Disabili a scuola:
il modello Gelmini
non assicura l'integrazione
di Gianni Gandola e Federico Niccoli da
ScuolaOggi,
21.10.2008
“Nel tanto vituperato decreto Gelmini – scrive
il Corriere della Sera del 20 ottobre in un paginone dedicato alla
disabilità a scuola - l’integrazione scolastica delle disabilità non
viene neanche nominata. Eppure in piazza a Roma c’erano
anche…insegnanti di sostegno, associazioni dei genitori”.
Se non si parla di integrazione, significa automaticamente come
afferma il Ministro Gelmini che non vi è stato e non vi sarà alcun
taglio che possa riguardare gli insegnanti di sostegno?
Anche in questo caso siamo in presenza di un altro grosso inganno
(come abbiamo sostenuto in altro articolo a proposito del tempo
pieno) : ammesso , con riserva di verifica, che non vengano tagliati
posti per il sostegno, la qualità dell’integrazione resterà identica
in una scuola massacrata da tagli indiscriminati di organici, di
personale docente ed ata , con aumento di alunni per classe e
aumento di insegnanti senza titolo di specializzazione ?
Due esperti di fama internazionale (1)
hanno, per primi, compreso l’andamento del nuovo modello di scuola
gelminiano ed hanno rassegnato le proprie dimissioni
dall’Osservatorio Ministeriale per l’integrazione degli alunni con
disabilità con parole inequivocabili: «Questa nuova politica
scolastica fatta di tagli, economie presunte, annunci e smentite,
rigore, disciplina, ordine, divise, autorità, voto in condotta,
bocciature, selezione, produce in tutti ulteriore insicurezza,
diffidenza e conflitti. Queste politiche scolastiche sono
evidentemente gestite da finalità economicistiche, per risparmiare:
ma questo avverrà sulle spalle delle famiglie, sulla pelle degli
alunni e sulla credibilità della Scuola pubblica, come la vuole la
nostra Costituzione…. a questo clima di strisciante, ma non troppo,
denigrazione, come pedagogisti non ci stiamo»
La linea editoriale del nostro giornale non ha mai enfatizzato le
“magnifiche sorti e progressive” dell’attuale stato della scuola
italiana, come se tutto andasse bene e non ci fosse non solo spazio,
ma anche bisogno, di “riforme” persino nei settori più avanzati
(gestione della pluralità delle figure docenti e non, struttura del
tempo-pieno, modalità di attuazione delle compresenze, integrazione
degli alunni disabili, dei nomadi, degli stranieri,…). Riformare
significa, però, partire dalle “buone pratiche” per inserire tutti
gli elementi di flessibilità –poco praticati ancora oggi- auspicati
dal DPR 275/99 sull’autonomia scolastica (autonomia didattica,
autonomia organizzativa, autonomia di ricerca e sperimentazione).
Per restare allo specifico dell’integrazione delle disabilità, è
necessario, per prima cosa, rimuovere tutte le cause che rendono
fragile l’identità dell’insegnante di sostegno. Non si può
continuare ad utilizzare una figura di professionista, perennemente
sospesa tra il fantomatico rapporto –non è colpa di Gelmini, almeno
questo- aritmetico 1:138, costruito per determinare l’organico di
diritto dei posti di sostegno e il fabbisogno vero di insegnanti di
sostegno, che viene determinato nel cosiddetto organico di fatto e
che risulta quasi sempre doppio. I posti aggiuntivi vengono
assegnati, dopo defatiganti contrattazioni, solo all’inizio
dell’anno scolastico ed anche dopo. Nella scuola si assiste ad un
vergognoso tourbillon di docenti “titolari” che perdono il posto,
poi lo riacquistano; di supplenti temporanei che coprono i buchi ad
inizio d’anno e poi vengono sostituiti da altri supplenti con
maggior punteggio in graduatoria con ulteriori sostituzioni se, dopo
tante peregrinazioni, spunta un insegnante specializzato “avente
diritto”. Una situazione di tale precarietà istituzionale non può
che riflettersi negativamente sulla qualità dell’integrazione
scolastica e soprattutto non riesce a dare attuazione ad un
principio di grande valore contenuto nella legge quadro
sull’handicap : la contitolarità dell’insegnante di sostegno
rispetto a tutto il resto del corpo docente.
La percentuale elevata di insegnanti di sostegno, non forniti di
titolo di specializzazione, acuisce la fragilità della figura, che
viene spesso considerata di “serie B” e favorisce, in non pochi
casi, tre nefaste pratiche:
- L’allontanamento per non poche ore settimanali
degli alunni disabili dalle classi di appartenenza ed il loro
dirottamento in apposite “aule di sostegno”
- La trasformazione del docente “fragile” in
angelo custode dell’alunno disabile : unico punto di riferimento,
nonostante leggi e circolari da anni insistano nel decretare che il
sostegno è fornito alla classe, non al singolo alunno
- L’utilizzo spregiudicato del docente
dall’identità fragile in tappabuchi per la copertura delle
cattedre/posti temporaneamente vacanti per le assenze, non coperte
da insegnanti supplenti, degli insegnanti “titolari”.
Il Ministro, se avesse voluto occuparsi seriamente
dell’integrazione, avrebbe dovuto porre rimedio a questa situazione
di precarietà istituzionale, lanciando un piano programmatico di
stabilizzazione del personale addetto al sostegno ed un piano
straordinario di formazione di tutti i docenti delle scuole di ogni
ordine e grado sulle modalità di attuazione dell’integrazione di
tutti i soggetti con bisogni educativi speciali.
Solo così avrebbe potuto/dovuto legittimamente controllare le
situazioni anomale, che pure esistono, di assegnazioni di posti di
sostegno fortemente sperequate, e sospette, tra le varie regioni
d’Italia.
Se, invece, si taglia indiscriminatamente da tutte le parti, si
aumenta il numero degli alunni per classe e si riduce il numero di
ore di permanenza degli alunni nelle classi, non viene assicurato il
successo formativo né della generalità degli alunni né, tanto meno,
degli alunni disabili.
(1) Nota
Andrea Canevaro, docente di pedagogia speciale all’Università degli
Studi di Bologna, Dipartimento di Scienze dell’Educazione
Dario Ianes, docente di pedagogia e didattica speciale
all’Università di Bolzano