numeri ma non solo
Dietro il maestro unico Mario D'Adamo da ItaliaOggi, 16.9.2008 Ogni discussione sul tempo scuola non può prescindere dai contenuti dei programmi che in un determinato arco temporale devono essere svolti, dai tempi di apprendimento degli alunni nonché dalla specializzazione richiesta agli insegnanti per impartirli. Lo stesso programma non può essere indifferentemente svolto in una scuola di 24 o di 32 ore settimanali, nei confronti di una platea indifferenziata di alunni, a cura di insegnanti indifferentemente preparati. Il binomio «un maestro, una classe», per esempio, ha rappresentato la scuola elementare per quasi un secolo. L'orario del maestro e quello della sua classe, entrambi di venticinque ore settimanali, erano così indissolubilmente legati, che quando venne ridotto di un'ora l'uno anche l'altro passò da venticinque a ventiquattro (decreto delegato n. 417 del 1974). Il fatto allora non destò lo scalpore suscitato oggi dal profilarsi del ritorno, sia pure in forme residuali, della scuola delle ventiquattro ore e del maestro quasi unico (d.l. 137/2008). Le prime esperienze di aumento del tempo scuola, volendo migliorare la qualità dell'insegnamento-apprendimento (attività integrative e di tempo pieno secondo le direttive di orientamento del 1972), scardinarono il binomio e tennero separati orario scolastico e orario degli insegnanti elementari, poi sceso a ventidue ore settimanali più due di programmazione (art. 9 della legge di riforma della scuola elementare 5 giugno 1990, n. 148). Gli ultimi programmi della scuola del maestro unico furono quelli del ministro Giuseppe Ermini (1955), le materie erano nove ed erano tutte impartite dallo stesso maestro, compresa la religione (il cui orario spesso coincideva con la mezz'ora settimanale del parroco, che interveniva in compresenza). L'orario di ciascuna materia dipendeva dal maestro, che, secondo le esperienze di chi ha vissuto quella scuola, finiva con il privilegiare alcune materie, preferendo ora quelle scientifiche ora quelle letterarie. Il canto, l'educazione fisica, le attività manuali e pratiche hanno spesso occupato posizioni marginali: nemmeno allora tutto riusciva a stare nelle ventiquattr'ore. La commissione, incaricata della stesura dei programmi, entrati gradualmente in vigore dall'anno scolastico 1987/88, sotto la presidenza del sottosegretario democristiano all'istruzione, Giuseppe Fassino, inviò al ministro dell'epoca, il deputato democristiano Guido Bodrato, la cosiddetta relazione di medio termine (20 marzo 1982), con la quale riconobbe «l'insufficienza dell'orario di 24 ore settimanali» per le mutate esigenze formative degli alunni, e propose un orario settimanale di 30-32 ore. Quando i programmi furono emanati, la premessa fu esplicita nel chiarire che «l'organizzazione didattica [doveva] basarsi sulla valorizzazione delle esperienze e degli specifici interessi culturali degli insegnanti», onde evitare gli inconvenienti del maestro unico. L'unitarietà dell'insegnamento veniva assicurata dalla programmazione didattica collegiale e dal lavoro integrato dei docenti invece che dall'unicità del docente.
Seguirono, a integrazione dei programmi, le due
ore di religione, le tre ore di lingua inglese, l'informatica,
l'educazione stradale, l'educazione civica.. Ora se si tornerà alle
24 ore settimanali, i relativi programmi, in sostituzione di quelli
del 1987 (ora solo provvisoriamente sostituiti da indicazioni
nazionali), dovranno essere sfrondati. |