La scuola, la nuova legislatura, il PD.

di Claudio Cereda, da ScuolaOggi del 5.3.2008.

 

Ho aspettato qualche giorno prima di commentare il programma del PD sulla scuola. Volevo vedere anche quello del PdL e adesso c’è persino quello di Confindustria. Ma ho fatto male ad aspettare perché ora che li ho davanti tutti e tre mi rendo conto che la scuola e i suoi problemi non sono né nel cuore né nella mente della politica. Con Berlinguer e la Moratti i due schieramenti calarono due pezzi da 90; con Fioroni ci si è proposti di fare del “tuning” con il cacciavite e ora, dopo Fioroni, ci si esprime poco come se ci si attendesse una stagione grigio uniforme (tipo divisa della guardia di finanza).

Per fortuna quel poco che viene proposto è largamente sovrapponibile, esiste cioè una base comune, di problemi e di soluzioni abbozzate, che fa pensare ad un possibile percorso condiviso. Aspetto dunque che gli esponenti del centro destra intervengano direttamente e mi dedico al programma del PD.
 

UN PROGRAMMA SCRITTO A PIÙ MANI

Rispetto ai tempi di Prodi ci sono meno compromessi da fare e dunque il programma è più snello e più chiaro (25 cartelle di quelle dense, con la scuola in posizione 7 di 12), ma dalla lettura sequenziale si esce con un po’ di smarrimento perché mentre alcune parti (le prime) sono molto precise sul “cosa e sul come fare” il segmento scuola-cultura-università ha la struttura del racconto con qualche uscita della serie “facci sognare” come quella veltroniana (che vedremo) dedicata alle “scuole belle ed aperte, anche ai nonni”.

Lo slogan di partenza è “più autonomia, per l’equità e l’eccellenza” e qui viene in mente il tormentone del “… ma anche”. Se sei politicamente corretto devi essere per l’autonomia, se sei di centro sinistra sei per l’equità e se sei moderno ci metti una spruzzata di eccellenza: equità … ma anche eccellenza.

QUATTRO OBIETTIVI

  • realizzazione dell’obbligo a 16 anni: è un tema che vale per tutti. Abbiamo già scritto delle preoccupazioni oggi sul tavolo: nelle scuole si sta facendo poco o nulla, le indicazioni nazionali sui quattro assi culturali sono state scritte in modo affrettato, Fioroni ha fatto una splendida riforma a costo zero dicendo alle scuole di costruire ipotesi di nuovo curricolo ma senza toccare gli organici (che è come dire “fate insegnare fisica ai docenti di latino”), le cosiddette nove competenze chiave sono di livello altissimo (altro che obbligo). Bisognerà rimetterci le mani e strutturare un po’ meglio la cosiddetta base comune.

  • portare al diploma l’85% dei giovani: su questo punto il nodo da sciogliere è quello della regionalizzazione della istruzione professionale e della sua integrazione con la formazione professionale. Che intenzioni ha il PD? Si farà qualche timida apertura o continuerà a valere quello strano conflitto secondo cui se sei di centro sinistra sei per lo stato centrale e se sei di centro destra sei per le regioni (una specie di nemesi storica).

  • Ridare peso alla istruzione tecnica e professionale accanto al sistema dei licei. Il peso (se con peso si intendono gli investimenti) c’è già. Gli Istituti Tecnici hanno più risorse (umane e finanziarie) dei Licei ma scontano diversità nei profili in uscita che sono in parte lo specchio della società e in parte legate alla diversità nella mission. La formazione scientifica dei Licei ha molti limiti di passatismo e astrattezza (che non è l’astrazione) e altrettanti ne ha quella dei tecnici (profilo culturale, qualità). Ha ragione chi dice che non si deve pretendere di licealizzare tutto; ma ha torto quando subito dopo pensa che “tutti possano fare tutto”.

  • integrare sistema di istruzione e sistema culturale: questo è un obiettivo europeo e in Italia vuol dire portare le istituzioni culturali dentro le scuole e aprire le scuole al territorio, ma ciò comporta ben altro della scuola aperta ai nonni (vedi oltre).
     

AUTONOMIA FA MIGLIORE EDUCAZIONE

Qui vengono dieci righe molto dense: ruolo dei dirigenti, apertura al territorio, carriera professionale dei docenti, valutazione del sistema, flessibilità degli organici. Tra gli addetti ai lavori la percezione netta è che l’autonomia, dopo la fine delle ipotesi di organico funzionale, non esista.

Prendo in parola il programma del PD: che quota di personale riteniamo si debba garantire per una gestione flessibile e poi metterla nelle mani del dirigente? Si pensa ad una diversificazione di carriere dei docenti sui due filoni della didattica e della organizzazione? Si pensa di toccare l’orario di lavoro dei docenti (diverso orario, diversa carriera, diverso stipendio)? Si pensa, pur lasciando il tema della didattica nelle mani di un organo tecnico, di rivedere il potere “dell’ultimo soviet” rimasto dopo il crollo del comunismo (parlo del Collegio Docenti). Si pensa ad un sistema di valutazione serio che prenda in esame il tema del successo formativo (che non è la percentuale dei promossi)? Si pensa a mettere la scuola sul mercato?

Poiché si tratta di questioni care anche al centro destra e anche a Confindustria perché non ci si mette intorno a un tavolo? Possiamo sottoscrivere un patto per cui il primo ministro coraggioso della Istruzione non farà la fine di Berlinguer e della Moratti? Siamo d’accordo nel lasciar fuori dalla discussione quelli che votano a favore o contro in base alla tessera del proponente? E i sindacati? I sindacati dopo; quando ci sarà da contrattare.


PIU’ ORE DI MATEMATICA

E’ solo il titolo. Il tema è quello dell’insegnamento scientifico: cominciare da piccoli (cosa che non si fa al liceo), più ore (e dunque meno ore di altro), didattica di qualità, strumenti tecnologici e cultura multimediale (il PC in rete su ogni banco), insegnamento in lingua straniera di materie non linguistiche, qualità degli insegnanti, ricerca didattica. Su questo punto la concordanza può essere molto ampia visto che il programma del PdL (ancora più striminzito di quello del PD) ripropone le tre I (Informatica, Inglese, Impresa) e che l’insegnamento in Inglese di una materia curriculare sta nella riforma Moratti.

Ci aggiungerei un’altra cosa che sta nella riforma Moratti: il pensare all’ultimo anno di scuola superiore come momento di sintesi ed orientamento in uscita in cui ci siano ricerca, corsi monografici, apertura al territorio (Università ed Impresa).
 

SCUOLE BELLE APERTE ANCHE AI NONNI

Dice il programma: “farne i luoghi più belli ed accoglienti del quartiere”. Io la giro. Come mai quando si entra in una struttura privata che esercita una funzione pubblica si viene accolti, l’impiegato alla reception ti sorride, ci sono le sale d’aspetto, …? Credo che la risposta sia nel mercato. Se lavori bene per il cittadino utente-cliente gli utili crescono, se lavori male chiudi. E’ questo il punto. Per favore non facciamo i soliti progetti di abbellimento con grandi investimenti in conto capitale destinati a non cambiare nulla perché si cambia il contenitore senza cambiare il contenuto e il bello dura da sei mesi a due anni prima di ritornare nello squallore di sempre.

Facciamo un progetto che faccia vivere la scuola; che preveda organicamente una diversificazione di carriere ed attività. Se i lavoratori della scuola stanno a scuola anche il pomeriggio la scuola è già aperta al pomeriggio e si inventano tutte le sinergie del mondo. Se invece ragioniamo in termini di FIS (fondo di incentivazione), se per fare un corso con gli adulti stranieri bisogna iniziare cercando la copertura finanziaria per chi apre e chiude la scuola, non se ne esce.

I docenti hanno uffici di lavoro? Avete visto qualche sala professori? Per altro (almeno è così in Brianza) un po’ di bricolage socio-educativo lo si fa tutti (il coro, il laboratorio teatrale, la conferenza, i corsi di lingua, …) ma quel che serve è un salto di qualità che consenta di mettere la scuola al centro del suo territorio. Non vorrei tirarmi addosso le ire degli insegnanti di Educazione Fisica ma credo che la questione della pratica motoria (di cui al punto successivo del programma) vada affrontata qui dentro.

Resterebbe da parlare di Università. Ma è un discorso lungo e non è il mio ambito professionale (io mi limito testardamente a fornire ragazzi entusiasti alle facoltà scientifiche). Sarà per un’altra volta.