Il dizionario italiano sotto il cuscino
di Arcangela Mastromarco da
ScuolaOggi,
22.10.2008
Onorevole Cota, la invito, aiutato dalla
seduzione letteraria di Tahar Ben Jelloun, a mettersi nei panni di
una giovane persona che lascia il suo paese per andare a vivere
altrove. “A occhi bassi” racconta le vicende e i pensieri di una
pastorella berbera dell’Alto Atlante che arriva a Parigi e piena di
speranze finalmente va a scuola.
… "Avevo undici anni, o li avrei avuti dopo poco. Volevo essere
grande, per affrontare la scuola e superare la maggior parte dei
bambini. Avevano con me un unico punto in comune; erano in ritardo
rispetto alla norma scolastica. Io non ero nemmeno in ritardo, io
ero a zero, venivo da lontano, venivo da una alta montagna dove mai
una sola parola di francese era stata pronunciata. Se no, le pietre
l’avrebbero ricordata e io l’avrei imparata"…
Un pensiero fisso: lasciare la “class d'accueil”, la classe degli
stranieri che testimonia il ritardo e la separatezza, e andare a
scuola con i coetanei francesi. Per questo è disposta a tutto.
… "Spesso dormivo con il dizionario sotto al cuscino. Ero persuasa
che le parole di notte lo avrebbero attraversato per venire a
sistemarsi in caselle predisposte per metterle in ordine. Le parole
avrebbero così lasciato le pagine e sarebbero venute a stamparsi
nella mia testa…
… Una notte, tolto il guanciale, misi la testa direttamente sul
libro magico. Feci fatica ad addormentarmi". Non era comodo…
La sua mozione dimostra che lei sta facendo il suo lavoro di
deputato, accoglie cioè le richieste dei suoi elettori, tra cui vi
sono certamente anche insegnanti e genitori. Lei non si inventa
niente, lei però si serve di cattivi consiglieri, pessimi.
Tutti noi insegnanti sogniamo che i nostri alunni apprendano tutto
quello che proponiamo loro e tutti allo stesso modo. Ma non è così.
La classe, anche senza gli alunni stranieri, è già una comunità di
diversi. Diversi per interessi, intelligenze, talenti, modi di
imparare.
Certi docenti, che oggi sono infastiditi dagli extracomunitari e
ieri lo erano dai disabili e prima ancora dagli immigrati dal sud
dell’Italia, vogliono degli alunni a cui fare la stessa lezione,
tutta uguale, senza perdere tempo a preparare proposte
differenziate, a parlare a ciascuno. Sono pigri, ignoranti, e
attribuiscono sempre ai bambini e ai ragazzi le loro incapacità, i
loro fallimenti didattici. I peggiori. Toppo facile insegnare a chi
impara subito e lo avrebbe fatto anche senza di loro.
Che dire di alcuni genitori, di quelli che le hanno manifestato la
loro preoccupazione che i figli rimangano indietro per colpa dei
compagni stranieri che rallentano il programma? Questi genitori li
conosco. Accelerano ogni tappa dei loro bambini, che sono costretti
ad anticipare il loro ingresso a scuola, che devono imparare almeno
due lingue, uno strumento, sport vari ecc. Dalla culla, alla
competizione del mercato.
Questi elettori esistono e lei li ascolta, anzi trasforma le loro
richieste in mozioni destinate, spero di no, a diventare leggi,
provvedimenti. Invece di ascoltare chi insegna italiano come seconda
lingua da anni, gli esperti di glottodidattica (educazione
linguistica), di linguistica acquisizionale (lo studio e la ricerca
sui modi, i tempi, gli stadi di acquisizione di una lingua diversa
dalla lingua madre), i pedagogisti che da anni si occupano di
inserimento.
“La via italiana per la scuola interculturale e per l’integrazione
degli alunni stranieri” è un
documento elaborato da una commissione
di specialisti che da anni affrontano questi temi e che hanno
prestato gratuitamente la loro competenza al fu Ministero della
Pubblica Istruzione.
Presentato esattamente un anno fa, in un seminario dal titolo
significativo: “Scuola e immigrazione: strategie e misure a
confronto”, raccolse l’interesse e l’incoraggiamento di esperti e
funzionari ministeriali venuti da Francia, Germania, Inghilterra,
Spagna e Svezia, che riconoscevano nel nuovo modello italiano una
proposta illuminata e lungimirante.
…Insegnare in una prospettiva interculturale vuol dire assumere la
diversità come paradigma dell’identità stessa della scuola,
occasione privilegiata di apertura a tutte le differenze…
Nessuno studioso, nessun docente competente potrebbe condividere
l’idea che le classi separate facilitano l’apprendimento
dell’italiano.
Ogni anno migliaia di ragazzi italiani partono per il Regno Unito,
per imparare l’inglese dove si parla. Le scuole migliori, e anche le
più costose, prevedono corsi di lingua inseriti in summer camp dove
si svolgono attività sportive e pratiche insieme a parlanti nativi
(gli inglesi madrelingua).
Perchè gli alunni venuti d’altrove devono imparare in un luogo e in
un tempo che li separa dai coetanei italiani? Perché non possiamo
offrire loro l’opportunità di corsi intensivi in alcune ore della
giornata scolastica? Corsi a scalare, a seconda dei progressi o da
incrementare, se ci sono degli intoppi.
La via italiana esiste. La legga con attenzione e senza pregiudizi.
Ci hanno lavorato i più importanti esperti e accademici italiani. E
non sono solo parole, se si giudica dagli stanziamenti del
precedenti ministro.
Voglio chiudere con la risposta di Randya (nome di fantasia), una
bambina di sei anni, con entrambi i genitori non udenti, a chi le
chiedeva come avesse fatto a imparare l’italiano:
… Bè io camminavo da Esselunga, ho visto gli italiani, ho sentito
tutto e poi ho imparato bene e loro parlavano tanto e poi guardavo
la televisione, e poi a scuola i miei amici che parlavano bene…
Rendiya è trilingue: lingua madre, la lingua dei segni; seconda
lingua, quella del suo paese d’origine; terza lingua l’italiano,
imparato spontaneamente in poco più di un mese.
Non tutti i bambini stranieri sono così veloci, né speciali, sono
bambini. Ci sono quelli che imparano per tentativi ed errori, quelli
che parlano solo quando sono sicuri, quelli che non hanno attitudine
per le lingue ecc. Bambini e adolescenti destinati comunque ad
essere bilingui e anche di più, perché la malattia del monolinguismo
affligge particolarmente gli italiani.
In una cosa però sono diversi: conoscono due paesi e due culture.
Hanno attraversato “un ponte sospeso tra due mondi” e imparato
presto a fare confronti, a interrogarci.
Che cosa penserebbe Randya della sua mozione e dei suoi test? Se
ascoltasse questa piccola persona che ha la responsabilità di fare
da interprete ai suoi genitori, forse potrebbe cambiare idea e
chissà, ritirare quella proposta incompetente e anacronistica.
Arcangela Mastromarco, insegnante di italiano lingua seconda da 18
anni.