Il ritratto firmato Marianna Rizzini. Da Vasco al Cav.
Mariastella Gelmini, giovane ministro
dell’Istruzione, di Marianna Rizzini, Il Foglio 18.5.2008 "Qui si fa la storia o non si fa/ si deciderà tutto qui/ chi può aspettare aspetterà/ non scappiamo fuori di qui”. Avesse potuto inventare di sana pianta la formula del giuramento da ministro dell’Istruzione, Università e Ricerca del governo Berlusconi IV, Mariastella Gelmini – colletto bianco proteso nell’aria come la punta di una lancia e messinpiega da signora a dispetto dei trentacinque anni in luglio – non avrebbe inventato nulla, odiatrice com’è dell’approssimazione, ma avrebbe potuto benissimo prendere in prestito una strofa da “Qui si fa la storia” di Vasco Rossi. L’idolo di gioventù che, ben prima del Cavaliere, le ha insegnato l’assertività. “Tu sì che sei speciale/ ti invidio sempre un po’/ sai sempre cosa fare/ e che cosa è giusto o no/ Tu sei così sicura/ di tutto intorno a te/ che sembri quasi un’onda che si trascina meeeee”. Così cantava Vasco in “Ridere di te”, negli anni in cui Mariastella da Leno, in provincia di Brescia, di onde ne vedeva pochissime – al massimo qualche increspatura sulla superficie del vicino lago di Garda – e di scuola si occupava soltanto perché ancora andava al liceo, dai preti, vera figlia del nord guelfo (nel suo caso: di un papà democristiano, ex sindaco di un piccolo comune della Bassa). Cattolica, no Pacs, con una piccola croce al collo indossata senza blasfemie alla Madonna Louise Veronica Ciccone. Cattolica con un’adorazione intellettuale per monsignor Rino Fisichella. Eppure, alla vigilia della nomina, era tutt’un chiedersi se Mariastella Gelmini potesse davvero piacere, come ministro dell’Istruzione, agli elettori cattolici del Pdl. E’ vicina all’Opus Dei, dicevano alcuni. Macché, dicevano altri, non avete letto quell’intervista all’Espresso in cui Gelmini parlava di Paola Binetti come di “quella signora dell’Opus Dei”, come se l’Opus Dei fosse roba da marziani? Guardate che Gelmini non piace a Cielle, avvertivano i retroscenisti nei giorni interminabili del totoministri. Non è vero, si affrettavano infine a smentire i ciellini stessi, vicepresidente della Camera Maurizio Lupi in testa – che, tanto per cominciare, è grato al neoministro Mariastella fin da quando era deputata semplice e sapeva assaggiare, senza criticare, la pasta al sugo che Lupi in persona cucinava in occasione delle cene di gruppo per colleghi in trasferta (ottima, secondo il cuoco, così-così, secondo i commensali, con uno scarto di giudizio simile a quello tra questura e manifestanti dopo un corteo). Mariastella è brava, Mariastella è una scommessa, Mariastella sarà una sorpresa, dicono in coro Lupi, Bondi e Cicchitto. Mariastella pretende molto, dicono i suoi collaboratori, subito aggiungendo: “Ma guardi che è un piacere lavorare con lei, lei è esigente anche con se stessa”. E tutti non fanno che lodare le asprezze da stakanovista di Gelmini al pari delle sue abilità da mediatrice, ambasciatrice, gran-coalizionista ante litteram, ed è un amarcord collettivo su quando Mariastella era consigliera regionale di Forza italia in Lombardia e cercava di far approvare lo statuto di centrodestra dall’opposizione di centrosinistra, roba che nemmeno Walter e Silvio ai tempi della luna di miele pre-campagna elettorale. Dai laghi si precipitava a Milano, Mariastella, raccontano, nostalgici, gli azzurri lombardi, e veniva a salvare il sindaco Moratti dalle folle rosse e solidali con i cinesi di via Paolo Sarpi, ed era tutto un ricucire, uno stare a sentire, un non piegarsi senza mai urlare, un non transigere pur cooperando, un distinguersi senza troppo contrapporsi. E dunque come può non piacere a Cielle, Mariastella, dicono i ciellini, una ragazza che conosce così bene l’ambiente ed è stata capace di addolcire le scontrosità reciproche tra formigoniani e forzisti laici? “Tu sei così sicura di tutto intorno a te / che sembri quasi un’onda che si trascina meee”. Quando Vasco cantava l’onda, Mariastella non trascinava ancora nessuno, ma dal cortile dell’oratorio, nell’aria lacustre, si allenava a un futuro vascorossiano di ragazza che sa sempre cosa è giusto e cosa no, mentre i suoi coetanei delle scuole pubbliche, in tutta Italia, con la stessa canzone nelle orecchie, bivaccavano tra aule, assemblee e autogestioni targate Pantera – con chitarra, corso di storia, laboratorio di poesia, cartelloni e panini rancidi – e innalzavano striscioni tutti uguali contro i vetri rotti del terzo piano, la palestra fatiscente e le riforme dei ministri Ruberti&Galloni, due che non avevano, come oggi Mariastella, il gran ministero tutto per sé, con quell’accorpamento altisonante e quella sigla solenne da Roma anni Trenta: MIUR, Ministero per l’Istruzione, l’Università e la Ricerca. Non che al ministro Gelmini, oggi, serva la lezione di Vasco. Quella del Cav. è già sufficiente a rafforzare l’autostima – e d’altronde Mariastella è un capolavoro di maieutica berlusconiana, giacché, come racconta agli amici, ai colleghi e ai persino giornalisti, Silvio Berlusconi sa “liberare le energie positive”, sa estrarre dalla gente capacità che uno nemmeno sa di avere, e poi crede in te, si fida e ti lancia. E insomma, visti i risultati con il neoministro Gelmini, il premier, agli occhi delle acerbe guerriere che s’è messo al fianco per il suo quarto governo, deve apparire un po’ come il nonno decisionista che ti butta in acqua per farti imparare a nuotare e tu ti senti morire, e poi però ti fa subito un sorriso e ti lancia il salvagente e ti dice brava, visto che ce l’hai fatta?, anche se stavi per affogare. Ed è per questo che chi critica i politici berlusconiani per l’eccessiva deferenza verso il capo non ha capito nulla, ha detto Mariastella, attraverso intervista al Giornale, ai detrattori dell’onorevole dottor Sandro Bondi, stimatissimo tutor che oggi le sorride, orgoglioso, dal ministero della Cultura. Sia come sia, che sia merito di Vasco o del Cav, Mariastella è l’unica, tra le ministre-bambine, a cui nessuno mai si rivolgerebbe con il tono del maestro che interpella una bambina in via di apprendimento – e non è per l’autorevolezza della messimpiega. Epperò, stamattina, Vasco servirebbe. Ci vorrebbe un iPod nelle orecchie e quella strofa a tutto volume: “Non scappiamo fuori di quiiiii”, perché oggi non può non affacciarsi in te un po’ di voglia di scappare da quel ministero assediato dai Cobas, e proprio nel giorno del tuo insediamento. Specie se ti sei addormentata pensando alla frase motivazionale del Cav.: “Alzatevi con il sole in tasca” (parole che nemmeno il regista Paolo Virzì avrebbe potuto mettere in bocca a un precario del suo film) e però poi ti sei svegliata con le dichiarazioni di guerra preventiva di Piero Bernocchi, il sindacalista duro e puro che, alla testa di un manipolo di insegnanti inferociti, ti avvertiva minaccioso che ai Cobas (e non solo) fa orrore la tua idea di scuola: la rivoluzione del merito, la valutazione, la comparazione, i docenti motore del cambiamento, gli studenti turbo dello sviluppo, le tre “I” berlusconiane che risorgono dalle tenebre in cui l’altalena elettorale le aveva cacciate, e invece rieccole, come per incantesimo, puff: Internet, impresa, inglese. E poi i voucher alle famiglie, la concorrenza tra istituti, l’autonomia, tutte cose che rischiano di farti finire contestata almeno quanto il celeberrimo ministro dc Franca Falcucci, detta “la Thatcher de noantri” dai contestatori scolastici anni Ottanta – tantopiù che Mariastella, della Lady di Ferro, non ha soltanto lo stile d’azione (qui si cambia, costi quel che costi), ma pure qualche somiglianza programmatica, ché non sapremmo come definire, se non thatcheriano, il metodo Gelmini di “valutazione trasparente” dei docenti e degli istituti, con votazione a largo spettro e conseguente sparizione degli automatismi retributivi in caso di performance non competitiva del prof., idea che figurava nel programma del Pdl nonché in un precedente disegno di legge dell’allora deputata semplice Mariastella. Forse in previsione delle future contestazioni professorali sul punto “valutazione nel merito e aumenti di stipendio a rischio”, mercoledì sera, nel momento in cui il Cav. ha sciorinato la lista dei ministri dall’alto del Quirinale, l’onorevole dottoressa e avvocato amministrativista Mariastella Gelmini non ha nemmeno acceso la tivù. Non s’è goduta il momento, non è stata lì a mandare sms agli amici, non s’è data ai festeggiamenti. No, Mariastella mercoledì sera si trovava nella saletta riservata di un hotel romano, con un pugno di giovani collaboratori, seri e concentrati come lei, sommersa dalle carte, nel bel mezzo di una pre-riunione sui “contenuti”. Se ne deduce che non solo non la si può scambiare neppure per sbaglio per una ministra-bambina – e d’altronde Mariastella, diplomatica, ha soltanto parole di lodi per le colleghe ministre-bambine – ma anche che Vasco Rossi deve aver prodotto nel ministro un fenomeno di identificazione rovesciata. “Voglio una vita spericolata/ voglio una vita come quelle dei film/ voglio una vita esagerata/ voglio una vita come Steve McQueen”, ovvero il refrain simbolo di Vasco stesso, è stato interpretato da Gelmini come un inno berlusconiano al fare-fare-fare (esagerando) e salire sempre più in alto, non certo come un invito a tirare tardi per sfarsi e ubriacarsi, come hanno sempre pensato la maggior parte dei fan di Vasco. Il neoministro, una donna che non vuole mai perdere il controllo e tantomeno “trovarsi come le star a bere del whisky al Roxy bar” esagera di sicuro, ma con la sua personale law&order: lunedì Arcore e palestra, martedì mercoledì e giovedì Roma e palestra, venerdì studio d’avvocato a Milano e Brescia, sabato e domenica presidio del territorio. E’ così da quando aveva poco più di vent’anni e si faceva eleggere consigliere comunale a Desenzano – oggi qualche malelingua dice: però era spesso assente. (Anche fosse, meno male, viene da dire. Sarà stato il richiamo della vita spericolata, quella vera, che da qualche parte premeva per farsi riconoscere). Mariastella non tollera neppure la “vita maleducata che se ne frega di tutto” cantata dal suo idolo. Anzi, fregarsene se ne frega, ma di quelli che appena vedono una trentenne carina chiedono: e il fidanzato, dov’è, c’è? E allora ti tocca dire agli intervistatori, molesti e non, che non hai drammi d’amor fatale alle spalle ma soltanto relazioni moderne, civili e ordinate come quella, ormai finita, con il collega Giorgio Romele, e ti tocca spiegare che si può restare amici senza sturm und drang quando una storia si chiude e magari anche lavorare assieme. Solo che poi hai voglia a fregartene quando leggi sui giornali, sempre, accanto al tuo curriculum, quell’epiteto: “Single”. Mariastella Gelmini, avvocato, trentaquattro anni, single. Gelmini, stella azzurra, single. Gelmini, promessa della politica, futuro ministro, single. Manco fosse un marchio di fabbrica. E allora sì che vuoi una vita che se ne frega, se ne frega di tutto, evviva Vasco e abbasso i cronisti milanesi sfaccendati che, davanti a un garbato rifiuto d’invito all’aperitivo, chiamavano Mariastella, non proprio cavallerescamente, “Madunina”. Finora, si è registrata soltanto una grave crepa nella perfetta gentilezza lacustre (nel senso dell’affabile gente nata sulle rive del Garda) del neoministro dell’Istruzione. E’ accaduto lo scorso anno, quando Gelmini ha fatto rimanere malissimo gli organizzatori di un convegno bipartisan di mille (più o meno) giovani politici nei pressi di Siena. Prima ha detto sì sì vengo, poi si è dimenticata di dire: no no, scusate, non vengo più, ho un’emergenza, secondo la formula che usava quando doveva dare buca alle cene del club azzurro di Trenzano (luogo nordico non meglio identificato): “Cari amici, purtroppo un precedente impegno istituzionale non mi permette di essere con voi questa sera. Nell’attesa di conoscervi di persona, vi porgo i miei più cari saluti”. Invece niente. E allora quelli del convegno bipartisan, sapendo per giunta com’è fatta Mariastella, tutta precisione ed educazione, si sono alquanto risentiti.
“Non ha esperienza in campo di pubblica
istruzione”, è il commento dei detrattori della prima ora. A cui
Gelmini potrebbe senz’altro rispondere con l’elenco degli argomenti
di cui era costretta a trattare quando, assessore al Territorio e
all’Agricolura della provincia di Brescia, discettava senza inciampi
dialettici, nell’ordine, di parchi da ampliare, vini sconosciuti da
supportare, oviculture sospette, formaggi di montagna, miele e
tartufi, e lottava strenuamente per difendere “i sapori-bandiera”
della zona o i cacciatori braccati dagli animalisti – e meno male
(per gli equilibri azzurri) che ancora non si era resa evidente
l’ascesa parallela dell’animatrice dei Circoli Michela Vittoria
Brambilla, lombarda come Gelmini ma, a differenza di Gelmini,
animalista senza se e senza ma. Quale esperienza servirà mai, dev’essersi
chiesto il Cav, tra sé e sé, al momento di assegnare a Mariastella
un avvenire da ministro. Quale esperienza servirà a una ragazza che,
per sua stessa ammissione, è andata scarpinando per dieci anni per
tutta la bassa bresciana in cerca dell’elettore, porta-a-porta, e
alla fine ha preso diciassettemila voti. Ricordatevi le tre I:
Internet, impresa inglese, deve aver pensato il Cav di fronte a
cotanto impegno. In inglese l’alacre scarpinare di Gelmini si chiama
“canvassing” – e guardate quanto è servito all’amico Boris Johnson,
un tipo tosto che, così facendo, è stato appena eletto sindaco di
Londra. “Lascia stare che ho qualche anno in più/ meno male che sei
convinta tu/ io sto uguale/ mi chiedo solo se/faccio male, a volte,
a ridere di te”. Ridere di Gelmini è possibile, ma a tuo rischio e
pericolo. Se ne sono accorti gli incauti corteggiatori del gruppo di
An alla Camera, nel corso della legislatura precedente, quelli che
cercavano di fare colpo su Mariastella con qualche innocente battuta
di sfottò – ricevendo in cambio sguardi ghiacciati che nemmeno le
acque del Garda d’inverno. Epperò non si sono accorti, quei
corteggiatori maldestri, che in Mariastella c’è una piccola
vascorossi che scalpita per andare al Roxy Bar. E peccato che
nessuno dei suoi spasimanti abbia pensato che per conquistarla
occorresse, chessò, una corsa pazza in moto, nel vento, fino a
Fregene, due pinte di birra o una bottiglia di rum decadente. Non
l’hanno pensato neppure quella volta in cui Mariastella ha
indossato, alla cena ufficiale, un bellissimo vestito scollato a
fiori chiari e, improvvisamente solare e senza sciarpa, ha sorriso
con sguardo sbieco ai colleghi allibiti, ha mosso i bei capelli
scuri, per una volta non ingessati dallo spray superfissante, e ha
spezzato la folla degli astanti incedendo su tacchi sottili portati
tacitamente (e sapientemente). Tutto inutile: sono rimasti immobili
a guardarla, incantati ma pur sempre memori della Mariastella di
ferro che tutto coordina e nulla lascia indietro (e nulla perdona:
non sono tollerate inefficienze, te lo dice in faccia). Nessuno che
avesse il coraggio di prenderla per mano e portarla lontano da lì,
lontano da Bondi e da Cicchitto e dai cronisti burloni, per una sera
soltanto, con un bello scatto di vita maleducata. (foto Ansa) |