L'organizzazione curricolare dell'istruzione
tra passato e futuro.
di Antonio Gasperi , Mestre, 19.3.2008.
In una mia precedente
riflessione (1) sottolineavo come
l'istruzione dal punto di vista della teoria della comunicazione si
può organizzare secondo il tradizionale modello trasmissivo/istruzionista
oppure secondo il più recente modello cooperativo/costruttivista.
Ora, senza voler suggerire accoppiamenti forzati fra modelli
comunicativi ed organizzativi, cercherò di analizzare l'aspetto
organizzativo dell'istruzione, secondo il consueto modello
curricolare da un lato, e un più recente modello che potremmo per
comodità definire "per competenze" dall'altro lato. Il lettore mi
perdoni se inizierò questa riflessione con un'ampia citazione tratta
da una nota opera di Friedrich Nietzsche:
"Io non prometto né prospetti né nuovi orari per licei e scuole
tecniche, e piuttosto ammiro la natura esuberante di coloro che sono
in grado di percorrere tutta quanta la strada che dalle profondità
dell'empirismo sale sino all'altezza dei veri problemi culturali, e
di lassù ritorna sino alle bassure dei più aridi regolamenti e dei
più graziosi prospetti; mi contento invece di aver scalato -
ansimando - una discreta montagna, e di potermi rallegrare per una
vista più aperta: quanto agli amici dei prospetti, in questo libro,
non li potrò davvero accontentare." (2)
La citazione è tratta dalla Prefazione da leggere prima delle
conferenze, sebbene propriamente non vi si riferisca. Il grande
filosofo - dopo aver scritto ed inviato a Richard Wagner la Nascita
della Tragedia - tenne infatti nel 1872 a Basilea cinque conferenze
sull'avvenire della scuola: la lucidità con cui in quel periodo egli
fu in grado di leggere nel presente i segnali del futuro, ci può
suggerire una chiave di lettura delle attuali difficoltà della
scuola pubblica; tralasciando i riferimenti al contesto tedesco, in
particolare prussiano, e la descrizione del ruolo del genio per la
cultura tedesca, è utile riflettere sulla perentoria affermazione di
Nietzsche riguardo allo Stato che, nel garantire un'istruzione per
tutti, cioè spingendo verso un'estensione della cultura, ne produce
anche l'indebolimento.
Mi riservo di dedicare un prossimo intervento all'esame delle
ragioni economiche che spinsero tutti gli Stati a garantire l'alfabetizzazione
della loro popolazione nell'epoca della rivoluzione industriale,
mentre ora cerco di tradurre in "linguaggio corrente" l'affermazione
nitzscheana. Il pensiero pedagogico che accompagnò la creazione
della scuola pubblica si basò sostanzialmente su tre assunti (3):
a) il progresso delle conoscenze come condizione del progresso umano
b) l'educabilità come dimensione propria di ogni uomo c) il
principio della democrazia egualitaria attraverso l'educazione alla
cittadinanza attiva.
I tre assunti diedero vita al concetto di curricolo, inteso come
applicazione in campo pedagogico della divisione del lavoro,
governata da un sistema di controllo centralizzato. Ora, è risaputo
che per la teoria psicologica dominante fino alla metà del secolo
scorso, il behaviorismo, l'apprendimento è il cambiamento prodotto
nel comportamento dell'allievo attraverso l'azione esteriore
dell'insegnamento. Entro tale cornice scientifica, le teorie
curricolari, che parcellizzano il tempo scuola in prospetti
settimanali e suddividono il monte ore annuo di ciascuna disciplina
secondo altrettanti obiettivi didattici, sono perfettamente
congruenti.
Tuttavia tale approccio psicopedagogico è stato superato dal
cognitivismo, che sottolinea la centralità della comprensione
individuale della situazione di apprendimento da parte dell'allievo,
che - al pari di qualsiasi soggetto - deve essere messo in
condizione di rappresentarsi mentalmente gli oggetti di conoscenza
di cui ha percezione sensoriale.
Ecco che arriviamo all'altro modello organizzativo, quello che per
comodità ho chiamato “organizzazione per competenze”, ma che in
realtà nessuno conosce ancora bene: si può osservare che esso cerca
di fornire un'alternativa al modello curricolare messo in crisi, più
che dagli sviluppi della ricerca psicopedagogica, dal "cedimento
strutturale" degli assunti precedentemente richiamati, nel momento
in cui ci si è resi conto in primis che il progresso scientifico e
tecnologico può generare esternalità negative, e si è dovuto poi
constatare da un lato che permangono differenziali individuali nei
potenziali di apprendimento e dall'altro che gli sbocchi
occupazionali sono sempre socialmente predeterminati.
Si spiegano allora le difficoltà odierne da parte del gestore della
pubblica istruzione nell'implementare un modello organizzativo che
non può non prevedere opzionalità disciplinari, mobilità dei gruppi
classe, frequenti passaggi fra percorsi formativi, flessibilità
degli orari scolastici e quindi precarizzazione delle condizioni
lavorative della forza lavoro scolastica. Si spiega a mio parere
altrettanto bene la sostanziale continuità nei provvedimenti in
materia scolastica presi dai governi italiani avvicendatisi
dall'ormai lontano 1994.
Ho di proposito evitato di addentrarmi nelle questioni teoriche
connesse alla definizione di competenza, ma desidero solo riportare
un'osservazione vecchia ormai di quarant'anni: se innestata in un
impianto curricolare la competenza rischia di essere trasformata in
un obiettivo didattico visto che "la pedagogia per obiettivi è
perfettamente compatibile con un insegnamento esclusivamente
centrato sulle conoscenze".(4)
Ora, abbandonata la logica curricolare e quindi un insegnamento
(troppo?) centrato sulle conoscenze, ci viene detto che dovremo
certificare competenze che solo in parte sono osservabili in un
contesto scolastico: tutto ciò non ha forse il sapore di un esiziale
indebolimento della cultura?
(1) Professione
Docente, febbraio 2007;
(2) Sull'avvenire
delle nostre scuole, Adelphi, Milano, 1997, p. 9;
(3) cfr. Andrea
Cegolon, Sul ritorno del curricolo. Ragioni contrarie e una
premessa, in Nuova Secondaria, n. 6, 2008;
(4) P. Perrenoud,
Construire des competences dés l'ècole. ESF, Paris, 1977.
Mestre, 19 marzo ’08
Antonio Gasperi