Errori e meriti di Brunetta.

Pietro Ichino, la Repubblica, 22.7.2008

Caro direttore, non condivido la drastica svalutazione dell'iniziativa del neo-ministro della Funzione pubblica Brunetta contro i difetti di efficienza e produttività del settore pubblico, che Francesco Merlo fa nel suo articolo di domenica. È vero: nell'iniziativa di Brunetta si possono e si devono denunciare alcuni errori anche gravi: tornerò sul punto tra breve. Questi errori, però, non possono oscurare un dato importantissimo: Brunetta è il primo ministro della Repubblica ad aver dato piena voce alla preoccupazione e alla protesta degli italiani per i gravissimi difetti di efficienza e produttività di moltissime amministrazioni. E lo ha fatto proponendo alcune parole d'ordine molto simili a quelle lanciate su questo terreno dal Partito democratico in quest'ultima campagna elettorale: trasparenza, misurazione, valutazione, benchmarking comparativo, responsabilizzazione dei dirigenti sul conseguimento degli obiettivi. Il disegno di legge del ministro presenta molte lacune e alcune contraddizioni per quel che riguarda l'attuazione pratica di questi obiettivi generali; ma fin dall'inizio egli si è anche detto aperto ai contributi utili che l'opposizione vorrà e saprà dare per eliminarle.

Certo, alcuni errori iniziali espongono l'iniziativa di Brunetta a un rischio di insabbiamento. Il primo consiste nell'aver privilegiato l'urgenza del messaggio all'opinione pubblica rispetto all'esigenza di una messa a punto tecnicamente ineccepibile delle prime misure adottate. Per esempio, è stata affrettatamente emanata una serie di misure contro l'assenteismo abusivo, alcune delle quali eccessive, altre materialmente inattuabili. È un errore anche aver focalizzato prioritariamente l'attenzione sul problema dei fannulloni (o "furbacchioni", come Brunetta li chiama), cioè dei pochi che si sottraggono al proprio dovere dolosamente, invece che su quello dei nullafacenti, categoria comprendente anche i moltissimi che sono posti dalla struttura stessa in condizione di essere improduttivi. Un errore di comunicazione è infine l'aver posto l'accento sulle misure punitive e sui tagli e non sull'obiettivo di aumentare il trattamento dei dipendenti pubblici che tengono in piedi gli uffici lavorando anche per chi non lavora.

Ma tutti questi errori messi insieme non bastano a far considerare peggiore l'attivismo di Brunetta rispetto all'inerzia o inconcludenza dei suoi predecessori. La verità è che l'iniziativa di Brunetta contro le inefficienze e le illegalità nel settore pubblico è almeno altrettanto ambiziosa quanto lo è stata quella di Vincenzo Visco contro l'evasione fiscale. E corre lo stesso rischio politico: quando la violazione della legge è molto diffusa, il politico che si proponga di ridurla drasticamente si trova a dover fare ricorso ad asprezze normative e sanzionatorie che, per colpire i disonesti, finiscono per vessare gli onesti.

Il cammino che può condurre a un aumento apprezzabile del "tasso di legalità", in situazioni di illegalità diffusa, si svolge sempre lungo un crinale stretto fra due precipizi: a sinistra l'errore di un eccesso regolatorio e sanzionatorio; a destra l'errore opposto della condiscendenza nei confronti dell'illegalità. In un governo quale il nostro attuale, che tende a peccare più in quest'ultimo senso, il ministro della Funzione pubblica ha invece adottato la linea del pugno di ferro. In qualche misura, è una scelta obbligata per qualsiasi ministro che intenda intervenire efficacemente sui mali delle amministrazioni pubbliche; per questo l'iniziativa di Brunetta, pur con tutti i suoi difetti, merita rispetto. L'opposizione non deve cedere alla tentazione di limitarsi a cavalcare il malcontento dei dipendenti pubblici: il suo compito principale è di prendere in parola ministro e governo, sfidandoli a realizzare per davvero gli obiettivi enunciati.

Anche perché questi non sono obiettivi né di destra né di sinistra: attuarli è un dovere costituzionale essenziale per qualsiasi governo della Repubblica.