Cambiare la scuola Aldo Schiavone, la Repubblica, 12.10.2008 Quando si parla di scuola – anche in momenti gravi come questo – il pensiero dovrebbe correre subito ai suoi autentici protagonisti: ai giovani che la abitano e la fanno vivere. Ma curiosamente, su di loro quasi sempre si sorvola, come su un argomento che appare, insieme, indecifrabile e scontato. C'è sempre qualcosa di più urgente, che incalza alle porte. E invece, per adesso almeno, proviamo a chiedercelo, senza lasciarci distrarre dall'emergenza: come sono, cosa sono diventati, i nostri ragazzi e le nostre ragazze? Cos'è, oggi, una mente adolescente? Ha fatto bene il presidente Napolitano a ricordare che la scuola italiana ha bisogno di scelte coraggiose e di rinnovamento, da far nascere in un clima di dialogo, e che sarebbe assurdo, per qualunque governo, pensare di ripartire ogni volta da zero, disfacendo sistematicamente quanto costruito o abbozzato dalla maggioranza precedente. Ma da dove cominciare, per discutere seriamente, se non cercando innanzitutto di guardare a loro, al mondo di chi adesso ha fra gli undici–dodici e i diciassette–diciotto anni: al cuore della nuova generazione che la scuola dovrebbe preparare a far entrare in campo? Da sempre, noi posiamo sui giovani uno sguardo sfocato. Sono la vita che continua e che cambia; e in questo intreccio c'è inevitabilmente – per gli adulti – qualcosa che sfugge, si perde, che non passa da un'età all'altra, e confonde immagini e linguaggi. È stato così da un tempo immemorabile: ed è questo che ha reso tanto difficile – ma anche luminosamente avvincente – ogni autentica esperienza pedagogica, di formazione primaria: già Platone ne aveva un'idea. Ma oggi sta accadendo qualcosa di diverso. Finora, la pressione educativa degli adulti, non meno che i ritmi biologici di una vita (in media) molto più breve, erano riusciti a chiudere l'adolescenza nei confini di una transizione veloce verso una precoce maturità, da conquistare appena possibile; e la mentalità giovanile – l'autorappresentazione che i ragazzi si formavano di sé – finiva con riprodurre questo modello: crescere in fretta, diventare "grandi"; il mondo degli adulti come attrazione irresistibile, sia pure (spesso) con il proposito di sovvertirne le regole. L'apprendistato delle armi e della politica facevano il resto (per l'universo maschile, s'intende: ma era quello dominante). Il mito della guerra e quello della rivoluzione (insieme, o in alternativa). Quasi per l'intero Novecento, le giovani generazioni si sono formate così, almeno fino agli anni Ottanta. Ora, tutto questo non esiste più. L'adolescenza e la prima giovinezza si sono sottratte al magnetismo degli adulti. L'allungarsi biologico e sociale della vita ha reso meno urgente il passaggio alla maturità. I tempi si sono dilatati, c'è meno fretta. La novità demografica si è subito trasformata in elaborazione culturale – dei giovani su se stessi, e della narrazione degli adulti su di loro – ed è diventata ormai, con un'assimilazione velocissima, quasi un dato antropologico. L'adolescenza si è emancipata dalla sua condizione di minorità, si è consolidata in uno stato mentale capace di un irradiamento forte, in un tempo di vita non più schiacciato dalla corsa verso la maturità. Induce ormai un universo di consumi, di mode e di simboli che a loro volta la stabilizzano e la proteggono. La vita "lunga" non ha più un solo culmine, né un'unica finalità: ha fasi autonome, con passaggi morbidi; non è lineare, ma multiversa; si sviluppa in più direzioni, ciascuna con proprie inclinazioni e regole. Facciamo fatica ad accorgercene: ma per la vecchiaia (dovremo presto trovare un altro nome) sta accadendo qualcosa di perfettamente simmetrico. Non riusciamo più a tenere la nostra esistenza nei limiti di un solo tracciato. Le possibilità di vissuto da esplorare sono ormai troppe per una semplificazione così radicale. Il cambiamento sta avendo conseguenze pedagogiche e sociali enormi, che siamo ancora incapaci di valutare. Esso richiede educatori che abbiano piena percezione che la materia umana su cui lavorano è diventata straordinariamente delicata e incandescente, e ha bisogno di essere accostata in modi completamente nuovi. Ma apre anche grandi opportunità di rinnovamento, di cui dobbiamo approfittare. Vi è, nell'universo dei nostri ragazzi, una spinta verso la cura di sé, verso l'affermazione immediata della propria labile e cangiante identità – sotto forma di bisogno di riconoscimento, di visibilità, di ricerca di approvazione nella cerchia dei coetanei – che se non controllata e orientata dall'ambiente in cui si esprime, può aprirsi su rischi assai seri. In un bel libro, appena uscito, di Gustavo Pietropolli Charmet si parla, credo giustamente, di un "narcisismo" adolescenziale insieme "fragile e spavaldo", nutrito di merci e di tecnologia. La possibilità del bullismo e della violenza – cortocircuiti drammatici fra smodatezza dei desideri e immediatezza della soddisfazione – , come anche di ogni eccesso consumistico, è inclusa in questa fascia di pericoli. Una scuola all'altezza dei propri compiti dovrebbe saper cambiare, insieme a coloro che educa. Per farlo, le occorrono mezzi, strumenti, flessibilità, aggiornamento, vocazioni. Non le serve una superficiale verniciatura autoritaria. Le serve invece valutare con attenzione la quantità di sofferenza e di repressione (sì, proprio questa parola) che si può somministrare a un adolescente per contribuire dall'esterno alla sua ricerca di identità, alla formazione autonoma del suo mondo interiore e della rete della sua socialità: offrendo misure, regole, metodi di conoscenza, razionalità intorno ad alcune idee guida: il gusto del merito, il piacere del progetto, il senso del futuro. La qualità di questo intervento deve essere in grado di dosare uniformità educativa e adattamento alle circostanze. Le nostre scuole operano in situazioni sociali estremamente diversificate. Ve ne sono che appaiono come avamposti assediati in ambienti degradati dall'abbandono e dalla criminalità; e ve ne sono che lavorano in condizioni di avanzate e di agio. Le identità giovanili si modificano, ovviamente, con il mutare dei contesti, pur nella costanza di alcuni caratteri: e una scuola matura deve saper reagire in modo proporzionato.
Nel solco di una
tradizione lunga sebbene contrastata, la nostra Costituzione assegna
due compiti alla scuola pubblica italiana: trasmettere sapere da una
generazione all'altra, e farsi laboratorio dove si promuovono una
socialità e una cittadinanza fondamentalmente egualitarie. Una
cattiva interpretazione di questa seconda funzione, favorita da una
sfrenata sindacalizzazione corporativa, ha prodotto negli ultimi
decenni danni quasi irreparabili. La mutazione antropologica che sta
ridisegnando il profilo del mondo giovanile, ponendoci di fronte a
problemi assolutamente inediti, ci dà un'occasione impareggiabile
per una vera rigenerazione. Sta a noi – alla nostra fantasia e alla
nostra lungimiranza – non sprecarla. |