Fontana, non berrò . . .

Renato Lo Schiavo da DocentINclasse, 29.11.2008

Fa l’indifferente, la guardo. Mi tenta - resisto. Mi sfida: cedo. Eppure mi ero ripromesso di non bere più… Una provvidenziale rottura del supporto telematico mi aveva tenuto lontano dalle discussioni legate al mondo della scuola italiana, ma il ripristino del collegamento ha triturato ogni mia pretesa di resistenza, e così non riesco a fare a meno di fornire a tanti un nuovo motivo di infastidito disaccordo.

Tagliamo corto e diciamola subito chiara: a me tutta ‘sta fregnaccia del merito non cala, e meno che mai cala l’etichettatura politica, di parte. Il merito non è di destra, né di sinistra: è un fatto personale, individuale, e basta.
Diversa è la questione dell’ideologia del merito: neppure quella è di destra o di sinistra, ma solo perché ne esistono varie versioni, legate a luoghi e circostanze, visto che quello di merito è un concetto relativo, essendo appunto una relazione che lega – vogliamo esprimerla in termini moderni, finanziari? Che lega colui che investe (tempo, energie, conoscenze) ad un qualcuno che ne certifica le supposte benemerenze (ed in quanto supposte andrebbero infilate in quel posto) in relazione a dei parametri dal certificatore scelti (e lì sta l’inghippo). E come la storia della finanza (se vogliamo astenerci dalla cronaca) insegna, lo spaccio dei subprime non è evenienza astratta.

Leggere, scrivere, far di conto eccetera sono cose importanti ed ognuno dei nostri studenti dovrebbe averne massima competenza: ne sono convintissimo e per questo quotidianamente mi batto. Con loro, gli studenti. Che spesso non ne vogliono sapere, perché non hanno le basi su cui elevare l’altezza. Oppure perché sono impegnati nella loro personale guerra contro il mondo degli adulti, ed hanno deciso di combatterla autolesionisticamente. Oppure perché l’ambiente in cui vivono (famiglia, gruppo di pari, quartiere ecc.) non assegna valore a tali competenze e quindi le considera inutili se non addirittura orpelli dannosi. E via di seguito. Che facciamo di costoro? Li buttiamo nella spazzatura, in quanto scarti?

Obiezione! Obiezione accolta. Chi non si impegna a studiare e non vuole far impegnare gli altri danneggia coloro che invece si impegnano, spesso a prezzo di grandi sacrifici. D’accordissimo. La vita reale stanga, eccome; giusto, quindi, che gli studenti negligenti siano stangati. Giustissimo. Un professore non può certo essere psicologo, assistente sociale, poliziotto ed indagare sulle reali motivazioni del profitto negativo di tutti i suoi alunni. Certamente. Un professore non è un missionario. Fortunatamente no. Come vedete, ho accolto e sottoscritto le precedenti obiezioni, ma rifaccio la domanda: che facciamo, gettiamo gli scarti fra i rifiuti?

Più d’uno starà invettivandomi che la scelta antiselettiva è pessima ideologia sessantottina e che lo sfascio scolastico attuale viene proprio da lì. Anche quella dello sfascio è ideologia, carissimo invettivatore. Antica: basta leggere a ritroso le centinaia di libri scritti sull’argomento da oggi all’unità d’Italia, per scoprire che la generazione precedente, che noi vediamo come irreprensibile custode dei sacri costumi, era stata ai tempi suoi accusata di sfascismo da quella generazione ancora precedente, che a sua volta aveva subito lo stesso destino. Se non ci credete, è solo perché questi famosi libri letti non avete.

Ma tu perché hai tutto questo piacere di darti alla catarsi (vocabolo che, come i grecisti sanno, indica lo spurgo)?Rispondo volentieri. Perché da adolescente (era il ’68, ci credereste?) volevo cambiare il mondo e per questo mi volevo iscrivere in sociologia, alla mitica facoltà di Trento. Perché, sempre da adolescente, qui a Trapani ho conosciuto Mauro Rostagno che faceva lotta politica con il suo tipico stile. Perché mio padre mi ha insegnato che tutti meritano rispetto e che la Strada è l’Università della vita. Perché il mio professore di greco, Pio D’Aleo, mentre la mia mente era occupata dalla politica e dalla musica, mi ha fatto conoscere l’alta cultura ed ha dato il giusto e relativo valore ai voti che mi metteva, anche quando (non) erano sufficienti.

Ho rinunciato alla politica attiva ed ho scelto il fronte dell’impegno civico, quotidiano: il fronte del banco. Mauro Rostagno è stato ucciso a pochi chilometri da qui, tre mesi dopo un meraviglioso pomeriggio trascorso con i miei alunni a vivere con loro e con gli ospiti della sua comunità di recupero una giornata qualunque, e perciò esemplare. Perché mio padre è morto povero, ma la sua eredità è di una ricchezza inestimabile. Perché Pio D’Aleo è stato obbrobriosamente dimenticato da questa città becera, ma io sono onorato di avere la sua cattedra, nella sezione che avevo frequentato da studente.

Non si tratta di fatti personali. Lo Destra storica, quella che ha fatto l’Italia, alla scuola ha affidato un compito fondamentale: fare gli Italiani. Nelle città con più di ventimila abitanti ha istituito un ginnasio. In tutte, anche le più fuori mano, quelle in cui si arrivava a dorso d’asino per mulattiere impervie (eloquenti ‘Le tribolazioni di un insegnante di ginnasio’ di Placido Cerri). Nei capoluoghi di provincia ha fatto sorgere un liceo. In tutti. Non so quando riuscirò a terminare quella storia della scuola nell’800 che da quindici anni costringo ad un letargo intermittente, in cui sono contenuti i dati in questione, per cui vi prego di credermi per il momento sulla parola. Fare gli Italiani: compito immane, ma chiaro. I risultati, a dispetto delle innumerevoli voci sfasciste, ci sono stati, e di gran lunga positivi. Sotto i Borboni, in questo angolo di Sicilia, le scuole erano un miraggio ed il collegio dei gesuiti, da sempre sede della scuola trapanese, per settant’anni si popolò di ragnatele - e se divenne Liceo nel 1834 fu solo perché il Ministro del Sovrano di allora era un trapanese. Se vi fosse sfuggito, ripeto qual era il compito assegnato alla scuola postunitaria: formare il cittadino italiano. Cittadino ed Italiano.

Andiamo all’oggi, o forse al domani quasi immediato. Cosa si vuole fare della scuola pubblica? Forse ci sta meglio un punto esclamativo: cosa si vuole fare della scuola pubblica! Non deve formare più il cittadino italiano. Né Cittadino né Italiano. Questo, da un pezzo: Berlusconi non c’entra, ma la P2 sì. Ciò che l’attuale governo ha messo di suo è invece la campagna di avvilimento di quella sottospecie di Impiegato Pubblico che è l’Insegnante. Tra tagli al bilancio ed al personale, aumento del numero degli alunni per classe e compagnia bella, è facile prevedere che i questionari di valutazione avranno buon gioco a dimostrare che la colpa dei risultati negativi è irrefragabilmente dei professori. Che ne pagheranno le conseguenze.

E quando arriverà in porto l’assunzione (e la licenziabilità) per chiamata diretta, dove andrà a finire la libertà d’insegnamento? Nel cesso di sicuro no, perché tutti i cessi saranno occupati dai professori, finiti lì al 50% per effetto della voce grossa dei Presidi ed al 50% per tentare l’eutanasia. Un altro 50% si troverà lì per il ricongiungimento (simile cum similibus, dicevano i latini) e l’ultimo 50% ci si troverà per far appattare i conti. Che come sempre non tornano. Almeno loro.