Scuola: inutili ritorni al passato. di Maria Teresa Rosini il Quotidiano, 6.9.2008 San Benedetto del Tronto. Raro trovare interventi di "addetti ai lavori"(se non su riviste specializzate), di gente che nella scuola ha trascorso una vita, più facile che tutti si improvvisino fini analisti degli annosi problemi della nostra istituzione scolastica senza in realtà conoscerli davvero.
Ne conoscono, certo, la fenomenologia spiccia e
imprecisa che, tra l'allarme e l'indignazione, i media si affrettano
a segnalare con puntigliosa ragioneria per vendere qualche copia in
più o aumentare l'audience televisiva. Poi per lunghi periodi più
nulla. Tra proposte di ritorno alla rassicurante tradizione (grembiuli, voti in condotta, bocciature, disciplina e sanzioni, maestro unico) e inviti ad andare ai nodi più spinosi, (spesso oggetto di accurato evitamento), come gli stipendi degli insegnanti, le risorse economiche da investire, il reclutamento e la formazione (iniziale e "in itinere" degli insegnanti), il dibattito sulla scuola serve solo come espediente per confrontarsi e scontrarsi tenendo accesa una disputa (politica) che per la scuola non ha alcuna vera passione o interesse. All'ultima moda il dibattito su quanto e come il sessantotto abbia influito sulle sorti della scuola italiana: avrebbe contribuito al lassismo con l' abbandono di una seria selezione di merito, e avrebbe messo irreparabilmente in crisi la credibilità dei docenti. Basterebbe studiare un po'di storia (documentata), invece, per rendersi conto che prima del 68 la scuola era ancora un'istituzione per pochi, dato che il diritto allo studio era per tutti solo sulla carta (costituzionale), e c'erano discriminazioni e ingiustizie nell'accesso all'istruzione (si pensi all'analisi di Don Milani nel celebre "Lettera ad una professoressa"). I contenuti di studio erano permeati di valori, regole morali, visioni ideologiche proiettate nel passato e di una concezione del sapere asservita alla riproposizione di privilegi sociali e chiusa ad una visione critica di una società nella quale ancora permanevano profonde ingiustizie mentre ben poco spazio esisteva per la loro libera discussione. Vero è che nel tempo, nonostante molte riforme, la scuola italiana non ha trovato una via efficace per ripensarsi e cercare una diversa credibilità, ma a questo hanno contribuito una molteplicità di fattori che qui non è possibile esaminare esaustivamente, ma che sicuramente rendono superficiale e demagogico il ricorso alla contestazione studentesca per spiegarne il fallimento.
Il tema primario e centrale nel parlare di
scuola resta, secondo il mio parere, quello riguardante il ruolo
degli insegnanti. E' ora di dire che purtroppo in una non limitata percentuale di casi non è così. Ci sono insegnanti che per loro natura, predisposizione, preparazione rendono invece difficile, penoso e improduttivo per i giovani frequentare la scuola. Solo a volere indagare tra gli studenti troveremo e documenteremo una notevole casistica. Un insegnante dovrebbe essere colui che è in grado di aprire una notevole apertura di credito allo studente che ha di fronte, che sa prospettargli una dimensione di possibilità e occasioni, che sa tirarne fuori i talenti e le potenzialità contribuendo a puntellarne le carenze indirizzandone impegno e motivazione. Invece non di rado ci si trova davanti a seriosi ragionieri del merito che arbitrariamente e senza lo straccio di un dubbio compiono valutazioni senza appello, valutazioni che spesso impiegano un tempo brevissimo per consolidarsi fino all'inamovibilità, mantenendo profonde diffidenze di fronte ad ogni prova contraria e producendo un effetto "pigmalione" al contrario che spesso è demotivante e prepara alla sconfitta. L'apertura di credito non vuol dire naturalmente lassismo e deresponsabilizzazione: ogni percorso va comunque articolato all'interno di un contesto di regole il quale però, per essere rispettato, deve essere credibile e applicato con imparzialità. Meccanismi relazionali così complessi e produttivi di così numerosi danni sono centrali nel funzionamento dell'istituzione scolastica e meriterebbero che maggiore attenzione si dedicasse alla figura del docente, alla sua preparazione disciplinare, ma anche alle sue attitudini comunicative e relazionali, alla sue doti di animatore culturale, alle sue qualità di educatore, alla sua capacità di motivare gli studenti: tutti fattori che invece trovano ben poco spazio nella preparazione professionale dei docenti e, generalmente, nelle motivazioni personali che spingono a questa professione. Il ritorno alla figura dell'insegnante unico oggi spazza via, da un giorno all'altro e senza nessuna seria analisi, molti decenni di confronto e discussione tra gli studiosi delle problematiche educative sull'utilità che i bambini possano avere diversi personalità di riferimento educativo (cosa peraltro presente in tutti gli ordini di scuola, da quella dell'Infanzia alla secondaria di primo grado e oltre, e non si capisce perché non alle elementari). Le opportunità che si rischia di perdere sono di ordine psicologico-relazionale e didattico- organizzativo: ogni insegnante può mettere in gioco qualità differenti, differente preparazione e attitudini, differenti modalità comunicative che costituiscono, se gestite con responsabilità, una risorsa per l'alunno e non un limite. Inoltre, occorre dirlo con chiarezza e occorre che le famiglie ne comprendano la portata, non si può lavorare per gruppi, gestire il recupero degli alunni in difficoltà, calibrare gli interventi didattico educativi secondo le esigenze diversificate degli alunni con un insegnante unico e classi che arrivano a 27 alunni anche con la presenza di alunni diversamente abili. Spostandosi sui contenuti studio ci si trascina da anni in un abbastanza sterile dibattito sulla centralità che le discipline e l'attenzione alla loro struttura e ai loro contenuti debba avere o non avere soprattutto nella scuola di base. Tra i fautori di una "osservanza" disciplinare e coloro che sostengono un'integrazione dei saperi e un'apertura a modalità più diversificate e motivanti di approccio ai contenuti disciplinari, resta difficile approdare ad un equilibrio condiviso. Certo è che nella scuola primaria sulla base delle nuove e più accreditate teorie pedagogico-educative, un precoce approccio disciplinare risulta prematuro per le modalità con le quali la mente di un bambino inserisce le nuove conoscenze all'interno dei suoi contesti di riferimento prevalentemente pratici e ancora incapaci di astrazioni e generalizzazioni complesse. Spesso, inoltre, disciplina vuol dire nozionismo posticcio privo di motivazione e oggetto di apprendimento mnemonico finalizzato al voto. Riguardo la valutazione del rendimento degli alunni, oggi assistiamo, col ritorno al voto in decimi, ad un saltare a piè pari oltre cinquant'anni di studi sulla valutazione e la relazione di apprendimento che hanno interessato la migliore ricerca educativa internazionale e non solo italiana.
Nel sostenere che"il 68 ha portato via i voti
sostituendoli con giudizi" e che "i numeri sono una cosa precisa e i
giudizi sono spesso confusi" si dimentica che in qualunque contesto
disciplinare (medicina, economia, scienze) le valutazioni espresse
in numeri sono sempre oggetto di interpretazione e valutazione
all'interno dei contesti nei quali condizioni espresse in termini
numerici vanno confrontate con altri fattori in concomitanza coi
quali operano producendo effetti. Negli innumerevoli documenti di riforma (della scuola primaria soprattutto) che noi insegnanti abbiamo dovuto leggere e approfondire e che invito tutti a leggere prima di parlare di grembiuli e voti di condotta, si parla di ben altro che di regole e disciplina. Si tratta di analisi che si basano sulle più moderne teorie pedagogiche e che hanno lo scopo di rivedere completamente l'impostazione teorica stessa del concetto di educazione e di istruzione: esse hanno richiesto una significativa riconversione dell' operare dei docenti tra difficoltà di ordine teorico-motivazionale e pratico e organizzativo. Il documento "Cultura, scuola, persona" elaborato lo scorso anno dalla commissione incaricata dal ministro Fioroni di tracciare l'identità della scuola italiana, è un documento condivisibile che ci offre un quadro delle innumerevoli problematiche che investono oggi l'istituzione scolastica; e anche la premessa del precedente documento (riforma Moratti), affrontava alcuni punti nodali relativi al significato della scuola e dell'istruzione. Tali dichiarazioni d'intenti hanno però riversato quasi completamente sui docenti il carico della loro attuazione (spesso a costo zero o quasi per lo stato) e, per questo, molto spesso si sono risolti in ritocchi "cosmetici" di facciata per un'istituzione che nella sostanza non ha affrontato con seri investimenti e decisioni determinate il problema scuola.
A noi che nella scuola viviamo ogni giorno, il
compito di testimoniare, con quante più voci possibile, che
ritornare al passato non è la soluzione che la scuola attendeva e
che il futuro oggi si presenta nella veste dei pressanti cambiamenti
quotidiani a segnalarci sempre più la dimensione delle nostre
lentezze: le proposte demagogiche di grembiuli, voti espressi in
decimi, irrigidimento disciplinare, insegnante unico sono solo
espedienti per non affrontare seriamente il problema istruzione e
non affrontarlo potrebbe significare contribuire a smantellare
completamente quel che resta della nostra scuola pubblica e statale
e quel che resta di un futuro possibile e condiviso per la nostra
società. |