I prof:
Entrano nel sostegno, poi passano alla propria materia. Disabili a scuola, ma non in classe
Più della metà vengono tenuti a lungo fuori
dalle aule. Gabriela Jacomella Il Corriere della Sera, 20.10.2008
Diciamolo subito, a scanso di equivoci: nel
tanto vituperato decreto Gelmini, l’integrazione scolastica delle
disabilità non viene neanche nominata. Eppure in piazza, venerdì a
Roma, c’erano anche loro. Insegnanti di sostegno, associazioni di
genitori. A manifestare contro la riforma, ma soprattutto contro un
ministero che, di nuovo, sembra essersi dimenticato di quello che un
tempo era il vanto dell’istruzione italiana. E che invece si ritrova
ormai da anni ad annaspare tra fondi che vengono tagliati o che
proprio non ci sono mai stati, percorsi di formazione a dir poco
tortuosi, furberie e inanità
Nelle «disposizioni urgenti in materia di
istruzione e università » non c’è dunque traccia di handicap,
sostegno, formazione. Forse perché, per Viale Trastevere,
l’integrazione delle disabilità non è un’urgenza. Eppure: 164.392
alunni, su 4 ordini di scuola statale. Oltre 53mila insegnanti in
organico a tempo indeterminato (a cui vanno aggiunti circa 40mila
precari). E il quadro si complica se, a quel 2-3% di ragazzi
«ufficialmente» certificati dalle Asl, si unisce — dati del Centro
Studi Erickson (www.erickson.it) — un altro 15-20% con difficoltà
educative, apprenditive, di comportamento e relazione. Fenomeni in
crescita, dicono gli esperti. A luglio, ilministero ha emesso una
direttiva — la 69 — in cui, per le «iniziative di potenziamento e di
qualificazione dell’offerta formativa di integrazione» degli alunni
con handicap, sono stanziati 10.500.000 euro. Che, calcolatrice alla
mano, fanno meno di 64 euro ad alunno e poco più di 196 a docente.
C’è da aggiungere la scure abbattutasi sui costi scolastici: -7.832
milioni di euro, tra 2009 e 2012. Nessun taglio ai posti di
sostegno, giurano dal ministero. Però: maestro unico, in classi che
hanno fino a 29 ragazzi, contro i 25 di qualche anno fa (e senza più
«sdoppiamento » automatico in presenza di disabili). Riduzione del
personale ausiliario, e a volte sono proprio loro, ad esempio, che
portano in bagno il bimbo in sedia a rotelle. Monte ore che si
assottiglia, alle elementari, quando per molte famiglie con figli
«speciali» la scuola è il solo porto sicuro.
Non è solo una tendenza del governo attuale.
Lo stesso Fioroni, per dire, subì pesanti contestazioni; e fu la
finanziaria 2008 a introdurre il rapporto medio nazionale di un
posto di sostegno ogni 2 disabili, a prescindere dall’handicap.
«Quel che ha fatto il governo Prodi è un abominio: determinare
l’organico in base a un puro rapporto numerico. La Gelmini si è
trovata il taglio pronto su un piatto d’argento ». Non usa la mano
leggera, Antonio Nocchetti. Medico, due figlie («non disabili»), è
il presidente di Tuttiascuola (www.tuttiascuola.org), associazione
napoletana di genitori di ragazzi con handicap. «Dobbiamo avere il
coraggio di dire la verità: la politica non è più in grado di
sopportare i disabili nelle scuole pubbliche, perché sono diventati
un costo inaccettabile ». «La nostra integrazione scolastica ha
tanti anni, ma ho paura che oggi venga data per scontata. Mentre
all’estero stanno lottando per averla — in Europa, solo Grecia e
Portogallo sono schierati sull’inclusione, gli altri hanno sistemi
misti con scuole e classi speciali —, da noi c’è un impoverimento
del sentire che l’alunno con disabilità è parte integrale e
integrata della classe». A parlare è Dario Ianes, pedagogista
all’università di Bolzano, fondatore e condirettore del Centro Studi
Erickson. «Inserimento », «socializzazione»: dalla 118/1971 alla
104/1992, «la legge dice esplicitamente che il sostegno si fa "alla
classe". Le risorse aggiuntive sono ben date se vanno alla
collettività, non è che appiccichi un insegnante al disabile e lo
mandi in un’altra aula...». E invece, «una ricerca di prossima
pubblicazione, realizzata con Andrea Canevaro dell’Alma Mater e
Luigi D’Alonzo della Cattolica, ha rivelato che il bimbo disabile
passa molto tempo fuori dalla classe: solo uno su 2, alle superiori,
è sempre "dentro". Alle materne ben il 35% sta "un po’ dentro un po’
fuori", una quota che sale al 60% alla primaria, al 69% alle medie.
Sono medie e superiori, oggi, la nuova frontiera».
«L’abbiamo visto anche noi che con loro la
scuola diventa più difficile. Qualche volta viene la tentazione di
toglierseli di torno. Ma se si perde loro, la scuola non è più
scuola. È un ospedale che cura i sani e respinge i malati». Lo
scrivevano, più di 40 anni fa, gli alunni di don Lorenzo Milani, in
Lettera a una professoressa. Parlavano dei loro coetanei
«difficili», espulsi dalle scuole «dei ricchi». Ma la riflessione si
adatta anche a quei bambini «diversi» che la scuola, spesso, non sa
più accogliere, perché le mancano gli strumenti per farlo. Come, ad
esempio, un numero sufficiente di docenti specializzati e in
organico a tempo indeterminato (non supplenti «in deroga»), per
garantire continuità a studenti già di per sé fragili. «Di solito si
entra nel sostegno per poi passare sulla propria materia— ammette
Gabriella Villanis, che insegna in una media di Napoli —. Io però ho
fatto l’inverso: sono entrata con un concorso a cattedre per
matematica e scienze, mi sono appassionata, eccomi qua». Da vent’anni
a tu per tu con la disabilità. Quasi una mosca bianca: perché,
spiega Ianes, «il livello di cambiamento e precarietà è molto più
alto nel sostegno che in altre classi di concorso. Per contro, più
hai un corpo docente stabile, meno ore di sostegno vengono
richieste. Basterebbe una metodologia didattica più cooperativa,
avanzata...». E qui entra in gioco un altro problema: la formazione.
Ianes scuote la testa, «sono presidente del corso di laurea in
Scienze della formazione primaria, ma noi stessi non sappiamo ancora
che percorso debbano seguire gli studenti». Il punto è che sì, «c’è
un titolo che si ottiene con 400 ore di specializzazione, ma dato
che di docenti formati non ce n’è abbastanza, si prende chi capita».
E la formazione in itinere? «L’aggiornamento, oggi, non è
obbligatorio né retribuito», spiega lapidaria la Villanis. L’unica
indagine nazionale sul tema, realizzata dall’Invalsi nel 2005-2006,
rivela dati sconcertanti: quasi un istituto statale su 3 non ha
docenti curricolari con formazione sulla disabilità. Nelle private,
si sale al 68%. Con buona pace del lavoro di squadra. Soldi che non
ci sono, numeri che non tornano: come quelli del monte ore di
sostegno, «sempre troppo poche—sospira la prof —. Allora si fa
richiesta di integrazione, che a volte viene soddisfatta, altre no.
E i genitori, disperati, fanno causa». Ne sa qualcosa Nocchetti, che
con la sua associazione ha portato 280 casi davanti al Tar: tutti
vinti. Perché «è vero che il bambino disabile va preso in carica da
tutto il team. Ma la situazione è tale che l’unico modo per arginare
la falla è mettere le mani sugli insegnanti di sostegno ». Il 5
ottobre, Ianes e Canevaro hanno lasciato l’Osservatorio ministeriale
sull’integrazione: «Questa nuova politica scolastica fatta di tagli,
economie presunte (...)— si legge nella lettera di dimissioni —
produce in tutti ulteriore insicurezza, diffidenza e conflitti».
«Nella scuola italiana — chiude Nocchetti — ci sono ormai 600mila
bimbi migranti, che sommmati ai disabili fanno quasi 800mila
bambini. E i fondi? E la formazione? Altrimenti, trovino il coraggio
di ammetterlo: la scuola pubblica deve diventare il ricettacolo dei
paria ». |