L'intervista Il ministro agli studenti oggi in piazza:
vi capisco, ma la scuola è un motore rotto

CAPISCO L'ANSIA DEI GIOVANI IN PIAZZA
VOGLIO CAMBIARE PER DARE LORO UN FUTURO

Luigi Contu e Mario Reggio la Repubblica, 14.11.2008

ROMA - Ministro Gelmini, il mondo dell'Università torna in piazza. Il nostro giornale pubblica un sondaggio in cui il governo cala nei consensi e anche lei, dopo essere arrivata a quota 42 nel gradimento, perde cinque punti. Non crede che sia giunto il momento di avviare una riflessione autocritica sulle decisioni fin qui adottate?

«Quando si fanno riforme profonde si paga sempre un prezzo in termini di critiche e di resistenza al cambiamento. Resto convinta che il paese abbia diritto ad un sistema della formazione moderno e competitivo e che sia mio preciso dovere lavorare in questa direzione. Accanto a chi mi contesta le assicuro che sono molte di più le persone che incontro per strada e che mi incoraggiano a non mollare».


La accusano di avere accettato troppo supinamente i tagli imposti da Tremonti con la legge finanziaria.

«Il Governo di cui faccio parte è stato votato con un mandato preciso: ridurre il debito pubblico, il terzo al mondo e riqualificare la spesa. E' mio preciso dovere, come di ogni altro componente del governo, contribuire al raggiungimento di questo obiettivo. Le assicuro che da subito mi sono resa conto che le spese per il funzionamento e il personale della scuola erano fuori controllo ed ho ritenuto indispensabile intervenire. L'Italia spende in istruzione come la Germania, ma i soldi vengono spesi male. Usare meglio il denaro pubblico è un obbligo morale verso le nuove generazioni».
 

Eppure i fondi per il tagli dell'Ici li avete trovati facilmente. Forse si poteva studiare un taglio più graduato che consentisse magari di evitare la misura che più ha fatto discutere il mondo della scuola: l'introduzione del maestro unico alle elementari. Possibile che su questo punto così controverso non ci siano spazi per ripensamenti?

«I soldi non c'entrano. L' introduzione del maestro prevalente risponde alla necessità di avere un punto di riferimento educativo che accompagni la crescita personale e scolastica del bambino. Al maestro prevalente sarà affiancato il maestro di inglese e di religione. L'introduzione di più maestri ha portato l'Italia dal 3 posto all'8 nelle classifiche internazionali di qualità della nostra scuola elementare. Voglio inoltre ricordare che il maestro prevalente è presente in tutti i paesi d'Europa. Tutti sanno che l'introduzione dei 3 maestri è servita per dare più posti di lavoro proprio quando i bambini diminuivano. Un'esigenza sociale comprensibile, ma non certo formativa e che comunque oggi non ci possiamo più permettere».


E il tempo pieno?

«Sul tempo pieno si è fatta una cinica disinformazione, creando un immotivato allarmismo tra le famiglie. Come lei sa purtroppo una bugia ripetuta 10 volte può diventare, per qualcuno, una verità. Il tempo pieno non diminuirà, anzi già dal prossimo anno con l'eliminazione delle compresenze e il ritorno al maestro prevalente ci saranno 50.000 bambini in più che potranno usufruire del tempo pieno».


Eppure ha rappresentato una stagione di forte innovazione pedagogica. Lei se la sente di confermare l'impegno al mantenimento dell'orario scolastico senza che i tagli previsti comportino un peggioramento della qualità dell'insegnamento?

«Per la prima volta si affronta il tema della qualità seriamente. La scuola in Italia è come un motore rotto. E' inutile aggiungere benzina, cioè soldi, se il motore è guasto. Noi vogliamo rivedere i meccanismi di spesa pubblica nella scuola per eliminare le inefficienze e destinare i soldi nella qualità. Ricordo inoltre che la finanziaria prevede che il 30%dei tagli verrà reinvestito per incentivare i professori migliori con un premio produttività annuo che potrà arrivare fino a 7.000 euro».


Torniamo all'università. L'Onda torna in piazza mentre lei ha riaperto un confronto con il mondo accademico e con i sindacati. Cosa si sente di dire a quei ragazzi delle scuole superiori e dell'università che sfileranno a Roma e che hanno forti preoccupazioni per il loro futuro?

«A questi ragazzi dico che capisco il loro disagio e che la loro preoccupazione è anche la mia. Io sto dalla loro parte, anch'io sono stata studente e ho avuto preoccupazione per il futuro. Mi ha particolarmente colpito lo slogan " La vostra crisi non la pagheremo noi", ma io penso che questi ragazzi stiano già pagando un prezzo che si traduce in scarsa mobilità sociale, mancanza di un posto di lavoro sicuro e sfiducia nel futuro. Ma proprio questo stato di cose mi convince che occorre avere il coraggio di cambiare. Il mio impegno è per una scuola ed una università che promuovano i talenti dei giovani, creando veramente pari opportunità e garanzie di titoli di studio spendibili nel mondo del lavoro. Io lavoro perché almeno una università italiana possa essere annoverata tra le prime 100 al mondo, perché si affermi un sistema di allocazione delle risorse basato sulla qualità della ricerca e il Paese sappia rispondere a questa difficile congiuntura dotandosi di un sistema di formazione moderno ed efficiente. E' una sfida difficile, di cui avverto come ministro la piena responsabilità, ma sono anche consapevole che per vincerla occorre il contributo di tutti».


Difficile avere il contributo di tutti se si esclude una parte del sindacato. Anche lei, come il presidente Berlusconi, ha voluto privilegiare il rapporto con Cisl e Uil.

«Guardi è esattamente il contrario. E' la Cgil che ha alzato le barricate contro il governo e si è isolata in un angolo. Era già successo nel 2002 col patto per l'Italia. La Cgil si dimostra sempre di più il sindacato dello status quo, l'ostacolo al cambiamento, l'avversario del futuro dei giovani. Io voglio il dialogo, le mie porte sono spalancate per chi ha proposte, ma sono chiuse per chi vuole difendere lo status quo».
 

Ma i rettori, e non la Cgil, hanno spiegato che i tagli previsti al fondo ordinario del 2010 metteranno tutti gli ateneiin ginocchio. Ed anche il presidente Napolitano ha più volte espresso preoccupazione per i tagli.

«Il punto è un altro: nel 2010 le università dicono che non potranno più pagare sedi e stipendi. Ma io mi chiedo e chiedo loro: come hanno investito i soldi in questi anni? Erano proprio indispensabili 5500 corsi di laurea? Sono proprio indispensabili 90 università e 320 sedi distaccate? Io mi attiverò per garantire la sopravvivenza degli atenei, ma se la mia azione è accompagnata da una autocritica del sistema universitario allora il confronto sarà più costruttivo. In questo momento è chiaro che la strada per conquistare maggiori risorse passa obbligatoriamente attraverso riforme profonde e coraggiose, che mi auguro possano giovarsi del contributo dell'opposizione e di tutto il mondo accademico».