La Gelmini interrogata da Paola
Mastrocola "Cara prof, la mia scuola sarà così". Maestro unico e insegnante d'inglese. Il ministro: «Più efficienza e qualità» La Stampa, 21.9.2008
ROMA
Ma sono curiosa, devo chiederle tre cose, e voglio vedere se è vero, come dicono, che non ha nessuna idea di scuola (e come sono i suoi mitici occhiali colorati). Saluto le palme nane, e salgo. E, come due anni fa, mi perdo. Percorro corridoi lunghi, bui e deserti ed entro in sale enormi, buie e deserte. Chissà perché, mi chiedo, al ministero dell’Istruzione i corridoi sono così lunghi e le sale così enormi. Mi riceve una ragazza snella, sorridente, gioviale: è il ministro. Non faccio caso se ha gli occhiali o no. E’ un ministro ragazza, la Gelmini! Ma come? - penso - non era un orco? Mi siedo. Ho un taccuino davanti; anche lei. Io in genere parlo facendo disegnini sul taccuino; anche lei. Siamo uguali? Ho un’ora di tempo e un centinaio di domande, che riduco a tre: le mie tre personalissime ossessioni sulla scuola di oggi. Cominciamo dalla prima: vorrei che tornassero i programmi. Programmi ministeriali definiti e obbligatori, con qualcuno che poi alla fine controlli che li abbiamo svolti completamente. Non che uno, se vuole, si ferma a Leopardi e non arriva mai a Pavese. Non che uno, se vuole, non fa mai grammatica e fa invece Storia del Giornalismo. Bisogna decidere che cosa si vuole che i ragazzi sappiano, che cosa è bene che imparino. E poi di conseguenza bisogna che tutti insegnino quelle cose che abbiamo deciso. Non le pare? Per favore, ministro, potrebbe ridarci i programmi? Potrebbe limitare l’Autonomia? Mi spiego meglio: l’Autonomia, che a voi ministri da Berlinguer in poi piace così tanto, mi fa paura. Secondo alcuni di noi sta sfasciando la scuola, la sua sostanza culturale: vuol dire che ogni insegnante può insegnare quel che vuole, ogni scuola fare le offerte didattiche che crede; non ci sono più programmi nazionali, contano solo gli obbiettivi, tanto poi si valutano i risultati. Ministro, ma perché le piace così tanto l’Autonomia? «Io sono per un’autonomia che non diventi mancanza di regole - mi dice -, ma che rappresenti un recupero di efficienza nella gestione delle risorse e anche dal punto di vista operativo, come dire? Gestionale». Dice così. Sottolineo le parole: efficienza, gestione, risorse, operativo, gestionale. Ahimè, parole che vengono dal mondo dell’economia... Mi spiazza, signor ministro. Forse parlavamo di due autonomie diverse: lei difende l’autonomia amministrativa, e io deploro l’eccessiva autonomia didattica. I programmi?
Siamo sedute a un tavolo lungo e deserto (come i corridoi), l’una di fronte all’altra. Siamo dirimpettaie. E anche molto diritte. Lei molto più di me: io scrivo curva, lei mi parla a schiena dritta, collo eretto, volto fermo, mai un dubbio, una crepa. E’ un ministro diritto, che va diritto per la sua strada. Mi dice: «No, i programmi sono saltati da tempo...». Appunto, le dico, rimettiamoli! No, dice che non vuole imporre, vorrebbe convincere. Dice che comunque ci sono le indicazioni ministeriali, e che ha insediato una commissione per la riforma degli ordinamenti. Mi rivela, scandalizzata, che gli ordinamenti, ovvero gli indirizzi di studio, sono più di 800 nella scuola superiore! Dice che è uno spreco di risorse, che «abbiamo un proliferare di progetti, di sperimentazioni e stiamo perdendo di vista lo studio delle materie fondamentali come l’italiano, la matematica, le scienze e le lingue straniere». Mi assicura che farà di tutto per ridurre l’esplosione dei progetti inutili, che le sta molto a cuore l’idea di ritornare a una essenziale cultura di base. Mi sento (quasi) serena, pensando che il progetto di ridurre i progetti è comunque un gran bel programma. Andiamo avanti. Si è un po’ intristita. Dice che spesso le fanno dire cose che non ha detto, come sul tempo pieno alle elementari che non è vero che lei vuol togliere. E’ dispiaciuta. La preoccupa il clima di odio e contrapposizione continua che la sinistra sta generando. «Non per me - dice - (io faccio politica da tanti anni!), ma per il bene della scuola. Ci vorrebbe condivisione. Le riforme dovrebbero durare più di una legislatura, più di un governo. Bisogna guardare alla scuola con occhi sgombri da ogni ideologia». La guardo negli occhi. (Non riesco a ricordarmi se aveva o no gli occhiali). Parliamo un po’ di Dante, Shakespeare, il latino e il greco. Lei è felice d’aver fatto il liceo classico. Le dico che i ragazzi spesso arrivano al liceo che non sanno leggere, scrivere, parlare... Li abbiamo ammazzati di test, secondo me. Le piacerebbe, ministro, una scuola senza test, una scuola dove ci sono ancora le interrogazioni orali e non le fotocopie con le domandine scritte? Sorride, abbassa gli occhi sul taccuino: «Ma sa, mi stanno già accusando di voler tornare al passato... Non aggiungiamo altra carne al fuoco. Anche se, quello che io propongo non è un ritorno al passato secondo me, è che ci sono valori senza tempo, sempre attuali, come l’impegno, la fatica, lo studio...».
Parliamo di insegnanti: il ministro li vuole valutare. Non vedo bene che ghirigori sta disegnando sul taccuino. Mi dice che le dispiace che non ci sia in Italia una cultura della valutazione. Si ha paura, come se si temessero punizioni. E invece, dice, «si valuta per premiare chi lavora meglio, per misurare come spendiamo le risorse, cioè il ritorno di quel che investiamo». (Rieccoci con le parole dell’economia...). Solo con la valutazione emergeranno le scuole migliori. Ma - dice - «al di là di ogni esterofilia, noi dobbiamo tendere a una scuola d’eccellenza (secondo il modello anglosassone), che però sia anche una scuola inclusiva (secondo il modello tedesco e francese) dove si cerchi di elevare la qualità media». Chi sono oggi gli insegnanti bravi? (è il mio secondo rovello personale). Per che cosa verremo valutati, ministro, per il numero di ore in cui lavoriamo a scuola, o per la bellezza delle lezioni che facciamo? Chi è il bravo insegnante, quello che entra in dieci commissioni di lavoro e sta a scuola fino a sera, o quello che se ne va a mezzogiorno ma ha fatto una lezione meravigliosa sull’origine dell’universo? Il ministro risponde: né l’uno né l’altro. E dice una cosa bellissima: «Noi dobbiamo liberare il tempo agli insegnanti, che sono vessati da una serie infinita di riunioni, comitati, incontri, commissioni che non hanno alcuna utilità. Gli insegnanti devono avere il tempo per aggiornarsi, seguire lezioni, leggere, studiare, riflettere...». Anche andare al cinema? Chiedo. «Anche andare al cinema», risponde. Bene! Peccato che poi le chieda di essere più precisa e delinearmi meglio l’identità del bravo insegnante. La risposta è che tre saranno i parametri di giudizio, anzi, quattro: «La presenza, la continuità didattica, la disponibilità all’aggiornamento... e le performances dei ragazzi». «Il che non vuol dire - aggiunge - che bisogna promuovere di più per essere meglio valutati...». Aiuto! Quindi è bravo l’insegnante che: è presente, continuo, disponibile; e che ha la fortuna di avere allievi geniali... L’insegnante che si limita a fare ottime lezioni straordinarie, di quelle da incantare anche i sassi, invece no, non è bravo: perché non è misurabile. Ma certo: la lezione è invisibile e invalutabile, scende nell’anima, s’inabissa chissà dove e magari agisce dopo vent’anni. Chi la misurerà mai? Peccato che sia l’unica... performance che, secondo me, ci distingue.
Terzo mio incubo: il recupero. Recuperare gli allievi in difficoltà: è giusto dal punto di vista educativo continuare a sollevare i ragazzi dalle loro personali responsabilità dicendo sempre: ti aiuto io, non ti preoccupare? E poi, si può fare in 15 ore all’anno (tante ci sono concesse)? Il ministro è fermissimo: il recupero non si tocca. Se no direbbero: ah questa Gelmini, obbliga le famiglie a pagarsi fior di lezioni private! Una cosa alla volta, una cosa alla volta... Ha ragione: già ha la fama di un orco, se continua così la fanno a pezzi. Però, ministro, guardi che le famiglie se le pagano già le lezioni, perché le 15 ore statali mica bastano... O ce ne date almeno 80 o il recupero è una presa in giro. Così dico. Ma lei è pronta: se le lacune pregresse sono così gravi, non ci deve essere la promozione. Ma lei non pensa, ministro, che si potrebbe mandare alle famiglie un messaggio diverso? Del tipo: dite un po’ ai vostri figli di studiare, invece di riempirli di comode lezioni private che vi sbancano il mese! Sorride di nuovo. E’ un ministro molto sorridente. Dice che di cose ne ha già proposte abbastanza, che adesso si prende una pausa. Una cosa alla volta... Annoto altro, durante l’ora del nostro incontro, affrontate e dritte, perfettamente dirimpetto: ad esempio che «le Siss sono una vergogna, un modo per sfornare precariato»; che il livello delle scuole professionali dev’essere assolutamente alzato, in modo che la scelta sia paritaria a quella dei licei; e infine, l’idea che la scuola da sola non ce la fa: «Bisogna che il Paese s’interroghi», dice. Sono molto d’accordo. Ma lei pensa soprattutto alle imprese e alle banche, che devono intervenire (credo in senso economico...), io pensavo ad altre collaborazioni, e lei è d’accordo: pensavo che le famiglie devono ricominciare a educare i figli e, forse, devono anche un po’ cambiare modo di vivere (meno weekend per esempio, meno consumi?).
E poi pensavo alla tivù, che dovrebbe
assolutamente diventare la alleata numero uno della scuola. E qui il
ministro si mette a ridere sorpresa, mi dice: Ma come? Lei sta
anticipando i miei progetti sulla tivù! Ah davvero, ministro,
rivoluzionerà i palinsesti? Mi fa intendere che ci proverà. Fine
della chiacchierata. E’ poco, è tanto quel che il ministro ha detto?
Ci sono idee o non c’è nulla? Certo le risposte alle mie personali
ossessioni sono |