E torna a crescere l'età dei laureati.
 Stage, ma vogliono studiare ancora.

I risultati dell'indagine di AlmaLaurea su ben 185 mila giovani di 46 atenei

Federico Pace, la Repubblica 28.5.2008

Ci mettono un poco più dell'anno scorso ad arrivare alla meta. Ma sempre molto meno di quanto non facessero prima delle riforma. I voti che riescono a strappare dalle commissioni dove vanno a discutere la tesi sono leggermente più bassi di quelli che hanno conseguito chi li ha preceduti. Ma sono sempre molto alti. Frequentano con assiduità i corsi, anche se un po' meno dell'anno scorso. Fanno più esperienze di lavoro durante gli anni di studio, ma poi gli impieghi possibili si presentano come una meta precaria impossibile da rendere stabile a breve. Vogliono rimanere a studiare, quasi per sempre, ma quando devono dire cosa pensano dei corsi di studio e dei docenti sono meno generosi di chi è venuto prima di loro.

Sono questi alcuni dei tratti principali che delineano il profilo dei laureati. Di quelli che possono essere considerati, più di altri, i veri "figli della riforma". Ovvero i ragazzi che hanno conquistano una laurea breve o una laurea specialistica seguendo esclusivamente corsi nati, strutturati e pensati con le riforme nate dal 2001 a oggi. Proprio di loro, ma anche di tutte le altre forme concrete e possibili di laureati, si parla a Modena, dove oggi, al convegno "Nel cantiere delle riforme", viene presentato Il profilo dei laureati 2007 realizzato da AlmaLaurea e che prende in esame un insieme di 185 mila laureati di 46 diversi atenei. Un campione molto ampio che arriva ai due terzi del sistema universitario italiano.
Di questo poderoso campione, sono quasi centomila i veri figli della riforma, 80 mila laureati triennali e 21.653 specialistici che hanno concluso corsi nati dopo il 2001.

Partiamo dalla fine. Dall'età con cui si taglia il traguardo. Quest'anno i laureati che sono usciti dall'università con in tasca una laurea triennale avevano in media 24,5 anni. L'anno scorso erano riusciti a farcela con qualche mese in meno (24,2 anni). Lo stesso è accaduto ai loro fratelli maggiori che hanno chiuso la "specialistica", ovvero il biennio successivo, a 26 anni mentre dodici mesi fa ce l'avevano fatta a 25,6 anni. Insomma se negli anni precedenti erano arrivati al traguardo i bravissimi, quelli più rapidi di tutti e con il libretto pieno di 30, ora a laurearsi sono stati quelli del "gruppone". E il ritmo è tornato ad essere meno rapido.

E' vero che tra loro ci sono molti ragazzi e ragazze che sono entrate in una facoltà non proprio giovanissime. Quasi il dieci per cento si è immatricolato con un ritardo compreso tra due e dieci anni. Quelli che riescono ad arrivare per primi alla meta sono quelli dei corsi di ingegneria e geo-biologia. Ora finiscono regolarmente gli studi il 44,7 per cento dei ragazzi, molto di più di quando non succedesse prima. Ma anche un po' meno di quanto era successo nell'anno scorso (il 49,2 per cento). Se si scende nel dettaglio si scopre che la realtà è molto diversificata. La percentuale infatti scende al 36 per cento nel caso degli studenti dei corsi letterari. Mentre sale al 48 per cento nel caso di studenti dei corsi dell'area chimico-farmaceutica. Arrivano alla meta senza ritardi il 68,8 per cento degli specialistici (l'anno scorso erano l'84,2 per cento). Ad ogni modo molti di più di quanto non fossero prima della riforma quando a farcela, senza sforare i tempi, erano meno del dieci per cento.

"Se il processo di stabilizzazione potesse ritenersi concluso, o prossimo alla conclusione - ha detto il direttore di AlmaLaurea Andrea Cammelli - la verifica, almeno quella dell'efficacia interna al sistema di istruzione universitaria, risulterebbe sotto questo profilo complessivamente confortante". In media il voto di chi consegue una laurea breve è di 101,7. L'anno scorso era stato leggermente più alto (102,3). Parziale flessione anche per giovani del "3+2" che sono passati da un massimo assoluto di 109,7 dell'anno scorso a un pur sempre elevatissimo 109,1.

Giudizi e valutazioni. Il carico di studio è ritenuto decisamente sostenibile dal 29,5 per cento dei "triennali" e dal 37,9 per cento degli specialistici. Si riduce rispetto all'anno scorso la quota degli studenti molto soddisfatti dei corsi di studi: lo è il 34,8 per cento dei triennali (erano 35,7 per cento l'anno scorso) mentre gli specialistici sono più generosi (41,8%) ma loro sono meno dell'anno scorso (46,6%). Migliorano i giudizi invece su aule e postazioni informatiche.

L'esperienza dello stage. L'utilizzo dello strumento del tirocinio continua a crescere e sei ragazzi su dieci con la laurea breve hanno ora nel curriculum un'esperienza di tirocinio riconosciuta dal corso di studi. Quelli del "3+2" sono invece il 55,8 per cento (l'anno scorso erano il 53,6 per cento).

La voglia di studiare. Seppure in parziale flessione, la quota dei ragazzi che vuole proseguire gli studi è sempre molto elevata. Forse troppo. Tra quelli del primo livello sono otto laureati su dieci a volere rimanere sui libri. Molti sono intenzionati a iscriversi ai corsi previsti dalla laurea specialistica, qualcun altro pensa a un master o a una scuola di specializzazione. Elevata la quota anche per chi esce dalla laurea specialistica: il 42,9 per cento (l'anno scorso era il 43,3 per cento).

In dieci anni, e questo è un vanto delle riforme, il numero dei laureati è raddoppiato. Erano 150 mila nel 1999. Hanno toccato i 300 mila nel 2007. E' innegabilmente un bene. Visto che ancora oggi siamo molto al di sotto della media europea e dei paesi avanzati per quota di laureati. A conforto il fatto che i nostri laureati quando escono dall'Italia vengono sempre visti come talenti dalle grandi risorse. Frutto dei tanti che, all'interno della facoltà italiane, lavorano per fare il proprio meglio per la formazione e la cultura del Paese. Eppure la gran parte non riesce a trovare poi, in tempi ragionevoli, uno sbocco, all'altezza delle proprie attese, nel sistema produttivo italiano. Qualcuno dice perché non sono formati in modo adeguato. Altri perché sono proprio le imprese a non essere pronte, adatte o strutturate in modo da accogliere le loro figure.

Sta di fatto che i laureati finiscono per recitare il ruolo di principi che non salgono quasi mai al trono. Tanti Carlo d'Inghilterra a cui viene pervicacemente negato il diritto a svolgere un ruolo proprio. L'università è la grande macchina che dovrebbe sfornare i talenti della generazione pronta a guidare il Paese nei prossimi anni. Eppure, è sotto gli occhi di tutti, questo non accade. E' evidente a tutti che i giovani, usciti dalle facoltà, non intravedono un futuro a portata di mano. Ma come si fa a uscire da questa impasse? "A me basterebbe - ci ha detto Andrea Cammelli (leggi l'intervista)- che il merito cominciasse a essere utilizzato davvero a cominciare da chi sta più in alto. Perché francamente che il merito venga evocato quasi sempre solo per selezionare i giovani che sono, tra l'altro, destinati al lavoro incerto e precario, sembra un controsenso. Il merito deve decidere un potente ingresso nella società italiana, ma vorrei che si cominciasse dai vertici. Stupisce che il merito non sia entrato per niente nelle elezioni di deputati e senatori scelti da segreterie di partito. Lo stesso per i vertici delle grandi aziende che si passano gli amministratori delegati da l'una all'altra senza che si possa mai capire qual è stato il valore aggiunto che questi hanno apportato. Merito sì, ma per tutti. Purché la legge del merito non funzioni come la legge tout-court: si applica per gli avversari e i competitori, e per gli amici si interpreta". Non si può che essere d'accordo.