Insegnanti in fuga
dal proprio istituto.

di Federico Niccoli, da ScuolaOggi del 17.7.2008

Un gruppo di ricercatori di Bankitalia e del Ministero dell’Istruzione ha condotto un’accurata ricerca sull’eccesso di turnover degli insegnanti, nocivo per l’apprendimento degli studenti.

Gli eminenti ricercatori hanno , in verità, scoperto “l’acqua calda”. Le famiglie degli alunni da anni assistono impotenti all’assenza di continuità didattica, determinata dall’intreccio perverso di privilegi ingiustificabili degli insegnanti e di dosi massicce di precariato, che, in alcuni casi, rendono tortuoso il percorso formativo degli allievi all’interno dell’istituzione scuola.

Più di un quinto degli insegnanti cambia scuola da un anno all’altro. Perché avviene questo fenomeno? Non certo per strane congiunzioni astrali, ma per una sorta di patto scellerato tra Ministero, Sindacati e docenti : a fronte di retribuzioni inadeguate si fa assurgere a presunto diritto degli insegnanti il continuo turnover. Più esplicitamente: all’atto dell’assunzione in ruolo (ora “a tempo indeterminato”) all’insegnante –ma anche al dirigente scolastico e al personale a.t.a.- non si chiede di stipulare un “contratto formativo” con l’utenza, ma lo si lascia libero di sperimentare di anno in anno tutte le forme possibili di nomadismo cattedratico. Si comincia con il trasferimento; se non basta si prova con l‘assegnazione provvisoria e/o con l’utilizzo e via itinerando fino alla conquista del posto possibilmente sotto casa. Non è, ovviamente,indecente l’aspirazione individuale ad ottenere il posto di lavoro nelle vicinanze della propria abitazione. E’, però, irragionevole che la migrazione possa avvenire continuamente quasi tutti gli anni e senza alcun vincolo (termine di un ciclo, di un progetto, …) legato alle inderogabili esigenze di servizio. Aggiungiamo ai cambi di sede per volontà del dipendente gli spostamenti derivanti dall’effetto domino del precariato, soggetto a graduatorie, che tengono conto di qualunque zero virgola di punteggio acquisito dal docente, ma mai del diritto degli alunni a mantenere, nei limiti del possibile, la continuità di rapporti con i propri insegnanti.

Faccio un esempio volutamente provocatorio. In assenza di strumenti migliori, mi sembra ragionevole utilizzare le graduatorie per determinare il diritto al posto di lavoro del docente precario. Una volta acquisito l’incarico, perché deve essere concesso al nostro anche il presunto diritto di scelta illimitata tra le sedi disponibili e non deve essere, invece, previsto l’obbligo –se la sede è ancora libera- di continuare a insegnare nella sede dell’anno scolastico precedente? Questa assenza di qualunque vincolo determina, a cascata, espulsioni forzose di altri precari da una scuola all’altra con grande gioia delle famiglie degli alunni.

Prendiamo il caso degli insegnanti di sostegno: qui si assiste da anni ad una migrazione a rovescio da nord a sud. A Milano, ad esempio, negli ultimi anni abbiamo (parlo con cognizione di causa avendo diretto per molti anni corsi per il conseguimento del titolo di specializzazione) diplomato migliaia di docenti di sostegno, provenienti al 75% da regioni meridionali. Il conseguimento del titolo di specializzazione, oltre ad essere un utile strumento di preparazione professionale degli insegnanti di sostegno, fornisce una chiave di accesso abbastanza rapido all’immissione in ruolo. In questo caso, all’ingresso in ruolo, apparentemente il vincolo esiste, in quanto al docente viene imposto l’obbligo di permanenza per almeno un quinquennio sul posto di sostegno. Ma , l’obbligo quinquennale è finalizzato soltanto alla tipologia del posto (“sostegno”) non anche alla permanenza nella stessa sede. Per cui, anche il nostro può comodamente (e ancor più facilmente dell’insegnante titolare su posto comune) spostarsi nella stessa provincia e anche in altre regioni. E succede che le specializzazioni conseguite a Milano vengono dopo un anno utilizzate al sud. Bene per il Sud! Ma, a Milano, si riproduce ogni anno l’impiego di docenti senza titolo di specializzazione con grande ed ulteriore giubilo delle famiglie degli alunni in situazione di handicap.

Saranno forse contenti i leghisti che si liberano di un bon numero di docenti terroni. Ma non gioiscano troppo, perché i sostituti non arriveranno dal Trentino-Alto Adige!
La ricerca in questione si occupa, infine, specificamente delle differenze di condizione sociale, personale e professionale tra insegnanti del nord e insegnanti del sud. In particolare, gli insegnanti del sud sarebbero : a)più vecchi; b)meno istruiti; c)con voti di laurea o di diploma inferiori a quelli dei loro colleghi che operano nel resto del paese. Esaminiamo le tre situazioni:

a) più vecchi: questo dato è sicuro, anche perché al Sud gli insegnanti riescono a resistere meglio allo stress della professione e “durano più a lungo” senza incorrere nella “sindrome da burn-out”, che colpisce i docenti delle grandi metropoli settentrionali

b) meno istruiti: è possibile, anche se, in verità, si incontrano abbastanza frequentemente imbecilli/geni sia padani sia terroni

c) con voti inferiori: non so dove i ricercatori hanno acquisito questo dato. La mia esperienza testimonia l’esatto contrario. I voti dei diplomi e delle lauree meridionali sono mediamente più alti (e ciò non significa, ovviamente, maggiore preparazione professionale) per una buona dose di buonismo delle istituzioni scolastiche ed universitarie del Sud.

Poteva mancare, in questo frastuono, la voce del Ministro? La ministra Gelmini, che parrebbe tenere a cuore la promozione del merito, non trova di meglio che promettere incentivi agli insegnanti “disponibili a fermarsi”a lungo nella sede di titolarità. E così quel che dovrebbe essere un preciso dovere del dipendente diventa motivo di merito!

Per concludere: Bankitalia non farebbe meglio ad occuparsi dei delitti compiuti da molti operatori finanziari ed adottare le giuste sanzioni invece di badare ai docenti insoddisfatti?