Classi separate per gli alunni stranieri:
intervista al prof. Salvatore Palidda

Pasquale Almirante da DocentINclasse, 13.11.2008

Abbiamo chiesto al prof. Salvatore Palidda, docente di sociologia delle migrazioni presso l’Università di Genova, autore di parecchi libri fra cui il suo ultimo: "Mobilità umane", Raffaello Cortina Editore, nonché esperto di migrazione internazionale, già consulente Ocse, e responsabile di numerosi progetti europei sul tema, il suo parere intorno all’emendamento della Lega che dispone di mettere i bambini stranieri che non conoscono l’italiano in classi di transizione da dove potranno accedere alle scuole normali solo dopo un test di valutazione.

 

1) E’ d’accordo, dal suo osservatorio di studioso dei problemi della immigrazione, su questa mozione approvata dalla Camera che vuole istituire classi riservate agli alunni stranieri?

R. Una tale misura non può che provocare effetti disastrosi per diversi motivi. Il primo è che rischia di accentuare l'inferiorizzazione degli immigrati favorendo così la creazione di una vera e propria popolazione di "serie C" dopo la "B" riservata agli italiani poveri e marginali (che la stessa Caritas stima a circa 15 milioni). Una tale configurazione dell'assetto sociale non solo ci fa tornare ai periodi bui della storia italiana ed europea ma non può che generare il conflitto fra chi ha sempre più potere e ricchezza e chi è bloccato nella subalternità. Di fatto si torna ai tempi in cui i figli dei "terroni" del nord e del sud (cioè i rurali che immigravano nelle grandi città) erano collocati nelle classi differenziali destinate ai cosiddetti "ritardati mentali". Questa "malasorte" è toccata anche ai figli dei nostri immigrati in Germania (si ricordi il caso di Mirabella Imbaccari dove il comune creo' una sorta di collegio-scuola per i figli degli emigrati che vivevano in maniera tragica questa stigmatizzazione a Solingen e dintorni). I nostri emigrati e i loro figli sono riusciti a raggiungere un'effettiva emancipazione economica, sociale e culturale solo dove non hanno incontrato ostacoli alla loro integrazione o sono stati favoriti nell'accesso alla regolarità del soggiorno all'estero, nell'accesso alla nazionalità dei paesi d’immigrazione, nell'integrazione scolastica dei figli, nella piena possibilità di usufruire della sanità pubblica, degli aiuti all'alloggio dignitoso e negli altri vari aspetti della vita quotidiana. Un paese che non favorisce l'integrazione regolare, stabile e pacifica degli immigrati e dei loro figli non si assicura né la prosperità (tranne forse per pochi e per poco tempo), né la posterità cioè il futuro che, lo si voglia o no, dipende da come si trattano i giovani italiani e stranieri. Non si tratta di una questione ideologica o di "buongusto" ma di una questione di importanza politica cruciale perché riguarda la caratterizzazione della polis ossia la posizione di ogni singola persona nell'assetto della società e la distribuzione delle opportunità. Una società che discrimina l'accesso alle opportunità coltiva rancore, invidie, odio ...

 

2) L’on. Cota, deputato leghista e primo firmatario, dice che: “serve a prevenire il razzismo e punta a realizzare una vera integrazione”.

R. E' ovvio che per giustificare la loro idea i signori leghisti provano a giocare d'anticipo (non scordiamo che ci furono nazisti che all’inizio dicevano di operare per il bene degli ebrei, degli zingari e degli omosessuali che ancora qualcuno considera “malati” ...). Proprio evocando il rischio di razzismo si conferma che la misura da loro voluta non può che favorire le tendenze discriminatorie se non apertamente razziste che già esistono in tutti i segmenti del nostro paese. Come ho cercato di dire prima l’unica strada per l’integrazione è quella di dare a tutti effettive possibilità di praticare diritti e doveri e sia chiaro che solo chi ha diritti può rispettare i doveri ...

 

3) Si può parlare come dice Epifani di un atto di inciviltà o come dice Bonanni di un emendamento ridicolo?

R.A me non interessa il giudizio sul grado di civiltà perché purtroppo questo tipo di valutazioni è diventato un campo di imposture tragiche (si pensi alla demagogia delirante della fu Fallaci o alle teorizzazioni di Huntington che dopo aver fabbricato il nemico islamico passa all’attacco di chiunque non sia wasp -withe anglosaxon protestant- così come nel film American gangsters i “nativi” wasp considerano i cattolici irlandesi come ignobili nemici). Né la minimizzazione che ne fa il sig. Bonanni. Mi spiace ma in entrambi i casi mi pare che i due non colgono la gravità della misura dal punto di vista politico a cui accennavo prima.

 

4) Quale soluzione per consentire la piena integrazione di fronte a classi con il 60% di bambini stranieri?

R. Se si arriva a classi con il 60% di bambini stranieri è solo perché si adottano le più bieche pratiche di “mala integrazione”: se le famiglie di immigrati e magari di un preciso gruppo nazionale o subnazionale si concentrano in una zona ben delimitata della città è perché solo là hanno potuto trovare un alloggio sebbene spesso precario e da indigenti. E’ ovvio che l’integrazione scolastica corrisponde a quella economica e sociale. Dove gli immigrati (ma lo stesso vale anche per gli zingari e persino per almeno otto milioni di italiani) possono accedere a un inserimento regolare, stabile, dignitoso e pacifico i loro figli non avranno problemi di integrazione scolastica diversi da tutti gli altri bambini di qualsiasi origine sociale, nazionale e culturale. La distribuzione degli stranieri nel territorio non è casuale: corrisponde alle pratiche di gestione concreta dell’immigrazione oggi spesso lasciate al libero arbitrio di padroncini e padroni di attività e di alloggi o tuguri che pensano solo a fare più guadagni possibili a tutti costi e sulla pelle di chiunque (si pensi agli alloggi dove abitano gli immigrati nella zona di Castelvolturno, alle baracche infrattate negli interstizi delle grandi città o delle campagne in tutte le regioni italiane). Da parte sua, anche buona parte delle forze di polizia pratica la discrezionalità che sconfina spesso nel libero arbitrio provocando in particolare la riproduzione dell’irregolarità). Del resto questo è l’esito ben prevedibile di una gestione dell’immigrazione che come ha appurato la Corte dei Conti sin dal 2003 spende l’80% dei fondi che dovrebbero essere destinati all’integrazione (peraltro derivanti dalle trattenute sulle buste paga degli immigrati) nella “lotta alla clandestinità”. Un altro esito perverso della ghettizzazione degli immigrati (a cominciare dalla loro concentrazione in territori delimitati) è ovviamente il rischio della configurazione etnico-religiosa che favorisce il potere dei vari boss con le vesti di missionari di varie sette cattoliche e non, imams, marabuts, santoni e maman, personaggi che a volte diventano anche veri e propri caporali o padri-padroni di gruppi di immigrati alla mercé di questi meccanismi proprio perché manca la possibilità di accesso a tutti alla regolarità. In realtà tutto ciò non casuale: l’Italia si nutre del 30% del PIL dovuto alle economie sommerse e di altrettanto dovuto al semi-regolare e al precario di cui sono vittime anche milioni di italiani. La riproduzione dell’irregolarità o della precarietà fornisce una massa di lavoratori e badanti o servi di ogni sorta alla mercé del padroncino italiano e anche straniero (magari contoterzista).

 

5) Sa di esperienze particolari in altri paesi d’Europa per non creare discriminazioni?

R.Malgrado tutto sia in Europa che in America del Nord ci sono tante esperienze che mostrano la possibilità non dico di eliminare del tutto ogni discriminazione ma quantomeno di limitarla. Ma vorrei che si capisse che le esperienze di integrazione dei “terroni” del nord e del sud nelle grandi città italiane valgano tanto quanto quelle riguardanti i figli di immigrati stranieri. Tutto dipende non solo dall’orientamento delle autorità politiche e amministrative e quindi scolastiche, ma ancora di più dalla pratica concreta, quotidiana degli insegnanti e degli stessi genitori. Nulla può essere dato per scontato e per magia: occorre tanta pazienza e tanto lavoro, ergo tanta buona volontà. Un esempio banale: sin dalla scuola materna i bambini possono imparare a riconoscere, convivere e rispettare ogni sorta di differenza a cominciare dalle differenze fra loro stessi (colore degli occhi, dei capelli, ecc.) e dalle storie familiari diverse ... insomma imparare che siamo “tutti parenti e tutti differenti” come recita il titolo di una delle più famose ricerche pluridisciplinari internazionali riguardante la storia della specie umana. Così nell’imparare a circa tre anni a distinguere i colori si possono fare dei giochi in cui si apprende che il bianco “sporca” tanto quanto il “nero” o gli altri colori ... e che è solo mischiando che si ottengono certe nuove e a volte sensazionali tonalità ... comunque grazie ad internet è oggi possibile trovare online molti esempi positivi a condizione di evitare demagogie populiste o umanitarismi ambigui come quelli che finiscono per usare il relativismo culturale contro l’universalismo del riconoscimento dell’uguaglianza dei diritti e doveri di tutti gli esseri umani. Peraltro un errore grave che occorre evitare è l’“acculturazione autoritaria”, ossia l’attribuzione all’alunno di una identità culturale o peggio religiosa : che gli si lasci il diritto alla libertà di identificazione e appartenenza, deve essere lui a maturarle. Da quando sono partiti dalla loro società locale di origine, gli emigrati in quanto tali, spesso solo inconsapevolmente, sono entrati in un processo di ibridizzazione culturale (sono atopos) in cui si mischiano non sempre in modo adeguato elementi della cultura locale di origine e altri della cultura locale dl luogo dove si insediano. I figli degli immigrati a loro volta spesso non hanno nulla a che vedere con la cultura dei genitori tanto più se sono nati e cresciuti nel paese di immigrazione di questi ultimi. Allora, per favore : che si eviti di assegnare al figlio di egiziani l’identità che si rifà alle piramidi e alla sfinge e che si eviti di far passare per multiculturale il ridicolo o a volte penoso pranzo etnico.

 

6) Pensa che a livello europeo si possa trovare una strategia comune e adeguata al fenomeno?

R. Purtroppo sinora l’Europa predilige logiche proibizioniste e protezioniste che sono sicuramente stupide perché non favoriscono lo sviluppo che invece, sfruttano gli Stati Uniti, il Canada e la stessa Australia, malgrado anche là sia presente la stessa logica però non è ossessiva come da noi. E purtroppo va ricordato che questa stupidità produce anche tanti morti annegati nel nostro mare o alle frontiere terrestri.
Tuttavia, dopo circa venticinque anni di lavoro e ricerche anche a livello europeo, mi permetto di dire che in tutti gli altri paesi europei la situazione dell’immigrazione è meno precaria e meno “mal gestita” che in Italia. L’integrazione dei figli degli immigrati è generalmente favorita proprio perché la lunga esperienza del passato ha insegnato l’importanza di questo aspetto per la posterità di tutti. Fra l’altro, e la ministra Gelmini lo saprà, tutte le statistiche mostrano che, quando non ci sono ostacoli palesi discriminazioni, la maggioranza dei figli degli immigrati riesce ad avere risultati scolastici superiori a quelli dei figli degli autoctoni. E’ da sempre il caso dei figli di magrebini in Francia e in Belgio, dei figli dei cinesi dappertutto, e dei figli di asiatici in Inghilterra ... paradossalmente in passato sono stati proprio i figli degli italiani ad avere più difficoltà. E non è forse perché segnati da quella stigmatizzazione che ha colpito le classi subalterne in Italia prima e dopo l’Unità? Si ricordino le teorie che consideravano la popolazione al di sotto del Po (45° parallelo) come afro-europei da trattare “col ferro e col fuoco come i selvaggi della Naibia”, diceva quell’infame Niceforo originario di Nicosia nella sua veste di presidente dell’Ass. nazionale di criminologia. Insomma, quando si coltiva la discriminazione si cerca solo di coltivare subalterni e colonizzati ... ma prima o poi non finisce che qualcuno si rivolti e ammazzi il padrone o il colonizzatore ... magari per prenderne il posto ....

 

7) Da cosa nasce, secondo lei, questa scelta del Governo?

R. Mi pare evidente che questo governo cerchi di realizzare obiettivi coerenti con quella che è stata chiamata la rivoluzione neoliberale-neoconservatrice. La differenza con quello precedente sta solo nell’accentuazione dei privilegi accordati ai privati più forti e nell’accentuazione di toni stigmatizzanti in senso razzista. L’attuale governo sa che anche una parte degli elettori del centrosinistra condivide quest’orientamento e si nutre del supersfruttamento degli immigrati che corrisponde alla loro inferiorizzazione. Inoltre, è da sempre risaputo che quello che si sperimenta sulla pelle degli immigrati finisce sempre per riguardare in seguito anche una parte dei nazionali. E’ appunto la logica neoliberale/neoconservatrice che a differenza del liberalismo democratico di una volta pensa alla prosperità immediata e a tutti i costi di pochi fregandosene della posterità. Ma, quelli che avevano come slogan “me ne frego” non terminarono bene il loro ventennale dominio.