TRA I MANIFESTANTI

«Senza il tempo pieno
manderemo i bimbi in strada».

 Pierluigi Tamburrini Il Gazzettino di Venezia, 11.10.2008

«Ma se tolgono il tempo pieno io a chi lo affido mio figlio?», si chiedevano tra loro i poliziotti di pattuglia alla manifestazione contro la riforma della scuola tenutasi ieri dal Tronchetto fino a campo San Geremia. Facendo sorgere un'inusuale solidarietà tra manifestanti e forze dell'ordine. E completando il quadro di una manifestazione che, oltre a studenti e insegnanti, ha registrato un ampio coinvolgimento dei genitori, preoccupati innanzitutto per la permanenza del tempo pieno scolastico. «Senza il tempo pieno i bimbi li manderò in strada, a giocare a pallone come trent'anni fa, tanto questa riforma è un passo indietro di trent'anno sbotta Federica Omiccioli, mamma di due bambini che la seguono in corteo perchè anche la nonna lavora e una baby-sitter chiederebbe più di quanto io guadagno». E un'altra mamma, Caterina, critica la «disinformazione che c'è su questo decreto che mi sembra troppo ambiguo».

Aveva gli occhi lucidi nel vedere sfilare i 10mila manifestanti Silvio Resto Casagrande, ex presidente della Consulta della scuola e figura storica della scuola veneziana, passato dall'essere maestro unico a preside di vari istituti. «È una giornata in cui si risolleva il cuore. Tutta questa gente mi dice che non abbiamo finito di sperare esclama questo decreto è un grossissimo passo falso del governo. Io ero maestro unico a Burano, con 32 bambini e senza stranieri. Vogliamo tornare indietro a quei tempi?». Erano i tempi, secondo un gruppo di maestre di Ceggia, «di una scuola autoritaria, che escludeva i più deboli, e che contrasta con l'immagine romantica della scuola col maestro unico che qualcuno vorrebbe far passare». E poi «un quarto dei bimbi in classe sono stranieri, per un maestro unico sarebbe impossibile insegnare mantenendo un minimo di qualità»

Si richiamano al loro corso di studi le studentesse di Scienza della Formazione dell'ateneo di Padova, che esibiscono sul petto un cartello con il numero di matricola universitario auspicando che, dopo la laurea, serva a qualcosa. «Al di là della preoccupazione per il nostro futuro professionale, un nostro esame si chiama Metodi del lavoro di gruppo e presuppone che l'insegnante sia inserito in un team con cui confrontarsi dice Giulia Bonaventura, iscritta al terzo anno la riforma, quindi, contraddice le più elementari regole della moderna pedagogia». Preoccupazioni lavorative vengono dai precari: «Quando sono arrivata in Veneto per insegnare, 8 anni fa, ero la numero 1250 in graduatoria dice Marianna, 31enne originaria di Frosinone ora che sono 37esima questa mi sbatte la porta in faccia?». Precaria da 7 anni è anche Lea, originaria di Taormina, dove risiede il marito: «Per me il precariato ha significato 1.400 chilometri di distanza da mio marito e ora l'idea di andarmene senza un futuro e dopo aver rinunciato a fare un figlio è agghiacciante». Moltissimi gli studenti delle superiori. «Non mi va l'ipotesi di una riduzione delle ore di latino, per quanto a me non piaccia dice Dora Burigana, 2° anno al Benedetti e poi non dite che facciamo sciopero per non andare a scuola, se poi manifestiamo anche di pomeriggio».