Alla scuola licenza di giustizia.
Elena Loewenthal, La Stampa del
28.5.2008
Sul terreno del lessico, la nostra scuola non
difetta di creatività. Mentre le riforme strutturali stagnano nelle
paludi della politica, è un fiorire di neologismi, accostamenti
arditi, sigle pregnanti. Da qualche anno, il destino dei nostri
figli è affidato al Pof (Piano dell’offerta formativa). Anche i
«debiti» sono diventati formativi, il che a ben pensarci è
inquietante. Sembra quasi che le leggi di natura siano sovvertite:
darwinianamente parlando sarebbero le parole a doversi adattare
all’ambiente per sopravvivere, invece a quanto pare tocca a noi
farci il callo.
L’ultima mutazione scolastica si chiama «patto di
corresponsabilità»: lo prevede da settembre un decreto dell’ex
ministro Fioroni, con una postilla di «discrezionalità concessa agli
istituti», che lascerà spazio a ingegnose soluzioni. Il patto si
innesta sul principio che «prevenire è meglio che combattere», ma
anche sulla triste ineluttabilità dei fenomeni di vandalismo.
Ebbene, di che cosa si tratta?
Di un documento che si farà firmare all’inizio del prossimo anno
scolastico ai genitori, impegnandoli a risarcire i danni
eventualmente - il condizionale è scaramantico - commessi dai loro
pargoli. Eventualmente, anche quando non si sia individuato un
responsabile. Eventualmente, anche nel caso di scolaretti
maggiorenni. Ogni scuola preparerà un suo regolamento, ma le linee
guida sono più o meno queste: banchi graffitati? Allagamenti? Muri
imbrattati? Mano al portafoglio. Di mamma e papà.
Il provvedimento si configura come una vigorosa presa di posizione.
Suggerisce, anche se molto vagamente, una certa idea di rigore. Ma
merita qualche riflessione, a partire dal piano strettamente
lessicale. Il concetto di «corresponsabilità» è paradossale: dice il
contrario di quel che indica. La responsabilità è l’assunzione di
una consapevolezza individuale nei confronti degli altri. Non
ammette condivisione. Rendendo «corresponsabili» i genitori, di
fatto si de-responsabilizza chi di dovere. E non è soltanto una
questione di termini.
Da ormai molti anni, infatti, la scuola si pone come educatrice a
tutto tondo delle nuove generazioni. Non impartisce soltanto un
bagaglio di conoscenze, è diventata custode di una formazione
globale. Il che fa comodo a tutti: ai genitori sempre più impegnati,
distratti, insicuri. Al sistema - quello scolastico nel suo insieme,
senza allusione alla competenza individuale degli insegnanti -
sempre più impreparato sul piano dei contenuti. Il decreto su questa
nuova «corresponsabilità» stabilisce invece una brusca inversione di
rotta. Un po’ come chiamare alla lavagna lo studente in letargo
all’ultimo banco d’angolo, che tutto si aspettava fuorché di venire
interrogato. Date le circostanze, è lecito presumere che molti
genitori chiedano interdetti: «Ma come, non toccava alla scuola
educare mio/a figlio/a?». Sbagliatissimo, ma giustificato dalla
piega che le cose hanno preso in questi anni.
La ragione principale per cui questa misura sembra inadeguata tocca
però un altro aspetto. Per quanti adolescenti talmente vandali da
devastare la propria scuola, le finanze di famiglia saranno un
deterrente? Chi arriva a tanto non si fa scoraggiare da così poco.
Non sarebbe invece male trasformare la corresponsabilità della
classe adulta - scuola e genitori - in una responsabilità a misura
di quell’altra, che sta sui banchi. Più che far firmare l’impegno a
sborsare ci vorrebbe, da parte dei genitori, quello a dare carta
bianca alla scuola: un mese a pulire i gabinetti per ogni tentato
vandalismo. Sospensioni a lungo termine e lavori manuali socialmente
utili in caso di devastazioni. Lasciare alla scuola licenza di
giustizia sarebbe una misura preventiva più efficace. Mettendo bene
in chiaro - e per iscritto - questo mandato: perché ogni volta che
dalla scuola arriva un tiepido segnale di severità (che sia un
votaccio o una nota disciplinare) subito si levano gli scellerati
scudi che sono ormai il comodo emblema della genitorialità a scuola:
«Povero il mio bambino/a! Ora lo/a difendo io!».
elena.loewenthal@mailbox.lastampa.it