Lo scodellamento, Massimo Nutini da ScuolaOggi dell'1.5.2008 Ho partecipato, in quanto membro della delegazione dei Comuni (Anci), alla stesura del protocollo d’intesa del 27 settembre 2000 sulle cosiddette "funzioni miste" con il quale, dopo il passaggio dei bidelli dai Comuni allo Stato (disposto dalla legge 124/99), si è “recuperata”, in realtà molto parzialmente, l’attività che tale personale svolgeva (perché prevista nel mansionario di dipendente comunale) e riteneva, appoggiato da tutte le organizzazione sindacali, di non dover più svolgere (perché non prevista nel corrispondente mansionario statale). L’articolo della legge diceva che “il personale dipendente dagli enti locali… è trasferito nei ruoli del personale ATA statale ed è inquadrato nelle qualifiche funzionali e nei profili professionali corrispondenti per lo svolgimento dei compiti propri dei predetti profili”. L’espressione “compiti dei predetti profili” era stata contrattata, al Ministero, con i sindacati della scuola e noi dei Comuni ci precipitammo al Ministero per spiegare che tale espressione avrebbe provocato gravi disservizi in tutte le scuole italiane perché i compiti dei “profili ATA” statali non comprendeva tante mansioni che invece erano previste e regolarmente svolte dai bidelli comunali: non solo lo scodellamento ma anche l’assistenza di base agli alunni disabili, l’accoglienza e la sorveglianza degli alunni prima e dopo le lezioni, l’apertura e la pulizia delle scuole per le attività estive e, localmente, tanti altri piccoli e grandi servizi. Al Ministero stavano preparando un decreto attuativo (quello che poi diventò il Decreto Ministeriale 23 luglio 1999) e ci assicurarono che avrebbero interpretato in modo estensivo l’espressione incriminata. La frase doveva essere “il personale che passa dagli enti locali allo Stato per effetto del presente decreto sarà tenuto anche al mantenimento di tutti i preesistenti compiti attribuiti”. Andate a leggere il decreto e vedrete che a tale frase (sempre a seguito di un intervento dei sindacati scuola) fu aggiunto l’inciso “purché previsti nel profilo statale”. Fu così che nel gennaio 2000 (con il passaggio del personale allo Stato) iniziò la “rivolta dei bidelli”. Nelle prime settimane più o meno tutti continuarono a svolgere gli stessi servizi che per tanti anni avevano assicurato ma, pian piano, si diffusero le notizie sul cambiamento di mansionario e ed iniziarono a verificarsi gravi disservizi nel funzionamento della scuola. Arrivarono fino ai telegiornali notizie di alunni disabili per i quali era stato richiesto l’intervento dei genitori per portarli con la carrozzina dal portone della scuola alla fermata del pulmino (distante venti metri) e accadde anche che gli insegnanti di una scuola elementare si organizzarono per ricevere e distribuire i pasti agli alunni, a seguito del fatto che i bidelli si rifiutarono di svolgere tale mansione che, per legge, a loro non competeva più. In questa situazione trascorremmo diversi giorni e un’intera notte a Roma, con il ministero, i sindacati scuola e i comuni, per la definizione di quel protocollo d’intesa che permise, in modo molto incerto in realtà, la ripresa dei servizi in cambio di un intervento sul “salario accessorio” dei bidelli, ora statali, da parte dei Comuni. Fu una scelta sofferta e difficile e ricordo ancora l’amarezza con la quale noi dell’Anci fummo costretti ad accettare quell’intesa. Nel novembre 2000 scrissi un articolo dal titolo “Nel versare un bicchier d’acqua e nello scodellare una minestra affogò l’autonomia scolastica” (Maggioli editore, Rivista dell’Istruzione, n. 6, nov. 2000, pag. 861) nel quale, nelle conclusioni, dicevo “…che sia fatta una legge per stabilire che le funzioni dello scodellamento, dell’accoglienza e sorveglianza degli alunni, dell’assistenza di base e qualificata all’handicap, della custodia e pulizia dell’edificio nelle attività di pre e post scuola, etc. sono di competenza dello Stato. Che si chieda ai Comuni una certificazione per individuare l’entità delle somme che impiegano per quei servizi, prendiamo il totale (da ritrasferire allo Stato) e andiamo dai sindacati della scuola a chiedere una modifica dei mansionari del personale, necessaria per quei servizi (attenzione: potrebbe non riguardare solo il collaboratore scolastico) offrendo in cambio i soldi di cui si potrà disporre”. Era una sfogo, naturalmente e non mi aspettavo certo che qualcuno avrebbe raccolto il mio appello. Fatto sta che le richieste dei bidelli, sempre appoggiati dai sindacati scuola e, sempre, dai dirigenti scolastici, sono aumentate di anno in anno; oltre a ciò i Comuni si trovavano, ogni anno, a dover aprire tavoli di trattativa estenuanti per sapere se (e a quanto!) i bidelli avrebbero svolto tali servizi…. Insomma, la grande maggioranza dei Comuni non hanno potuto fare altro che rivolgersi ad altri e acquistare all’esterno (magari spendendo molto di più) quei servizi dei quali la scuola e gli alunni non potevano fare a meno. Mi ero anche rassegnato a questa assurda situazione.
Per questo ho appreso con piacere del libro di
Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella, "La deriva", e mi auguro che
serva a rimettere in discussione la questione. Ma, attenti, però! Il
problema non sono i bidelli ma i dirigenti scolastici e i sindacati
della scuola. I primi sono il segno della deriva ma i secondi sono
la castina (quando si comportano come si sono comportati nella
vicenda del passaggio dei bidelli allo Stato). Nella “deriva” ci
sono i relitti della crisi tra lavoratori, sindacati e cittadini;
nella “castina” c’è il segno della riduzione a “sergenti” (come dice
spesso Raffaele Iosa) di quei dirigenti che avrebbero dovuto
realizzare l’autonomia scolastica e che si sono ritrovati nel ruolo
di attuatori di rassicuranti direttive ministeriali. Colonna sonora
i rumorosi clakson dei tassisti romani che hanno festeggiato il
nuovo sindaco di Roma, che garantirà la loro deriva corporativa ed
il silenzio assordante di milioni di schiavi (lavoratori precari,
nazionali ed extra comunitari) che anche dallo scodellamento
potranno pur sempre ricavare qualche briciola. |