Dirigenti scolastici e docenti
nel programma del PD.

di Gianni Gandola, da ScuolaOggi dell'8.3.2008

 

Ho cercato di leggere con attenzione la parte del programma di governo del Partito Democratico dedicata alla scuola. Dopo l’enunciazione di “quattro obiettivi pecisi” in buona parte condivisibili (successo educativo per tutti fino a 16 anni; portare al diploma almeno l’85% dei ragazzi; valorizzazione degli istituti tecnici e professionali; integrazione sistema di istruzione e sistema culturale) e in parte anche abbastanza generici, segue il capitoletto riservato, come di rito, all’autonomia scolastica (“Autonomia fa migliore educazione”).
Qui l’incipit è a dir poco sorprendente. Si dice infatti che occorre “realizzare un nuovo salto nell’autonomia degli istituti scolastici facendo leva sulle capacità manageriali dei loro dirigenti, all’interno di organi di governo aperti al contesto sociale e territoriale, ecc. ecc.”

Una riproposta o ritorno in auge della figura del “preside manager”? Devo dire che mi sono sempre sembrate stucchevoli le critiche o gli attacchi rivolti (in genere dagli studenti ma in maniera più subdola anche da qualche settore sindacale) contro il ruolo del dirigente scolastico, ruolo che non può non avere una sua centralità e una sua rilevanza nel quotidiano funzionamento del servizio scuola pubblica.
D’altra parte non mi ha mai convinto del tutto l’uso di questo termine di derivazione aziendale (il management) applicato alle istituzioni scolastiche, per il semplice fatto che continuo a pensare che si tratti di realtà completamente diverse e che l’esercizio della funzione dirigenziale nella scuola abbia caratteristiche assolutamente specifiche.

In ogni caso, tornando al programma del Pd, non mi convince questo riferimento esplicito e generalizzato a “capacità manageriali” dei dirigenti sulle quali far leva. Se vuole essere un riconoscimento al ruolo ed alla funzione che i dirigenti devono svolgere all’interno dell’autonomia scolastica va bene. Se invece è una pura captatio benevolentiae o un dar per scontato che oggi, allo stato attuale dell’arte, i dirigenti scolastici tout court abbiano effettive “capacità manageriali” e siano in grado di far compiere un salto di qualità all’autonomia, molto meno. La realtà, come sempre (e gli estensori del programma dovrebbero saperlo), è molto più variegata e complessa. E’ indubbio che esistano nella scuola dirigenti capaci, competenti sul piano professionale e culturale, ma estendere questo giudizio automaticamente all’intera categoria forse è un tantino eccessivo.
Il problema è che non esiste ancora una seria valutazione dei dirigenti scolastici (per quanto se ne parli da tempo e diverse ipotesi e proposte siano in campo), così come non c’è una valutazione del personale docente. Vale allora per i dirigenti scolastici lo stesso discorso che va fatto per i docenti (e viceversa). Non si possono usare due pesi e due misure.
Per gli insegnanti è necessario pensare a forme di carriera professionale che “valorizzino l’impegno e il merito”. Questo, finalmente, nel programma ci sta scritto (ed era ora!). Da tempo sosteniamo che la vera riforma della scuola sta nella valorizzazione della professionalità dei docenti, sulla base di una seria valutazione e del riconoscimento del merito.
Al tempo stesso occorre mettere in atto un sistema di valutazione dell’operato dei dirigenti scolastici, in grado di riconoscere i risultati ottenuti rispetto all’incarico conferito, il contesto entro il quale viene svolto, le difficoltà oggettive incontrate, gli strumenti effettivi a disposizione.

In un certo senso è un po’ il gatto che si morde la coda. Allo stato attuale è indubbio che spesso i dirigenti scolastici hanno - come è stato più volte detto su questo giornale - le “mani legate”, vale a dire “poteri” del tutto sproporzionati rispetto alle responsabilità e alle funzioni assegnate. E che è necessario, in questo senso, dare loro strumenti e risorse adeguate (si pensi alla gestione del personale, alla gestione delle risorse finanziarie, al problema della sicurezza degli edifici scolastici, ecc.). D’altra parte occorre anche che vi sia un controllo e una valutazione di come questi strumenti e queste risorse vengono usate, se effettivamente il dirigente scolastico è in grado di usarle non solo per “valorizzare l’autonomia scolastica” ma semplicemente per garantire un corretto ed efficiente funzionamento degli istituti. Non è quello che chiedono le stesse associazioni professionali dei dirigenti scolastici?

E’ da notare infine il fatto che, mentre nel programma del Pd c’è questo riferimento abbastanza discutibile alle “capacità manageriali” dei dirigenti scolastici, nel programma del Popolo delle libertà (“Quarta missione: servizi agli italiani, la scuola”) non si trova una sola riga riservata agli stessi. Strano, ma vero. Sorge il dubbio che qui i dirigenti scolastici siano già considerati, sic et simpliciter, in una logica d’impresa, annessi e connessi. Sarebbe interessante saperlo.