Scuola, c'è sempre un'altra prospettiva. Cosimo De Nitto da Aprile On Line.info del 27.9.208
L'intervento Il diritto allo studio è un diritto
costituzionale delle persone singolarmente prese. La scuola non è
un'agenzia erogatrice di servizi, che non si occupa e preoccupa di
mettere tutti in condizioni di fruirla. La differenza tra la scuola
della Costituzione e le altre "agenzie" sta proprio qui. Il
decondizionamento sociale costa. "Sono salito sulla cattedra per ricordare a me stesso che dobbiamo sempre guardare le cose da angolazioni diverse. E il mondo appare diverso da quassù! Non vi ho convinti? Venite a vedere voi stessi. Coraggio! E' proprio quando credete di sapere qualcosa che dovete guardarla da un'altra prospettiva!". Quanta intelligente sapienza, è in queste parole che pronuncia Robin Williams nel film "L'attimo fuggente". Quanta verità scientifica, pedagogica e didattica. Quanta educazione umana e sociale alla diversità, alla pluralità dei punti di vista e al loro riconoscimento e accoglienza.
In questo principio c'è tutta la bellezza e la
fatica dell'insegnare oggi, e dell'apprendere direi anche. Bellezza
Bellezza perché l'apprendimento è gioia di
scoprire il mondo, le sue regole, i principi su cui si regge, le sue
complessità, criticità. E scoprirlo insieme, docente e discenti,
apre una prospettiva nuova in cui il riconoscimento reciproco non è
solo fondato sull'autorità del comando, della consegna, del compito
assegnato, ma sulla persuasione, suggerimento, proposta, per
suscitare interessi e motivazioni profonde, affinché le acquisizioni
siano per sempre, per tutta la vita. Fatica
Fatica perché è difficile, logorante, mettere
tutti, nessuno escluso!, in una rete di dialogo e di ascolto che
rispetti tutti gli allievi/persone, le loro diversità nel capire,
elaborare, formalizzare, comunicare; rispetti le loro storie passate
e presenti, il caleidoscopio dei loro propri punti di vista, delle
loro modalità apprenditive, espressive, comunicative,
comportamentali. Prima era più facile Certo era molto più facile quando si pensava che l'insegnamento esaurisse in sé ogni aspetto della relazione didattica. La lezione era tutto, l'apprendimento era affare più o meno privato dell'allievo, contava il prodotto nell'indifferenza quasi totale del processo. Chi era bravo di suo, anche per condizioni ambientali favorevoli, andava avanti; chi aveva difficoltà o era considerato uno scansafatiche, oppure, si diceva, non era portato per gli studi, quindi gli si "consigliava" vivamente un lavoro manuale. Il voto era uno strumento sanzionatorio e di selezione, doveva premiare o ratificare la sconfitta e il fallimento, per sempre.
Da qui bocciature o abbandoni, evasioni, o, come
si dice oggi, la dispersione (una volta si diceva "selezione di
classe" 1). Tutti meccanismi e processi
discriminatori basati sull'assioma che per studiare bisogna "essere
portati", altrimenti, al lavoro manuale! Si è messa di mezzo la scienza.. e la storia
Peccato, o meno male, che il pensiero
scientifico moderno affermi, al contrario, che tutti, nessuno
escluso, purché messi nelle "dovute condizioni", sono capaci di
apprendere. Fra le dovute condizioni c'è la necessità che l'allievo
sia conosciuto profondamente, sia seguito anche personalmente, sia
destinatario di strategie individualizzate mirate a favorire,
promuovere la sua crescita intellettuale, affettiva, sociale,
comportamentale. Perché, ebbene sì, anche lui ce la può fare, ha
risorse di intelligenza e capacità spendibili ai fini del successo
scolastico, se gli ambienti di apprendimento sono motivanti,
gratificanti, interessanti. Perché il suo successo ora sarà una
risorsa per la società domani. A condizione che la società oggi
voglia investire su queste risorse umane per il futuro. Maestro unico vs team
Per svolgere un'azione didattica così intesa è
da preferire il maestro unico o il team di insegnanti specializzati
che hanno maggiori possibilità di seguire più da vicino i processi
di crescita degli alunni singolarmente presi? La responsabilità
pedagogica e didattica di una sola persona, oppure una
responsabilità condivisa tra più insegnati che osservano, valutano,
intervengono sulla persona/alunno con più competenze disciplinari
specializzate, si confrontano collegialmente, mediano i propri come
gli altrui giudizi? Il diritto costituzionale allo studio La cosa che i genitori dicono più di frequente agli insegnanti è che il loro figlio/a è particolare, quindi, ha bisogno di attenzioni particolari e di essere seguito in modo particolare. Hanno ragione i genitori a chiedere alla scuola una maggiore efficacia didattica e una buona ed inclusiva pedagogia a misura dell'alunno. Hanno torto quando rispondono ai sondaggi dicendo che basta una sola insegnante, cadendo in palese contraddizione, dal momento che un insegnamento e un apprendimento personalizzato non potrà essere meglio garantito al suo/a figliolo/a da un maestro che dovrà affrontare in solitudine 25/30 bambini. Il diritto allo studio è un diritto costituzionale delle persone singolarmente prese. La scuola non è un'agenzia erogatrice di servizi, che non si occupa e preoccupa di mettere tutti in condizioni di fruirla. La differenza tra la scuola della Costituzione e le altre "agenzie" sta proprio qui. Il decondizionamento sociale costa. Il decondizionamento sociale, psicologico, culturale è premessa necessaria dell'apprendimento, altrimenti la scuola diviene l'orribile Minosse di dantesca memoria 2). Solo che le differenti condizioni sociali, psicologiche, culturali non sono "colpe" e l'insegnante sa che il suo compito è quello di lottare fino allo stremo per far meritare all'allievo il successo scolastico, non regalarglielo, come blaterano i terribili censori che occupano la scena mediatica, scagliando il je accusé contro la scuola moderna e brandendo il voto di condotta come arma letale.
Per poter operare districandosi nella fitta ed
intricata rete dei condizionamenti, che devono essere rilevati,
analizzati, capiti, per trovare/provare soluzioni metodologiche e
didattiche specifiche per quello/a allievo/a, gli insegnanti devono
essere messi nelle condizioni più favorevoli per svolgere al meglio
la loro professione, che oggettivamente è diventata più difficile,
complessa, più carica di responsabilità, più necessitante di studio
continuo, aggiornamento, specializzazione, più carica anche di
tensione emotiva, più bisognosa di riconoscimento economico,
sociale.
La gogna mediatica.
Ma la professione docente è deprivata di
riconoscimento economico e sociale, perché quotidianamente
crocifissa ed umiliata dalla gogna mediatica cui la sottopongono una
classe dirigente autoritaria e populista, con tutto lo svolazzo
osannante e baciapile che le fa da claque osannante le mirabolanti
gesta del prode condottiero, dei suoi magnifici cavalieri di ventura
e damigelle di compagnia. Si vuol tornare a quei tempi glorificati
da opinionisti e accademici narcisi come quelli che imperversano su
quotidiani prestigiosi? Poveretti, data l'età, rimpiangono la
propria fanciullezza e non si chiedono se può fare altrettanto la
folla dei meno fortunati che sono andati a consumare la vita nei
campi, nelle fabbriche, all'estero da emigranti, e magari ci hanno
rimesso la pelle in qualche miniera. E non si chiedono quante
intelligenze si sono perse per strada a causa di un sistema
scolastico basato sul principio della discriminazione e della
esclusione. Se così fosse stato, forse oggi avremmo, tra quegli
"scarti di selezione", opinionisti e intellettuali più bravi, meno
autocentrati e spocchiosamente arroganti, come quello, ad esempio,
che costruisce le proprie alte e dotte argomentazioni favorevoli al
maestro unico dicendo in molte trasmissioni televisive: se sono
uscito io dal maestro unico, allora vuol dire che funzionerebbe bene
anche oggi. Roba da proporlo come candidato al Premio Pulitzer! C'è sempre un'altra prospettiva
La discussione sul maestro unico, finora, è
stata impostata dal governo a partire dalle ragioni di spesa, dal
bilancio, dal bisogno di tagli. La indifferente ed oggettiva
prospettiva economica viene assunta ad assioma e poi, per catene di
deduzioni, si arriva alla inderogabile esigenza di tagliare gli
insegnanti nella scuola elementare (e non solo!). Pena il fallimento
del Paese (questo sì è terrorismo e cattiva informazione!). Secondo
una logica, più che altro una politica, che fa acqua da tutte le
parti. La scuola qui ed ora, prima di tutto
Partiamo dai bisogni delle bambine/i, dei
ragazzi/e, degli adolescenti. Partiamo dai loro bisogni formativi,
da ciò che sono, fanno, sanno. Partiamo dalle strutture delle loro
conoscenze, esperienze, partiamo dalle pulsioni interne che sono
alla base dei loro comportamenti, partiamo di loro vissuti
relazionali. Che sono qui ed ora, persone concrete, non proiezioni
di un ego adulto, nostalgico di una fanciullezza mitizzata che si
propone (o impone?) come modello per i ragazzi/e di oggi. La reductio ad unum, il medioevo che avanza " Un voto, un libro e un maestro ", come afferma Tremonti noto pedagogista, risponde ai bisogni degli adulti, alle loro difficoltà di capire, allo smarrimento e disorientamento che accusano davanti alla complessità, alle contraddizioni del mondo attuale. Agli adulti manca il punto di riferimento genitoriale. Ecco perché il bisogno di sicurezza, il sentirsi bambini che chiedono al papà protezione, autorità, gerarchia, disciplina (sappiamo tutti poi chi è questo papà). I bambini non c'entrano niente con tutto ciò. La difficoltà di confrontarsi con diverse verità, non può essere superata lasciandone UNA ed eliminando le altre. La fatica e la difficoltà di capire le varie peculiarità caratteriali, comportamentali, comunicative delle diverse persone, per entrare in relazione con esse, non si possono superare limitando i contatti ad UNA sola persona. La fatica e la difficoltà di capire le diverse verità contenute nei vari libri, non si possono superare riducendo tutto lo scibile che serve al bambino di oggi ad UN solo libro. La fatica e la difficoltà di capire cosa c'è dietro le valutazioni, non può essere superata dalla reductio ad UNUM del voto e pertanto, anziché promuovere presso le famiglie la cultura della valutazione, si banalizza e mortifica la scuola facendole... dare i numeri, buttando a mare decenni e decenni di avanzato, pregevole e utile lavoro dei docenti e del mondo scientifico, i quali, insieme, hanno dato vita a ricerche, pubblicazioni, sperimentazioni, aggiornamenti, formazione, in larga parte oggi riscontrabili nella pratica didattica di moltissimi docenti.
Ma da noi la reductio ad unum proposta/imposta
va oltre la scuola, i governanti l'assumono come principio
ordinatore della società e dello Stato, è il medioevo che avanza. L'altra prospettiva
Se è vero che c'è un'emergenza educativa nel
nostro Paese, se è vero che la scuola è un disastro totale, mi
chiedo: perché non partiamo da una seria analisi di questa
istituzione, per capire nel profondo il suo malessere e le cause che
lo determinano? Perché tranciare giudizi superficiali, liquidatori e
strumentali che danno al Paese un'immagine distorta e falsa di essa,
basandosi su indagini internazionali iperuraniche che non dicono
niente, o su numeri che non interpretano la realtà nel profondo?3) Allora e solo allora sarebbe chiaro cosa funziona e cosa no, le zone di luce da generalizzare e i coni d'ombra su cui intervenire, le ristrettezze e le carenze da risolvere con investimenti adeguati e gli sprechi da ridurre con un'opera di razionalizzazione e bonifica. Questa strada sarebbe seria e percorribile, premessa necessaria per costruire una vera politica scolastica, se non ci fosse, al contrario, la volontà politica di fare cassa, ora, subito e a qualsiasi costo.
Il teorema che cerca di sostenere questa
operazione è surreale: i tagli massicci di personale e risorse non
so quanto possano funzionare in un'azienda, nella scuola certamente
non potranno mai essere automatica causa di miglioramento
dell'offerta formativa. I tagli massicci infatti colpiscono in modo
indiscriminato tutto e tutti, bambino e acqua sporca, come si suol
dire. Non sono riduzioni qualitative, mirate a sanare i punti
critici e incentivare quelli di forza, sono solo numeriche,
statistiche, economiche. Esse sì sono senz'anima
4), non la scuola italiana, almeno per chi la frequenta, la
studia, ci lavora, dà l'anima e la conosce nella realtà, non
nell'immagine caricaturale e distorta, come uno spot, raccontata dai
media e dai santoni tuttologi e ossequianti che li popolano. L'emergenza
Forse, nel nostro Paese, la madre di tutte le
emergenze sul piano della cultura e della democrazia sta diventando
sempre più quella comunicativa e dei media, che fra l'altro,
influenza, e non poco, quella educativa. Ma questo tema è un tabù
inviolabile, perché non si tocca l'istrumentum regni. 1) L'espressione, secondo me, è giustamente superata dal fatto che, oggi, "gli scarti di produzione" non sono più e solo i figli dei poveri, ci sono anche i deprivati dal punto di vista affettivo, psicologico, culturale che tagliano trasversalmente tutta la società. Resta sempre, però, che un modo per cavarsela a chi appartiene ai ceti medio-alti è sempre dato dalla propria condizione. Per tutti gli altri ... l'inferno della vita.
2) Stavvi Minòs orribilmente, e ringhia: 3) E' preoccupante come siano usati e strumentalizzati casi singoli, episodi sporadici, statistiche avulse dal contesto per colpire emotivamente l'opinione pubblica ed indirizzarla verso un giudizio di scatafascio intollerabile, di odio per gli insegnanti, fannulloni e incompetenti. Tutto buono a far campagna che prepara l'opinione pubblica al consenso verso tagli generalizzati ed indiscriminati, dopo aver isolato i docenti ed averli additati come causa del dissesto economico dello Stato.
4)"Scuola senz'anima" articolo di Giuseppe De
Rita sul Corriere della Sera del 10 settembre 2008 |