Addio ai tabelloni dei voti:
una scelta responsabile?
Giovanni Cominelli da
il Sussidiario,
1.7.2008
C’erano, una volta, i tabelloni dei voti degli
scrutini e degli esami finali. Erano l’esposizione pubblica di un
risultato trasparente pubblico in una scuola pubblica, statale o
paritaria che fosse. Davanti a loro per giorni si formavano i
capannelli, si elaboravano giudizi, ci si assumeva delle
responsabilità. Poi arrivò la privacy, che in nome della privacy
stessa è diventata un ossimoro, tanto è invasiva e petulante. E così
Fioroni, per venire incontro alla richiesta delle Associazioni dei
disabili, ha disposto che sui tabelloni si scrivesse solo
"Diplomato" o "Non diplomato", per non rendere riconoscibili gli
studenti portatori di handicap gravi. Il Ministro Gelmini ha
compiuto un altro salto mortale semantico: "Esito positivo" o "Esito
negativo". In questo caso, i portatori di handicap grave sono ancor
meno identificabili: essi non ricevono un diploma, ma solo un
attestato, senza voto. “Esito positivo” significa che lo studente
disabile grave - che non consegue il diploma – ha raggiunto gli
obiettivi indicati nel suo piano di studi individuale.
Poiché sulla scuola incombe l’art. 64 del Decreto legge 112 del
25-06-2008, potrà forse sembrare fatuo questo nostro soffermarci su
questo dettaglio. Solo che non lo è. In primo luogo perché i
portatori di handicap vengono chiusi dietro il muro della privacy,
resi invisibili. Lo ha già denunciato meritoriamente il “Gruppo di
Firenze”. Sotto la coltre spessa del politically correct i portatori
di handicap vengono celati a sé e agli altri. Ma non erano solo
“diversamente” abili e dunque ritenuti degni di confrontarsi
pubblicamente con i “normalmente” abili? Non si era detto di
“personalizzazione” dei percorsi, in forza della quale ciascuno
raggiunge con i propri mezzi i traguardi indicati in sede pubblica?
Qui, viceversa, abbiamo a che fare con delle “non-persone”,
sottratte allo sguardo e alla valutazione pubblica. Il salto di
cultura acquisito nelle società moderne, rispetto a quelle
agro-pastorali e protocapitalistiche, è che il disabile non viene
nascosto come una punizione di Dio e come una vergogna: viene
accettato in società e guardato e apprezzato per quello che è quale
persona degna di vivere nel consorzio umano. Anch’egli è un dono
fatto alle società umane.
Ma ciò che è più eticamente intollerabile è che si usino i portatori
di handicap per stendere un velo sui risultati scolastici di tutti
gli altri ragazzi. La scuola cessa di essere un’arena pubblica, dove
ci si forma alla lotta per l’esistenza e alla cooperazione con gli
altri, dove ci si assumono le responsabilità, dove si giudica e si
viene giudicati pubblicamente, dove si è interpellati e dove si
risponde. Quando lo studente arriva alla fine del suo percorso entra
in clandestinità. Con ciò la scuola, che già tende a vivere separata
dal mondo reale, allorché dovrebbe agganciare con la
pubblicizzazione dei risultati il mondo “la fuori”, quello
dell’Università o del lavoro, lì si chiude alla dimensione pubblica.
Certo, ciascuno porterà nei luoghi destinati la propria pagella, il
proprio titolo di studio, ma non camminando con tutti gli altri per
la strada, ma attraverso un tunnel privato. Così, mentre si continua
a difendere il valore legale del titolo di studio, lo si privatizza
nel modo peggiore. Immagino che l’idea sia quella di proteggere i
nostri pargoli dallo shock che potrebbe derivare dalla pubblicità di
cattivi risultati. Ma non eravamo tutti uniti contro il sindacalismo
deteriore delle famiglie esercitato a favore dei pargoli suddetti?
Così la scuola viene trasformata in un giardino di anime belle, il
cui compito principale è tenere lontano i ragazzi dall’impatto con
la realtà e dalla correlativa assunzione di responsabilità. Ecco
perché questa faccenda dei tabelloni non è un dettaglio!