Chi «spara» sugli insegnanti.

Marina Boscaino da l'Unità del 5.3.2008

 

Che il settimanale "Panorama" incorra frequentemente in tirate qualunquiste che ne fanno uno dei principali protagonisti del sistema di dis-informazione italiano non è una novità, né stupisce. Del resto, una testata nelle mani di uno dei più fedeli seguaci di Silvio Berlusconi non può che inseguire coerentemente i propri obiettivi. Stupisce invece il candore con cui qualche tempo fa Antonella Piperno, giornalista di "Panorama", abbia indossato repentinamente i panni di censore per sparare a zero su un mondo - quello delle associazioni professionali di insegnanti - che, come ogni altro settore, presenta zone di luci e ombre; ma che ha innegabilmente rappresentato, nel corso degli anni, una risorsa significativa per il mondo della scuola, per la vigilanza democratica, per il supporto ai docenti, per l'elaborazione di didattica e di pensiero scientifico. E non si tratta qui tanto di difendere i singoli docenti che ne fanno parte (ciascuno, in qualunque categoria professionale, decide se svolgere eticamente o meno il proprio lavoro; e dunque sarebbe pretestuosa una difesa d'ufficio acritica che non tenesse conto di questo elemento), quanto le associazioni in sé e il ruolo che esse svolgono o potrebbero svolgere nel Paese. Quanto ha studiato la giornalista, quanto si è addentrata nel mondo delle associazioni? Con quanta approssimazione ha licenziato un articolo che - sulla scia di una convinzione ormai sclerotizzata nella mente degli italiani - alimenta il qualunquismo più becero, l'approssimazione più antipolitica, la dis-informazione, appunto, che tanta responsabilità ha avuto nella creazione dell'esistente e tanta ne avrà se, soprattutto, si dovessero realizzare i tristi presagi dei sondaggi alle prossime elezioni? Molto poco. Se solo si pensa che in un unico calderone - accompagnato dal titolo-scandalo: L'insegnante? Ha traslocato a Slow Food - ha infilato tutti: insegnanti distaccati, appunto, presso Slow Food (associazione per la difesa del cibo di qualità), presso il Wwf, presso l'associazione maschile Opera di Maria. I 100 insegnanti che si occupano di attività di prevenzione del disagio psicosociale e riabilitazione e reinserimento dei tossicodipendenti; 1099 insegnanti italiani che lavorano presso organizzazioni sindacali della scuola (il cui distacco - questo la Piperno non lo sa o non lo scrive - dipende da una legge diversa dalla 448 del '98); i 500 insegnanti che lavorano presso l'amministrazione scolastica con compiti relativi all'attuazione dell'autonomia; infine, i 100 insegnanti che lavorano presso enti e associazioni che svolgono formazione e ricerca educativa e didattica. Funzioni, come è evidente, molto differenti tra loro, ciascuna con una propria specificità, certamente non tutte legate direttamente alla formazione e ricerca, che rimangono gli ambiti di competenza specifica degli insegnanti.

Che le associazioni professionali svolgano un ruolo importante per la crescita culturale e democratica del Paese e per la dialettica interna alla scuola italiana, nonché possano rappresentare un interlocutore valido rispetto alle scelte politiche e amministrative sulla scuola è stata certamente una convinzione di Giuseppe Fioroni: a lui va riconosciuto il merito - tra tante scelte che non abbiamo condiviso - di aver solo parzialmente assecondato, nella ripartizione dei comandi alle associazioni professionali, la propria vocazione confessionale e di aver tentato una distribuzione più equa di quella, grossolanamente teo-con, operata da Letizia Moratti. E l'interlocuzione (sebbene non sempre favorevole alle associazioni) è stata reale, effettiva. L'articolo - tra luoghi comuni e comuni banalità - conclude con la quantizzazione di ciò che lo Stato paga per mantenere inalterato questo sistema (ciascun insegnante deve essere sostituito a scuola: il totale della spesa è di 70 milioni di euro, il doppio di quanto Valentino Rossi deve restituire al fisco italiano) e indulgendo alla solita tiritera sugli sprechi nella spesa pubblica: non tenendo conto, a fronte di tale denuncia, del prezioso lavoro effettivamente svolto in termini di formazione, ricerca e aggiornamento, sin dai tempi in cui queste attività non erano considerate un diritto-dovere per gli insegnanti. E di espressione di un pluralismo di idee vantaggioso per la democrazia. Io credo che, molto più che puntare il dito in maniera indiscriminata e qualunquista su una condizione genericamente descritta (alimentando, in tal modo, anche un certo malanimo con cui parte del mondo della scuola vede i comandati e i distaccati, non comprendendo che non sono rari i casi di chi, da quella condizione, lavora il doppio e soprattutto elabora e diffonde pensiero critico e cultura), bisognerebbe - salvaguardando l'istituzione e la validità che essa spiega all'interno di scuola e società - pensare di concentrare le energie su ciò che riguarda direttamente il supporto alla scuola; evitare investiture "a vita", comandi e distacchi che tengano gli insegnanti per troppi anni lontani dalla scuola: con il rischio di perderne di vista la dimensione reale; individuare metodologie per valutare in maniera attendibile l'attività, l'iniziativa democratica, il contributo in termini di ricerca, di formazione, di riflessione sulle politiche scolastiche che ciascuna associazione è in grado di fornire. Solo così sarà possibile non gettare il bambino con l'acqua sporca. Perché, in tempi di perdita di senso, di sommarietà, di superficialità patologiche come questi, il rischio è davvero grande.