La linea sulla scuola
la detta Tremonti.

Dedalus da ScuolaOggi, 3.9.2008

E’ ormai evidente che il vero ministro ombra dell’Istruzione, o meglio l’ombra di un ministro, è Mariastella Gelmini e che la politica scolastica di questo governo la decide Giulio Tremonti. Questa non è un’affermazione pleonastica. Basta andarsi a rileggere l’articolo che Tremonti ha inviato al Corriere della Sera il 22 agosto scorso (”Il passato e il buon senso”) intervenendo nel dibattito estivo aperto da Galli della Loggia, per rendersi conto che è proprio così. Così infatti si spiegano i fatti successivi, fra questi il decreto legge n.137 del 1 settembre, che tratta non a caso di voti, libri di testo e numero dei docenti per classe. Tutti temi toccati puntualmente, pardon, “anticipati” da Tremonti nel suo articolo.


Il decreto rivolta la scuola (primaria, nella fattispecie) praticamente come un calzino, riportando le lancette dell’orologio indietro di trenta-cinquant’anni e più? Ma in questo Tremonti era stato esplicito, auspicando un netto ritorno al passato: “Un cambiamento che non è un salto nel vuoto, come nel ’68, ma un ritorno al passato. Al buon senso e alla logica, ai valori e alle tradizioni di un passato che deve e può tornare”. Ipse dixit. Già perché il numero da togliere, dice Tremonti, è il numero 1968, sintetizzato in 68. Lì, naturalmente, sta la madre di tutti i mali e di tutte le successive distorsioni.

Il ’68 ha portato via i voti sostituendoli con i giudizi, scrive il nostro. Poco importa se si tratta di uno svarione sul piano della ricostruzione storica e se i giudizi nella valutazione degli alunni arriveranno un po’ di anni dopo (d’altra parte Tremonti non è un esperto di legislazione scolastica…). La cultura ispiratrice e nichilista comunque è quella, quella la radice da estirpare. Quindi basta con i giudizi, approssimativi e confusi, e torniamo ai voti numerici. Perché tutti i fenomeni significativi, dai terremoti alla temperatura corporea, sono misurati in gradi, con i numeri. Poco importa se la metodologia della valutazione, il percorso attraverso il quale si arriva a definire un giudizio è cosa complessa, non sempre sintetizzabile in un dato numerico.

I libri di testo. Qui Tremonti non ha tutti i torti quando se la prende con le case editrici che stampano ogni anno una nuova edizione di ciascun testo rendendo quelli dell’anno precedente obsoleti e inutilizzabili, con aggravio di spesa per le famiglie. E quindi, sulla scia di questo ragionamento, l’articolo 5 del decreto prevede che gli organi scolastici debbano adottare solo libri di testo per i quali l’editore si è impegnato a mantenere invariato il contenuto per un quinquennio. Salvo, naturalmente, appendici di aggiornamento eventualmente necessarie da rendere separatamente disponibili (e acquistabili).

Ma torniamo all’organizzazione della scuola primaria che rappresenta un po’ il “cambiamento” (nel senso tremontiano di “ritorno al passato”) principale. “Una volta c’era un maestro ogni tre classi. Adesso ci sono tre maestri per una classe. Era meglio prima o è meglio adesso?”, si domandava retoricamente Tremonti il 22 agosto. La risposta è nel vento: il decreto 137 del 1 settembre riporta in auge il maestro unico. Basta con più insegnanti che si avvicendano nelle classi, e che finiscono per minare gravemente “un fondamento tradizionale della nostra società, quello del rapporto necessario di autorità e insieme di fiducia che ci deve essere tra l’allievo, la famiglia e l’insegnante” (unico, beninteso!). E che, soprattutto, comportano costi e una spesa pubblica che può essere invece notevolmente ridotta.

Cosa poteva fare la povera Gelmini, se non mettere in atto queste precise e autorevoli coordinate politico-economiche-ideologiche? Ma allora, se di fatto è il ministro dell’Economia a dettare le linee di politica scolastica e il ministro dell’Istruzione non ha una sua autonomia, ma è direttamente dipendente, viene spontaneo chiedersi “che ci sta a fare”? Che ci sta a fare Mariastella, se prende ordini da Giulio Tremonti e se è lo stesso Tremonti a scrivere o a dettare gli articoli di un decreto legge che di fatto riforma/rivoluziona la scuola italiana? Non è, anch’essa, un costo superfluo?