Parole e numeri, giudizi e voti

di Gabriele Boselli da ScuolaOggi, 14.11.2008

Nel decreto 137 e nella successiva l. 169/2008 l’attenzione generale è stata calamitata dal cosiddetto “ritorno al maestro unico”. Ma anche nella valutazione i “ritorni” non sono irrilevanti.
Esprimo qualche avviso intorno alla valutazione degli alunni, con riferimento anche a quella secondo parole e giudizi o secondo numeri e voti. Sono considerazioni personali dovute sia alle ricerche e agli studi cui ho partecipato sia al mio trascorso mestiere di maestro e di professore. Dirò pure di quelli che mi sembrano essere i vantaggi e gli svantaggi di entrambe le formalizzazioni del valutare.
 

Parola e numero

La prima differenza è inerente alla tipologia formale dello strumento. Penso che, nei confronti dei genitori e degli stessi ragazzi (o anche di noi stessi), non ci si possa nascondere dietro il velo del voto né, nei giudizi, dietro un gergo "tecnico". E' noto che un linguaggio non é solo confezionamento esterno di un prodotto; fa il prodotto stesso. Si dice quel che il linguaggio adottato ci fa dire e la sua identità o anonimia fanno la valutazione.
La parola è intimamente situata nella storia, esprime dei volti e delle relazioni intersoggettuali, contiene (e normalmente esplicita) margini di polivalenza, di ambiguità, di in-definizione; delimita debolmente un campo semantico elastico, agile, variabile; accorda crediti; concede proroghe. La parola apre, espone; attrae il soggetto verso l’intero campo del possibile.
Il numero è normalmente percepito come in una bolla sospesa dalla storia, “nome” di qualcosa di oggettivo, forma stabile di identità permanenti, sovrapponibili e interscambiabili; è percepito o almeno presentato come indipendente da chi enumera, univalente e univoco, preciso, esattamente definito, inelastico, inflessibile. Riflette –si opina- quel che c’è al momento e basta; è dichiaratamente aintenzionale e “protettivo” dell’esistente e –da solo- archiviativo del possibile.
 

Comunque, atti linguistici

Il rispettivo potenziale del numero e della parola si riflette sul giudizio e sul voto.
Essenzialmente, il giudizio guarda in volto ed esprime il “come ti vedo”, il voto guarda il prodotto e aspira a riprodurre il “cosa vale il tuo agire”. Per questo a molti genitori e a non pochi insegnanti il voto piace, come tante cose che solleticano la nostalgia, sembrano rafforzare l’autorità e appaiono semplici da emettere e da capire.
Gran parte degli studiosi non vede invece positivamente il ritorno ai voti. In fenomenologia la valutazione, ovvero il “valutare in azione” non appartiene ai numerabilia, non ha pretese oggettivistiche. Il “conoscere secondo idee di valore” é ampiamente visto come atto linguistico di:

a) continua riconfigurazione delle conoscenze;

b) riflessione: non possiamo raccontare di nulla che ci sia assolutamente esterno ma solo di eventi di cui siamo in qualche modo parte;

c) conoscenza trascendentale: il sapere non é della cosa ma di qualcuno (soggetto individuale o collettivo) che entrato con essa in relazione, ne acquisisce coscienza attraverso la consapevolezza di sé de dell'altro nel loro reciproco essere ad altro, entro il quadro delle forme della soggettività trascendentale (es Lingua, matematica…);

d) atto storico in quanto rappresentazione della cosa nelle forme in cui essa sì da e può essere pensata in un particolare momento della storia.

e) dinamica intellettuale continua, essenzialmente instabile, organicamente esposta al rischio della scelta di provvisorie configurazioni.
 

Osservare davvero

L'osservazione – da cui si deve partire in ogni atto valutativo - non é mai oggettiva. Se non nel mondo degli eventi fisicamente rilevanti: se si tratta di osservare per contarli tutti gli oggetti stellari di magnitudo 11, un computer ben programmato può svolgere in poche ore il lavoro osservativo equivalente a quello che un uomo svolgerebbe in mille anni. Applicati al di fuori degli eventi materiali, estesi alle scienze dello spirito, i criteri osservativi "automatici" finiscono per far osservare solo quello che si vuol vedere (talvolta creandolo se i fenomeni previsti faticano a configurarsi) e per escludere quanto non entra nei protocolli osservativi .
"Con l'osservazione fenomenologica cessa lo sguardo naturalistico sull'uomo che lo oggettiva riducendolo allo statuto della cosa osservata e prende avvio quella ricerca di senso che ogni biografia, per il solo fatto di essere umana, inevitabilmente esprime". (da: Umberto Galimberti Dizionario di psicologia, UTET '93, voce: osservazione).
Le strutture sincroniche (e inevitabilmente sinottiche) della descrizione non possono render ragione di esseri che non sono ma divengono e divengono dentro e a un flusso temporale, a un senso (tendenza evolutiva dei fenomeni). Penso che l'osservazione –comunque essenziale- debba pertanto non descrivere ma raccontare, esplicitando il narratore.
 

Natura e limiti del “giudizio” come del voto

Emettere giudizi o distribuire voti – in ogni campo e se non costituiscono un mero fatto di potere - rappresentano atti di intersoggettivo stabilimento di valore. Ogni soggetto individuale o collettivo rappresenta a suo modo il mondo, gli eventi, il "reale" e la relativa immagine - mediata attraverso concordati con i gruppi di riferimento - dipende da lui come dalle aree osservate. Con il giudizio come con il voto, l’insegnante contribuisce a costruire la realtà, inevitabilmente (ma consapevolmente e responsabilmente!) in-formandola della propria identità. Il “giudizio” fenomenologico é un approccio

"spostato dalla credenza ingenua nelle cose e nelle persone come realtà indipendenti dai fatti di coscienza, e quindi (volto a costruire) strutture trascendentali" (R.Massa in "Sugli usi della fenomenologia nella pedagogizzazione attuale" Enciclopaideia, n.2/97).

Se il docente è davvero attento, può essere più sostanzialmente rigoroso con le parole che con i numeri.
 

Strumenti

La misura – per cui meglio si presta il voto - é sempre strettamente dipendente dal metro di riferimento, dal sistema di valori dell'individuo o del sistema che valuta. I giudizi utilizzano uno strumento "naturale", prodotto di una cultura tanto storicamente fondato e fondante da divenire natura: la lingua materna. Seguirla é ritrovarsi umilmente con le possibilità e i limiti della propria intelligenza dell'altro e del suo agire culturale. Nella sua complessità, il linguaggio ordinario del dotto (stiamo infatti parlando di insegnanti) può render ragione.
Il miglior strumento di valutazione sarebbe forse un normale quaderno "a righe di quinta" per ogni alunno (o un normale file di scrittura) in cui annotare le nostre osservazioni e interpretazioni esplicitando le nostre impressioni di valore. Ma gli insegnanti sono disciplinati e opereranno bene con ogni strumento che arrivi da Roma.
 

Valutare mettendoci la faccia, in modo onesto e chiaro

Quando ero maestro elementare, i genitori nei primi tempi chiedevano a quanto corrispondessero in voto numerico i giudizi che davo. Ora probabilmente succederà il contrario. Occorre sdrammatizzare, far capire che anche i voti numerici sotto il 6 passano e possono arrivarne di migliori; va sempre riaffermata –come e specialmente per il voto di condotta- la fiducia nelle possibilità del ragazzo.
Essendo meglio sempre una consapevole parzialità di un'oggettività necessariamente fasulla, é meglio un linguaggio personale di uno stereotipato. Compilato diligentemente il documento ufficiale, si parli e si scriva dunque più secondo noi stessi che secondo l'anonima identità collettiva. Comunichiamo anche a voce, sempre mostrando il volto, senza schematismi "professionali", non dissimulando le difficoltà e i conflitti in noi attivati dal valutare.


Conclusioni

Per stare a posto
Compilare i documenti ufficiali che arriveranno avendo ferma la consapevolezza della loro valenza effettuale.
Non valutare reattivamente (tipo: “sei stato vagabondo e cattivo, adesso ti metto a posto io”) ma proattivamente .

Per conoscere
Tenere un diario che racconti la nostra percezione dell'incontrarsi dei ragazzi con se stessi, con gli altri e con i saperi. Magari anche un altro diario per vedere come questo è fatto dalla scuola nel suo complesso.

Per un valutare formativo
Voti e giudizi non servono tanto a riflettere lo stato presente quanto a disegnare il futuro, costituire una “profezia” almeno in parte destinata ad adempiersi. Attribuire dunque voti e giudizi non solo come risultanze del valore delle prestazioni ma –soprattutto - come indicazioni positive di valore e di fiducia nelle possibilità del ragazzo come intero. Questi è in fase intensamente evolutiva e, anche laddove non lo mostri, vi crederà.


Elaborazione da
G. Boselli in "Valori, valute, valutazione" da Una valutazione possibile, a cura di Piero Bertolini, La Nuova Italia 1999