Professori in carriera.

Oggi la carriera universitaria prevede stipendi molto bassi all'inizio, per i ricercatori. Una riforma dovrebbe modificare gli scatti d'anzianità, per legarli alle pubblicazioni scientifiche. Dovrebbe garantire il contratto a tempo indeterminato, ma solo dopo un periodo di prova di almeno quattro anni. E prevedere sanzioni per i docenti che si dedicano a lucrose attività extra-accademiche e trascurano ricerca e insegnamento abbassando così il rating dei dipartimenti. Non serve invece l'anticipazione del pensionamento obbligatorio.

di Paolo Garella da La Voce, 21.11.2008

La discussione sulla riforma dell’università italiana, non può prescindere da alcune riflessioni su elementi relativi al “contratto” che lega docenti e università.

VALORE DELLA CARRIERA E RINGIOVANIMENTO

Il sistema universitario italiano può essere competitivo a livello internazionale e attirare ricercatori da tutto il mondo solo se è competitivo anche sul piano del valore economico della carriera, calcolato alla “data zero”. Oggi gli stipendi dei ricercatori sono bassissimi all’inizio, e arrivano  dopo almeno otto-dieci anni di studio universitario a salario zero, mentre il profilo intertemporale della retribuzione successiva premia esclusivamente l’anzianità di servizio. Ovviamente, gli stipendi futuri lontani nel tempo, alla data zero, hanno un peso molto basso nel calcolo del valore attuale. Sottrarre ricercatori alla concorrenza estera con la promessa di uno stipendio decente solo dopo quindici anni di lavoro è impresa assai improbabile per l’università italiana. Quindi, l’idea spesso sbandierata dal ministro di turno, sia di sinistra che di destra, di rinnovare l’università con migliaia di concorsi per posti di ricercatore, con gli attuali stipendi, è del tutto controproducente: la qualità media dei concorrenti è, purtroppo, bassa. Persino più bassa, a volte, delle generazioni precedenti, e i concorrenti sono solo italiani. I concorsi per ricercatore non bastano a migliorare l’università e forse neanche a ringiovanirla, vista l’età media dei vincitori. Si deve passare a un sistema di reclutamento che non garantisca il posto a vita, se non dopo una valutazione seria dei risultati a quattro-cinque anni dall’assunzione, ma che garantisca un tenore di vita accettabile fin dai primissimi anni di carriera.

ANZIANITÀ E REMUNERAZIONE

Ipotizziamo che un lavoratore debba scegliere tra due proposte di lavoro, una dell’azienda A e una dell’azienda B. Se l’azienda A premia il merito, mentre B solo l’anzianità, i lavoratori più abili e competitivi sceglieranno l’azienda A. Dunque, la politica credibile dell’azienda, per attirare i migliori lavoratori, deve essere quella di premiare il merito. Naturalmente, la produttività (merito) cresce nella fase iniziale della carriera e decresce con l’età. Un lavoratore consapevole del fenomeno sa che in età avanzata sarà anche meno produttivo, come succede a molti ricercatori scientifici, e potrebbe perciò preferire l’azienda B anche se lì inizialmente il suo stipendio è più basso. Quindi, per evitare di perdere lavoratori eccellenti, ma avversi al rischio, l’azienda A deve temperare la politica d’incentivi al merito con premi per l’anzianità di servizio. Gli incentivi alla produttività, inoltre, possono essere mantenuti anche per i più anziani in servizio, con forme di premi occasionali al merito e con stimoli di soddisfazione non pecuniaria, come valorizzazione dei risultati scientifici, della didattica, delle collaborazioni con i più giovani. Che la remunerazione cresca con l’anzianità non è di per sé dannoso, anzi crea un legame tra l’azienda, o l’università, e il dipendente. Èdannoso che cresca solo con l’anzianità. La riforma deve cercare di modificare sostanzialmente gli scatti d’anzianità, non per fare cassa, ma utilizzandoli per legarli in cospicua parte alle pubblicazioni scientifiche.

CONTRATTO A TEMPO INDETERMINATO E COMPORTAMENTI OPPORTUNISTICI

Nella gran parte degli atenei, in tutto il mondo, i professori universitari godono del privilegio del contratto a tempo indeterminato. Poiché questo privilegio è concesso anche nelle università private, ad esempio negli Stati Uniti, vale la pena ricordare quale ne è la spiegazione fornita dagli economisti. (1)
La ricerca dell’efficienza richiede che in ciascun settore scientifico l’università recluti i giovani migliori. Ora, se il reclutamento deve essere affidato a esperti, tralascio qui i problemi dei concorsi italiani, l’università deve quasi forzatamente chiedere che la selezione sia fatta dai membri dei propri dipartimenti. Infatti, in un sistema concorrenziale, membri dei dipartimenti di un ateneo concorrente avrebbero l’incentivo a tenersi i migliori per sé e ad assumere i mediocri nelle altre università. Dunque, i propri docenti sono anche i reclutatori delle nuove leve di un ateneo. Ovviamente, un professore che sa di poter essere licenziato se la sua produttività è minore di quella di un altro, non ha incentivi a reclutare giovani che possano surclassarlo. Proprio il contrario di quello che l’università vorrebbe in un sistema competitivo. Il costo della garanzia a non licenziare è necessario, benché non sufficiente, per un reclutamento efficiente.
Un'altra spiegazione del contratto a tempo indeterminato si basa sulla speciale natura del mestiere di docente e di ricercatore, che può essere esercitato in libertà, e quindi anche in modo efficiente, solo se si assicura un sufficiente grado di indipendenza dal potere politico, economico, religioso. La riforma deve continuare a garantire un contratto a tempo indeterminato, ma solo dopo un periodo di prova che duri almeno quattro anni.
Inoltre, per evitare comportamenti opportunistici dei docenti, vanno studiate forme di sanzioni, come la decurtazione di parte dello stipendio o l’obbligo di ricorrere al tempo definito o persino congedi temporanei obbligatori senza stipendio per quei docenti che, svolgendo lucrose attività extra-accademiche, fossero portati a trascurare il lavoro di ricerca e di insegnamento e dunque ad abbassare il rating accademico dei dipartimenti a cui appartengono.

PENSIONAMENTO

Un’anticipazione del pensionamento obbligatorio è stata proposta dalle colonne de lavoce.info. Tuttavia, applicare tale misura ai docenti già in ruolo danneggerebbe quelli che vivono solo dello stipendio, che pur hanno accettato un contratto con bassissimi stipendi iniziali. Ma non penalizzerebbe coloro che praticano professioni private, magari con poca attività accademica.
Un cambiamento del sistema di progressione stipendiale, basato sul merito, si potrà accompagnare a  forme d’incoraggiamento alla pensione per i docenti già in ruolo che desiderano cessare la loro attività accademica e che abbiano almeno 67 anni. Le misure potrebbero essere: (i) la creazione di una categoria, cui si acceda per scelta individuale a qualsiasi età, di professori non attivi, non stipendiati, con il mantenimento del titolo accademico, (ii) l’obbligo per tutti d’insegnare almeno 120 ore annue, oltre a una presenza annuale obbligatoria in ufficio minima equivalente a due giorni a settimana: ciò basterebbe a spingere all’uscita i docenti che preferiscono la professione privata; (iii) limitare drasticamente l’accesso degli over 67 ai fondi di ricerca; (iv) vietare agli over 67 la partecipazione alle commissioni di concorso e ai posti di direzione dei dipartimenti e facoltà.


(1) Milgrom e Roberts: Economics, Organization and Management, 1992, Prentice Hall. (Traduzione italiana, Economia, Organizzazione e Management, Il Mulino 1994