Università in Italia, poi la fuga.
I talenti che hanno abbandonato il Paese
si raccontano su Repubblica.it.
Ecco le loro storie

La biologa emigrata in Polonia, il matematico finito in Spagna. Dicono tutti la stessa cosa: "Non abbiamo avuto altra scelta, in nessun posto del mondo vivere da ricercatori è così difficile come da noi". E c'è anche chi ha preferito il Cile o la Turchia 

  la Repubblica, 19.11.2008

"Io, biologa da 110 e lode sono emigrata in Polonia"

Sono biologa, ma da un anno e mezzo faccio un dottorato di ricerca in biochimica in Polonia. Il progetto è europeo e vede coinvolte Germania, Inghilterra, Austria e Francia. Ho conseguito la laurea con 110/110 e lode partendo da una media di 107/110. Dopo la laurea nessuna possibilità di dottorato (mancanza di posti). L'unica opportunità che mi si offriva era un master a pagamento (mio) che non è mai partito, oppure "tentare" l'esame per la specializzazione (ovviamente senza borsa... le borse era già stato deciso prima a chi darle...). Ho cominciato a fare tirocinio volontario, provando nel frattempo un esame per una borsa di studio: le borse a disposizione erano 2, i candidati eravamo 3 (!ma che stranooooo!). Ovviamente era già stato tutto deciso, io ero solo il terzo incomodo. Oggi mi trovo qui, in una realtà totalmente diversa, contenta della scelta che, a suo tempo, fu presa non facilmente...

 

"A Napoli solo posti per parenti e io insegno alle Grandes Ecoles"

Mi sono laureata brillantemente in economia e commercio a Napoli nel 1992. L'allora preside della facoltà , nonché presidente del mio jury di tesi rispose così alla mia domanda di poter cominciare a fare ricerca all'università e eventualmente presentare la mia candidatura per un dottorato: "Signorina, ma faccia altro... non sa che file che ci sono all'università..." Risultato: oggi i "nipoti" dei numerosi professionisti della Napoli-bene occupano i posti di ricercatore/professore a cui avrei potuto ambire anche io in un sistema più "trasparente". E io...? Insegno e faccio ricerca a Parigi all'Escp-Eap (una delle principali Grandes Ecoles). E quando, i soliti clichés si ripropongono "ma come sono antipatici sti francesi, come fai a vivere qui?", io non posso non dirmi "evviva la loro antipatia... e evviva le loro borse per il mio dottorato, il mio posto di prof, il budget ricerca che posso utilizzare ogni anno".

 

"Quella farsa delle comparse nei concorsi decisi a priori"

Me ne sono andato dopo la laurea perché volevo fare il dottorato in fisica teorica in un paese diverso. Ho trovato un posto a Tubinga, Germania. Dopo il dottorato, nel 2005, avrei voluto tornare, ma era quasi impossibile. In Italia c'era già una lunga coda di aspiranti ad un posto da ricercatore, del fatidico "organizzano un concorso per me", una anomalia linguistica tutta italiana che ben spiega la situazione. Addirittura, in vari concorsi ci sono le "comparse", ossia candidati che, seppur senza chance, vengono indotti a partecipare per evitare la ridicola situazione di un solo candidato, quello prescelto e noto già prima del concorso. Ho dovuto abbandonare l'idea di poter tornare e sono rimasto in Germania dove la posizione da ricercatore col posto fisso non esiste, quindi sono precario anche qui. Ma sono un precario da circa 2000 euro netti al mese. In Italia servirebbe una riforma: precari sì, ma pagati bene. Fondo per recupero scienziati da università straniere.

 

"L'Italia ha pagato gli studi il futuro lo devo alla Turchia"

Ho preso la laurea all'Istituto Universitario Orientale di Napoli in Scienze politiche nel 2001. Dopo pochi mesi sono andato a Londra per fare un master sulla storia contemporanea della Turchia. Ero l'unico non-turco a completare il corso e l'ho fatto con gran successo. Il mio master fu finanziato con una borsa di studio dell'Orientale. Nel 2002 ho iniziato sempre all'Orientale un dottorato con borsa di studio che ho completato nel 2005. Il dottorato mi ha portato a studiare in Turchia. In tutto io penso di aver ricevuto almeno 50.000 euro in finanziamenti per lo studio. Risultato? Visto che in Italia non avrei avuto fondi per la ricerca, né un posto di lavoro mi sono trasferito in Turchia in un'università dove insegno ai turchi storia politica del loro paese. Ho uno stipendio di 2000 euro (considerate che in Turchia ne bastano 1000 per essere benestante) e negli ultimi 6 mesi ho ricevuto almeno 7.000 euro di fondi per ricerche. Tornerei mai in Italia? No!

 

"Addio mamma e mozzarella la fisica teorica la faccio in Cile"

Anche io sono dovuto scappare dal mio paese per poter continuare a dedicarmi alla mia passione professionale: la fisica teorica. Il Cile mi ha accolto a braccia aperte. Avete letto bene il Cile, un paese sudamericano che, nonostante le limitate risorse rispetto ai paesi del "primo mondo" ha deciso di investire nel valore della ricerca come motore per lo sviluppo. Qui un ricercatore si sente meno precario che in Italia, può permettersi un tenore di vita dignitoso, senza dover contare sulla famiglia. Si può permettere di costruirsi una famiglia, dei figli, senza aspettare di aver vinto in età avanzata una posizione permanente... Quando lo raccontiamo (nel mio gruppo di ricerca, gli esuli italiani sono maggioranza) ci ascoltano con incredulità e poi si fregano le mani per essersi accaparrati manodopera specializzata che di ritornare in patria neppure osa sognarlo. Quindi si dice addio ai genitori e alla nonna, addio alla mozzarella, addio agli amici, addio al caldo.

 

"Un colloquio per il dottorato in Danimarca funziona così"

Ho studiato biotecnologie, ma ho iniziato a lavorare per il mio titolo di studio quando mi sono trasferito a Belfast.
Dopo un anno e mezzo ho avuto la voglia e l'opportunità di iniziare un dottorato in Danimarca, in un ottimo dipartimento universitario: un colloquio con il professore é stato sufficiente, per fare la richiesta di finanziamento; il professore non mi aveva mai visto prima. Vi sembra possibile in Italia? Non é facile vivere in Danimarca, ma le condizioni di lavoro che ho trovato sono paradisiache. Inoltre non trovo informazioni che mi invoglino a lavorare a Milano, né come ricercatore in università, né come dipendente in un'azienda. Ho incontrato molti stranieri che non si spiegano come sia possibile andarsene dall'Italia, ma rimangono ancora più allibiti quando spiego loro qual é la generale situazione, sia della ricerca che del resto. È molto molto triste, e francamente piuttosto frustrante.

 

"Risposta a un annuncio web ora sono ricercatore in Usa"

Sono un medico ricercatore che ha lasciato l'Italia due volte. Lavoro negli Stati Uniti, prima ad Harvard e ora a Vanderbilt. Faccio ricerca sul cancro. Sul finire del dottorato di ricerca svolto presso il dipartimento di medicina interna dell'Università di Firenze sono stato preso ad Harvard per una postdoctoral fellowship e dopo qualche anno sono rientrato in Italia sempre in forza allo stesso dipartimento. Qui, 4 anni di assegni di ricerca e poi nulla. Quindi ho dovuto lasciare l'Italia per la seconda volta. La cosa singolare è che per trovare la posizione dove ora mi trovo al Department of Pathology della Vanderbilt University Usa mi è bastato rispondere all'annuncio online, mandare il mio cv e sono stato contattato. È bastata una job interview telefonica senza che nemmeno conoscessero il mio volto per assumermi. Per gli Usa ha parlato il curriculum.

 

"Roma, Oslo e poi la Spagna ero precario, oggi lavoro"

Laureato e dottorato in matematica presso l'università di Roma, La Sapienza. Dopo il dottorato ho avuto un co.co.pro di 6 mesi e ho lavorato un anno e mezzo senza copertura finanziaria se non qualche sporadico (e umiliante!) compenso per attività didattica. Esasperato, una volta presa la decisione di "emigrare", ho subito trovato opportunità importanti. Un contratto di ricerca a Granada (Spagna) e poi un post-doc nel centro di eccellenza C.m.a. di Oslo (Norvegia). Questa esperienza mi ha poi permesso di vincere un posto, sostanzialmente a tempo indeterminato, in Spagna (a Valencia). Qualche confronto fra Oslo e Roma? Stipendio: Oslo: 3200 euro/mese Roma: 0-800 euro/mese; Ufficio: Oslo: sì (tutto mio, con computer scelto da me, lavagna, nome sulla porta) Roma: no (o meglio... un tavolino ricavato in un ex ufficio stampa dismesso in cui 40 dottorandi e alcuni postdoc abusivi si contendono 8 sedie e nessun computer!)