Settimana corta generalizzata?
Sarebbero più i problemi dei vantaggi.

 Tuttoscuola, 28 luglio 2008

Il ministro Gelmini ha accennato alla possibilità che la settimana corta nella scuola venga definita per legge, anziché per scelta autonoma delle istituzioni scolastiche, tramite gli organi collegiali di istituto, come avviene oggi.

Attualmente, la settimana corta è adottata nelle scuole dell'infanzia (in forma quasi generalizzata), nella scuola primaria (nelle classi a tempo pieno e in una parte di quelle a tempo normale), nella scuola secondaria di I grado (nelle classi a tempo prolungato e in minima parte in quelle a tempo normale). Nella secondaria superiore no.

Settimana corta vuole dire che all'orario del mattino si dovrebbe aggiungere quello di alcuni pomeriggi da impiegare nelle lezioni per consumare l'intero orario settimanale.

Le lezioni al pomeriggio comportano servizi di mensa, adattamento di locali per la refezione, impiego di personale per l'assistenza, trasporti per gli alunni. Aumenterebbero, quindi, pesantemente gli oneri dei Comuni e delle Province.

Si pensi solo al fatto che attualmente negli istituti superiori si ricorre a cause di forza maggiore (mancanza di servizi e di trasporti) per autorizzare la riduzione dell'ora di lezione a 45-50 minuti per poter svolgere l'intero orario in fascia antimeridiana.

Se l'ipotizzata riforma degli ordinamenti dovesse ridurre l'orario di lezione, la settimana corta riproporrebbe nuovamente il problema dei pomeriggi.

E poi, tutte le famiglie sono oggi in condizione di avere, come i figli, la settimana lavorativa corta? Non è, dunque, meglio lasciare alle scuole il compito di decidere a ragion veduta?