Scuola: cosa nasconde il burocratese Gianfranco Pignatelli Professione Insegnante, 16.10.2008 Il piano Gelmini-Tremonti per la scuola si muove lungo tre direttici: “revisione degli ordinamenti scolastici”, “dimensionamento della rete scolastica italiana” e “razionalizzazione delle risorse umane”. Il burocratese non basta a nascondere i tagli come obiettivo esclusivo. Eccoli: 87.400 cattedre e 44.500 posti Ata (amministrativo, tecnico e ausiliario) cancellati che, sommati ai tagli già programmati dal precedente esecutivo, arrivano a 160 mila occupati in meno. La manovra si realizza con l’aumento - oltre il sostenibile - del rapporto alunni/docente, col maestro unico e la soppressione di 11.200 specialisti di inglese e del tempo pieno alle elementari, con la contrazione delle ore in tutti gli ordini di scuola, la compressione del tempo prolungato alla scuola media, la rivisitazione delle classi di concorso degli insegnanti per favorire la mobilità provocata dalla realizzazione di ulteriori tagli all'organico e la soppressione/limitazione di alcuni insegnamenti (es. latino nei licei scientifici) e del sostegno agli studenti con handicap. Effetto collaterale, e per nulla marginale della manovra, l’espropriazione di qualsivoglia prospettiva occupazionale per gli oltre 300.000 insegnanti precari impiegati da decenni nella scuola statale. Ad essere falcidiate, però, non sono solo le “risorse umane” ma anche quelle materiali. L’algido burocratese del ministero dell’istruzione ci fa sapere che gli attuali "punti di erogazione" del servizio scolastico sono 41.862 ma si prevede di tagliarne 10.080. Ciò equivale alla chiusura delle scuole con meno di 600 alunni, prevalentemente dislocate nei centri più piccoli e disagiati, con l’inevitabile aggravio dei disagi, della dispersione ed elusione scolastica, ma anche la perdita del patrimonio identitario locale e la soppressione tout court degli avamposti di legalità e socializzazione presenti sul territorio. L'intera operazione dovrebbe consentire risparmi superiori a 8 miliardi di euro, pari ad un terzo dell’intera manovra finanziaria dello stato. Come a dire che la scuola paga per tutto e paga per tutti.
Una scelta dissennata, spacciata per
“razionalizzazione”, che investe prioritariamente le risorse umane.
Per attuarla si dà ad intendere che l’istruzione migliore si ottiene
con meno insegnanti. Al tanto peggio, insomma, s’aggiunge il sempre
meno. Così, la classe politica scarica sui lavoratori del comparto
scuola responsabilità e costi della retrocessione agli ultimi posti
delle classifiche OCSE occultando le colpe di quella sequela di
ministri incompetenti ed incapaci che hanno sgovernato l’istruzione
nell’ultimo ventennio. Così gli insegnanti - sempre più
sottoccupati, sottopagati e sottostimati - sopporteranno il prezzo
più alto del contenimento della spesa pubblica o della cosiddetta
razionalizzazione delle risorse. Intanto, assistono impotenti alla
politica dei troppi segni meno: meno risorse, meno tempo scuola,
meno classi, meno cattedre e diritti. Pochi, invece, i segni più:
più alunni per classe, più ore per singolo docente, più precarietà.
Gli effetti più devastanti della manovra Tremonti-Gelmini si
spalmeranno nel tempo e si rifletteranno su tutti. Segare così la
scuola significa compromettere il futuro dei giovani, l’equità
sociale e l’unità nazionale. Un’istruzione sempre più deficitaria
impedirà alle nuove generazioni di competere ed affermarsi. A chi sa
ed ha di meno sarà preclusa la facoltà di progredire e di avere le
medesime opportunità concesse a chi parte da situazioni
socio-culturali più vantaggiose. E non è tutto. Discriminando le
aree periferiche e marginalizzate del Paese s’accentueranno le
disuguaglianze, impedendo, nei fatti, quella possibile parificazione
tanto necessaria per l’applicazione del federalismo. Il disegno
politico che si nasconde dietro il buracratese spinto è, in realtà,
secessionista e classista. E’ un piano che smantella la scuola
pubblica, quella di tutti e per tutti, quella che non divide e non
discrimina, non toglie e non esclude. |