La scuola vista Cosimo De Nitto da ReteScuole, 13.9.2008 I governi prima Da anni i dibattiti sulla scuola, da parte dei governi, cominciano così: nella scuola ci sono troppi insegnanti, il deficit pubblico non permette questi sperperi, negli altri Paesi europei il rapporto insegnanti-alunni è più alto, bisogna aumentare gli alunni per classe, diminuire le classi e gli insegnanti, diminuire le scuole, l’azienda Italia non ce la fa più (a causa della scuola?), bisogna razionalizzare, dimensionare, ridurre drasticamente gli sprechi.
Da anni la stampa, la cosiddetta grande stampa, Repubblica e Corriere della Sera in testa, fa da sponda alle campagne governative dando risalto esorbitante a episodi di cronaca negativi, solo quelli però, perché gli episodi positivi, si sa, non fanno notizia. In questo modo fanno montare un’opinione pubblica negativa sulla scuola, che ormai viene descritta come uno scatafascio sgarrupato che “rovina” (termine usato da Tremonti, Gelmini, Bossi) generazioni di studenti, al limite del linciaggio morale e professionale dell’intera categoria degli insegnanti. Si nascondono dietro il diritto di cronaca e trascurano, colpevolmente, il dovere di dare sempre una rappresentazione equilibrata della realtà, non sbilanciata, una sorta di par condicio dell’informazione. Si fa finta di non sapere che la stampa e l’informazione in generale hanno anche il compito, che lo si voglia o no, di “formare” la coscienza critica e la cittadinanza.
L’attuale ministro dell’Istruzione Gelmini è il risultato del combinato disposto tra ciò che i governi precedenti, centrodestra e centrosinistra (di meno questo, ma non ha invertito la logica e l’approccio) hanno prodotto per garantire il consenso alla messa in stato d’accusa della scuola. Ciò è stato premessa per operare tagli e disinvestimenti da un lato, e attaccarne il ruolo costituzionale dall’altro (scuola pubblica e per tutti, indipendentemente dalle condizioni di partenza e dal proprio stato di abilità culturale e fisica). Opportunamente e bonariamente guidata (questa era la disperata formula, i vecchi professori ricorderanno, che si usava quando le commissioni d’esame volevano, per varie circostanze, giustificare una stiracchiata sufficienza data ad un colloquio non entusiasmante) da Tremonti, la Gelmini non solo sposa la tesi economicistica, meglio dire l’approccio da contabile, ma si incarica, goffamente, di trovare giustificazioni pedagogiche (?) che non risultano altro che patetiche rimasticazioni ideologiche di una cultura di destra che, sotto questo profilo, semplicemente non esiste, se non come vagheggiamento di un passato già negativo, e superato, comunque incapace di affrontare le sfide del presente e del futuro.
Sono troppi, dice il duo Tremonti-Gelmini.
Troppo o poco o troppo poco sono aggettivi o pronomi indefiniti che,
per determinarsi quantitativamente, hanno bisogno di una
proposizione correlativa rispondendo alla domanda: troppi rispetto a
che o che cosa?
Ormai non ci si salva più. Imperversa la chiamata in causa dei modelli di scuola degli “altri” Paesi. “In Europa si fa così….” E via di questo passo. Tutti, anche coloro che non dovrebbero, chiamano a sostegno delle proprie tesi l’Europa; gli altri che fan così, gli altri fan colà. Ma di quale Europa si parla, se questa va dalla Germania alla Romania, dalla Francia alla Lituania, dal Regno Unito alla Bulgaria, dalla Spagna a Cipro ecc. ecc…? Come si fa a staccare il modello dal contesto storico, sociale, culturale di cui è prodotto, e ad assolutizzare pezzi di quel modello, per strumentalizzarli capziosamente a fini di bassa politica interna, per giustificare politiche altrimenti ingiustificabili? Per esempio, in Germania i disabili sono messi in college e classi differenziali, o speciali, come le chiamano loro. I ciechi con i ciechi, i sordi con i sordi, i down con i down. E poi? Un rapporto delle Nazioni Unite mette sotto accusa il sistema scolastico tedesco che secondo il curatore dell’inchiesta, Vernor Muñoz Villalobos, in Germania i poveri, immigrati e disabili subiscono molte discriminazioni. I ragazzi diversamente abili sono relegati in scuole speciali. Agli immigrati che hanno cominciato a frequentare la scuola più tardi è impedito di scegliere l'istituto dove studiare. Certo che così facendo e non avendo una legge come la nostra legge n. 104 che detta i principi dell'ordinamento in materia di diritti, integrazione sociale e assistenza della persona handicappata e stabilisce le linee riguardanti l’integrazione scolastica degli allievi diversamente abili, i tedeschi risparmiano insegnanti, in quanto i disabili sono raccolti tutti in un “luogo” ghetto e non sono distribuiti nelle classi “normali”, facendo abbassare il numero di alunni per classe e impiegando un insegnante di sostegno e specialisti a vario titolo. I tedeschi risparmiano, ma sulla pelle di chi? Risparmiano a danno di un’integrazione scolastica che ha come obiettivo lo sviluppo delle potenzialità della persona handicappata nell'apprendimento, nella comunicazione, nelle relazioni e nella socializzazione, e questo può avvenire solo all’interno dell’aula scolastica assieme ai compagni “normodotati”. Possibile che l’economia debba essere una condanna senza appello per alcuni, i più deboli, ed essere una festa di gala per altri, diciamo così, più fortunati? Che società mai vogliamo costruire di questo passo? Allora lasciamo ai Tedeschi o chi altri il diritto di decidere del loro modello, frutto della loro storia e delle loro scelte di politica sociale e scolastica. Ma non rinunciamo mai alla nostra storia, alle nostre specificità, alla nostra sensibilità umana e sociale. Il modello scolastico italiano contribuiscono a costruirlo la nostra storia, la situazione in cui versiamo, il modo in cui immaginiamo il futuro per il nostro Paese, le condizioni strutturali, le diversissime sensibilità degli attori sociali (ricercatori sociali, insegnanti, genitori, giovani ecc.), l’insieme delle istituzioni che hanno voce in capitolo, il tessuto democratico dell’associazionismo professionale, sindacale ecc. I decreti non servono. Lacerano, irritano, sono controproducenti, sono figli della paura del confronto e della faticosa mediazione, che è il sale della democrazia.
Il duetto Tremonti-Gelmini fa un ragionamento semplice-semplice. Noi (loro) vogliamo cambiare la scuola, perché così non si può andare avanti. Il Paese non sopporta una spesa così alta. Il nocciolo della faccenda è questo. E’ un problema di bilancio. La scuola è un ente più o meno inutile, talvolta dannoso (“rovina” i giovani), e costoso. Bisogna tagliare. Cosa, dove? (2) Il 97% della spesa se ne va in stipendi, infatti non ci sono investimenti, con buona pace dell’Europa. Allora bisogna far fuori una parte consistente del “personale” scolastico. Non si pronuncia la parola docenti, perché è controproducente. Bene, dice Tremonti alla Gelmini, pensa tu, paga un po’ di consulenti se non sei capace, basta che trovi delle ragioni “pedagogiche”, che giustifichino questa decisione. La Gelmini cosa fa? Pesca nel peggiore armamentario del conservatorismo e cosa trova? Ordine, gerarchia, autorità, voto di condotta, divisa per tutti, merito, voti all’elementare, e, perché no, magari anche alla scuola dell’infanzia e al nido. Sono quisquilie e pinzellacchere, direbbe Totò, l’invenzione più efficace è il maestro unico o tutor di gruppi di livello. Quello sì che risolve i problemi di Tremonti, anche se fa fare un rovinoso passo indietro alla scuola italiana. A coloro che si oppongono lanciano l’anatema che sono conservatori e non vogliono cambiare; essi sì, Tremonti e Gelmini, sono i veri innovatori, e via dicendo... Esigenze economiche tutte da dimostrare. Giustificazioni “pedagogiche” che non si tengono nemmeno con l’attack. Ci sarebbero tante politiche di razionalizzazione e risparmio che si potrebbero fare, toccando poteri forti, feudi e imperi. Ma è più facile tirare il collo alle maestre e alla scuola.
Se si volesse davvero il cambiamento, diverso
sarebbe l’approccio. Più alta la proposta, più seria la ricerca, più
aggregante il percorso. Ma si sceglie di mostrare i muscoli di un
celodurismo patetico, ai confini del comico, se non fosse tragico
per tante persone la cui vita insieme con quella delle loro famiglie
viene sacrificata sugli altari del dio economia, sempre agnello con
i forti, e sempre lupo con i deboli. 1) Consigliamo la lettura del bel saggio di Harrison Gualtiero, Callari Galli Matilde “Né leggere, né scrivere” Ed. Meltemi 1997. 2) A Ballarò Tremonti chiedeva a D’Alema: allora diteci voi dove dobbiamo tagliare. D’Alema ha farfugliato, ma la risposta era semplice-semplice: un governo taglia dove crede sia sprecato il denaro pubblico. Evidentemente il miglioramento del sistema scolastico non è una priorità del governo, come le leggi salva-Berlusconi. La scuola per Tremonti è un ente più o meno inutile, come quelli aboliti per legge tanto tempo fa e che ancora non sono stati soppressi.
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