anzianità (da due a tre anni) e alla limitazione delle assunzioni di personale a tempo indeterminato. Queste ultime dovrebbero essere contenute da parte di ogni università fino al 2012 entro il 20 per cento delle cessazioni dal servizio. La reazione del mondo universitario (senati accademici, conferenza dei rettori, singole prese di posizione) è stata univoca: il taglio va respinto perché determinerà una crisi finanziaria degli atenei e il Fondo va ripristinato al livello precedente. Al di là delle affermazioni di principio, raramente dagli atenei si alza una voce che indichi concretamente quali riforme e quali regole potrebbero modificare i comportamenti del corpo docente, con quali modalità sarebbe possibile premiare il merito, come combattere le logiche corporative e il nepotismo.
UN'OCCASIONE PERSA L’effetto deleterio del taglio non è tanto legato ai singoli provvedimenti di riduzione o rallentamento della spesa, quanto piuttosto al fatto che è distribuito ancora una volta in modo uniforme tra tutti gli atenei, così come in altre occasioni l’aumento del Fondo ordinario. Dati i meccanismi di governo degli atenei, basati sul potere di veto di piccole e grandi corporazioni, non è difficile prevedere che anche all’interno di ciascuno di essi il taglio non sarà selettivo, con attenzione al merito e ai risultati conseguiti da ciascun ricercatore o gruppo di ricerca. Sarà a sua volta distribuito in modo pressoché uniforme tra facoltà, dipartimenti, altre strutture accademiche. Anche questa volta si è deciso dunque di non utilizzare la revisione delle modalità di finanziamento pubblico delle università per introdurre qualche principio di differenziazione meritocratica, modificare le regole di comportamento degli atenei, istituire incentivi che in futuro possano portare a miglioramenti di efficienza. Il risultato sarà plausibilmente che le logiche corporative continueranno a prevalere. Basta citare un esempio: mentre il mondo universitario protesta per i tagli, tra aprile e giugno sono stati banditi molti nuovi concorsi per professore ordinario e associato. Si tratta (al 27 luglio) di 685 posti di professore ordinario e di 1.093 posti di professore associato. Ciascuno di questi concorsi prevede due vincitori (o idonei). Se questi concorsi fossero stati banditi dopo il 30 giugno l’idoneità sarebbe stata una sola.
CONSEGUENZE DELLA DOPPIA IDONEITÀ
Perché gli atenei si
sono affrettati a bandire i concorsi entro il 30 giugno? La risposta
è semplice: perché con
due idoneità
si hanno maggiori probabilità di promuovere i candidati interni,
indipendentemente dal merito. Facendo finta di non sapere che la
seconda idoneità verrà prima o poi premiata da un altro ateneo, che
inserirà l’idoneo nei propri ruoli, con il conseguente innalzamento
della spesa. Così, con il meccanismo delle due idoneità entreranno
in servizio
3.556 nuovi docenti,
circa il 10 per cento dell’attuale corpo docente (ordinari e
associati); magari non subito, perché il blocco parziale del
turn-over rallenterà le immissioni in ruolo.
PROPOSTE CONCRETE Dalla premessa condivisibile che l’università italiana disperde risorse preziose e le utilizza in modo inefficiente, avrebbe dovuto seguire un piano per stimolare l’impegno dei docenti e istituire incentivi adeguati, annunciando che in futuro cambierà radicalmente la distribuzione del finanziamento pubblico. Ecco qualche proposta concreta: 1. Già nel 2009 una quota consistente del Fondo di finanziamento ordinario, dei posti di ricercatore, dottorati di ricerca e assegni di ricerca si potrebbe ripartire sulla base del punteggio assegnato dal comitato nazionale di valutazione della ricerca (il Civr). Lo stesso Civr, che ha operato molto bene per la valutazione della ricerca nel triennio 2001-2003, dovrebbe essere prontamente messo in grado di funzionare e valutare la ricerca del triennio più recente. 2. Invece che prevedere una riduzione delle progressioni di carriera per tutti i docenti, si potrebbero bloccare le retribuzioni dei professori ordinari per adeguare agli standard europei quelle dei ricercatori, che sono invece scandalosamente basse e una delle cause della massiccia e perdurante fuga dei nostri giovani verso l’Europa e gli Stati Uniti. 3. Andrebbe una volta per tutte definito lo stato giuridico dei docenti, con indicazioni precise sul carico didattico e verifiche periodiche della produttività scientifica, cui condizionare la progressione economica, adesso solo basata sull’anzianità di servizio. Per limitare il nepotismo, i concorsi dovrebbero però prevedere alcune semplici regole di incompatibilità – ad esempio che non sia possibile assumere un ricercatore nelle università in cui si è conseguita la laurea o il dottorato. 4. Si potrebbe uniformare l'età di pensionamento dei docenti (70 anni) a quella degli altri paesi europei (tipicamente 65 anni, con facoltà di estensione fino a 67 o 68 anni per i docenti attivi nella ricerca che ne fanno richiesta), proseguendo nella direzione già iniziata dal ministro Padoa Schioppa di abolire l’istituto del fuori ruolo. 5. Una parte delle risorse pubbliche potrebbe essere utilizzata per finanziare cattedre di ricerca sul modello del Consiglio europeo della ricerca. Quelle cattedre offrono la possibilità di finanziare per cinque anni scienziati di qualsiasi nazionalità, già presenti in Italia o provenienti dall'estero, siano essi o meno nei ruoli delle università. Le domande potrebbero essere vagliate dagli stessi comitati scientifici di area istituiti dal Consiglio europeo delle ricerche, che utilizza come unico criterio la qualità del programma di ricerca. La dotazione di ciascuna cattedra potrebbe variare dai 100 ai 200mila euro annui, a secondo che si tratti di giovani ricercatori o di scienziati già affermati sul piano internazionale; il finanziamento dovrebbe essere utilizzato esclusivamente per retribuire il ricercatore e le spese collegate al progetto. Se ogni anno 150 milioni di euro fossero attribuiti a tale programma, stimando un costo medio annuo di 150mila euro per ciascun progetto, sarebbe possibile finanziare circa mille cattedre, premiando i ricercatori migliori e gli atenei che li ospitano, e instaurando un sano principio di concorrenza tra le sedi universitarie. In questo modo, si aiuterebbero anche gli atenei a far fronte alla riduzione del personale che emergerà in seguito al blocco del turn over. Questi provvedimenti naturalmente non rappresentano un progetto di riforma organico, ma incidono sul potere delle lobby accademiche. Se attuati, darebbero almeno la speranza che la distribuzione delle risorse future premierà il merito. Chi oggi propone solo tagli indifferenziati di risorse non ha la consapevolezza dei problemi dell’università né il coraggio di superare gli ostacoli posti dai conservatori dello status quo.
(1)
Si tratta di 93 concorsi e 186 idoneità (il 10 per cento del
totale), così distribuiti: 19 presso l’Università E-Campus, 32
presso la Marconi, 23 presso la Unine. |