Le balle del governo sul tempo pieno
di Gianni Gandola e Federico Niccoli da
ScuolaOggi,
25.10.2008
Come in un copione già visto al tempo della
Moratti, il Presidente del Consiglio, il ministro Gelmini e l’on.
Cota, nuovo maitre à penser della politica scolastica di questo
governo in tv, vanno dicendo da qualche tempo che il tempo pieno non
verrà toccato dai provvedimenti legislativi adottati, anzi che
aumenteranno le classi a tempo pieno.
Abbiamo già scritto in precedenti articoli (1) qual è la differenza
sostanziale tra il “modello pedagogico” del Tempo pieno così come si
è venuto storicamente a configurare (dalla legge n.820 del 1971 alla
legge n.148 del 1990 fino alla legge n.176 del 25 ottobre 2007,
ministro della P.I. Fioroni, con il “doppio organico” assegnato alle
classi e via dicendo) e le “40 ore” di scuola e non torniamo
sull’argomento. Ci limitiamo a ribadire che una cosa è quel modello,
altra un tempo scuola che arriva “fino ad un massimo di 40 ore,
mensa inclusa” con l’introduzione del maestro unico più l’aggiunta
di qualche altro docente che “copre” in qualche modo le ore
restanti. Due cose, abbiamo detto, completamente diverse. Distanti
anni luce.
Quello che vogliamo sottolineare invece in
questo articolo è l’assoluta contraddittorietà delle affermazioni
degli esponenti di area governativa (e di buona parte degli organi
di “informazione”) circa il fatto che ci sarà un’espansione del
Tempo pieno.
Il motore della “riforma” Gelmini-Tremonti, il suo principio
ispiratore, sta nel fatto che occorre ricavare da tutta questa
operazione, quindi anche dalla “rimodulazione dell’assetto della
scuola primaria”, un’economia di spesa pari a 8 miliardi di euro (lo
dice espressamente il comma 6 dell’art.64 della legge n.133/2008).
Per fare questo occorre ridurre il tempo scuola e quindi il numero
degli insegnanti attualmente impiegati. Infatti si prevede una
riduzione di 87400 posti docenti, di cui 14000 nella scuola primaria
(stime ricavabili non da “interpretazioni sindacali” ma dallo stesso
Piano programmatico del ministero dell’istruzione di concerto con il
ministero dell’economia).
Quindi cosa può accadere, in concreto? Il grosso
dei tagli riguarda innanzi tutto i moduli, che costituiscono il 75%
delle classi di scuola primaria in Italia. Se oggi ci sono tre
insegnanti ogni due classi, quindi una media di 1,5 insegnante per
classe, con la reintroduzione del maestro unico (un solo docente per
classe e non più uno e mezzo) si recuperano il 30% dei posti.
Il punto è che questo “risparmio” non può essere “reinvestito”
all’interno della scuola pubblica (altrimenti non ci sarebbe
l’economia di spesa posta come obiettivo ultimo). Ampliare il tempo
pieno del 50%, come si va dicendo, secondo quelle che sono da sempre
state le sue caratteristiche strutturali (doppio organico, due
docenti contitolari per classe), oltre che rappresentare un
controsenso sul piano pedagogico (come conciliare il modello del
“team docente” con quello del “maestro unico”?), comporterebbe anche
un problema di tipo quantitativo. Come soddisfare infatti tutte le
richieste di tempo pieno che da anni sono state inevase (da tempo,
anche nella stessa legge 148 del 1990, è posto un limite
all’espansione della dotazione organica del tempo pieno)?
Quello che invece si può fare e che
probabilmente si farà (se non altro per evitare proteste di massa e
una vera e propria “insurrezione” dei genitori nei grandi centri ove
il tempo pieno corrisponde ad una diffusa richiesta sociale) sarà
una redistribuzione di parte dei posti docenti recuperati dalla
eliminazione dei moduli per garantire le 40 ore di scuola agli
alunni.
E’ un film che in parte abbiamo già visto all’epoca della riforma
Moratti. Invece di assegnare (o mantenere) il doppio organico sulle
classi di tempo pieno – come, ripetiamo, ha ribadito la legge n.176/2007
- verrà attribuito alle attuali scuole a tempo pieno e a
qualcun’altra un numero di docenti sufficiente a garantire le 40 ore
di servizio. Per fare un esempio concreto: in caso di nuova
istituzione di quattro classi prime a tempo pieno invece di otto
insegnanti (doppio organico), per garantire 40 ore di tempo scuola
agli alunni ne bastano 7 (più l’insegnante di religione, unica
categoria docente che, guarda caso, non viene toccata dalla
“riforma”…).
Insomma, come abbiamo già detto e ripetuto più volte, al massimo si
arriverà a soddisfare la richiesta di 40 ore di scuola. Magari
facendo ricorso anche ad ore aggiuntive dei maestri unici o degli
insegnanti “eccedenti” (ammesso e non concesso che le scuole siano
in grado di sostenere la spesa, come prevede l’art.4, comma 2 bis,
con il proprio fondo d’istituto).
Sta di fatto che una volta affermato il
principio che il modello base della scuola elementare è un solo
maestro e 24 ore settimanali inevitabilmente tutto il resto (le ore
in più) si configurerà sempre più come “doposcuola”, come orario
aggiuntivo, accessorio. E quindi, in una fase successiva, si potrà
demandare questo orario, aggiuntivo e quindi di fatto
“assistenziale”, a qualcun altro sia esso l’ente locale piuttosto
che le scuole private.
Insomma, il Tempo pieno che abbiamo conosciuto e vissuto in tutti
questi anni è un’altra cosa. E questo modello pedagogico-didattico è
inconciliabile con il ritorno del maestro unico. Non basta il gioco
delle tre tavolette per occultare questa verità.
Ora, si dirà che queste nostre considerazioni
fanno parte anch’esse delle “bugie della sinistra”. C’è un modo solo
allora per smentirle, dimostrando che non corrispondono al vero.
Berlusconi e Gelmini (e Tremonti!) dicano con chiarezza che
confermano tutte le classi attualmente a tempo pieno esistenti (e le
richieste delle famiglie sulle future prime) sulla base dell’art. 1
della legge n.176 del 25 ottobre 2007 (2) e che, sempre sulla base
di questa normativa, amplieranno gradualmente lo stesso tempo pieno
(con il doppio organico!) del 50%…. Perché qui sta il punto. Questa
è la prova del nove per capire chi racconta balle e chi no.