Gelmini-Giavazzi,
la strana coppia.

Marina Boscaino, l'Unità del 17.6.2008

Potremmo pensare di crederle. Attendendo la prova dei fatti: il Documento di Programmazione Economica e Finanziaria sta per uscire. Staremo a vedere quali sono i fondi che il governo intende stanziare per la scuola e comprenderemo se, realmente, le dichiarazioni rilasciate da Mariastella Gelmini qualche giorno fa siano il frutto di una concreta volontà o una trovata mediatica. È vero che l’adeguamento degli stipendi degli insegnanti ai parametri Ocse è un ritornello già sentito. Ma diamo lo stesso fiducia a Gelmini che ci racconta, coadiuvata dal collega Brunetta, che gli insegnanti tedeschi guadagnano 20 mila euro più di noi, i finlandesi 16 mila; e che la media Ocse è superiore ai 40 mila euro l’anno. E ce lo rammentano, Brunetta e Gelmini, enfatizzando l’ingiustizia perpetrata da una simile condizione. Che sia la volta buona?
Gelmini ha cercato di rassicurare più volte sul fatto che non proporrà l’ennesima riforma: non è improbabile, dal momento che le riforme transiteranno, dal punto di vista legislativo, attraverso altri canali, altre proposte (Brunetta, Aprea) e, dal punto di vista della logica comune e del consenso, attraverso i “poteri forti” dell’informazione, che plaudono alle proposte ministeriali, alla “lotta al fannullone” e alla soluzione della carota e del bastone. Mi riferisco, tra gli altri, ad un articolo di Francesco Giavazzi apparso qualche giorno fa sul Corriere della Sera, che ha suscitato un ampio dibattito proponendo l’abolizione dei concorsi nazionali. «Nessuna azienda privata penserebbe mai di avere successo con dipendenti sfiduciati, senza entusiasmo per il proprio lavoro» ne era l’inquietante inizio. Il fronte comune che si sta aprendo è insomma quello della valutazione - e, di conseguenza, dell’aumento salariale - del lavoro degli insegnanti. Un fronte minato, che occorre indagare con cautela.

Per analizzare con serenità le parole della Gelmini c’è peraltro qualche domanda alla quale il ministro dell’Istruzione deve ancora rispondere: innanzitutto la previsione economica. Ma anche la sorte dei precari, il cui numero e le cui condizioni esistenziali e professionali sono tali da non poter continuare ad essere ignorate da un governo che sostiene di voler investire sulla scuola. È vero che Giavazzi ci spiega che «stabilizzare 50.000 insegnanti precari è un errore che potrebbe avere conseguenze irreparabili sulla scuola»: ma la politica dei figli e figliastri mal si coniuga con un buon inizio. E il diritto di precedenza per molti di coloro che da anni sostano nella scuola senza garanzie è una priorità. E poi: quando Gelmini parla di «sistemi premianti per il corpo docente e di una valutazione del proprio lavoro», citando - in una logica straordinariamente bipartisan - nientemeno che il programma del Partito Democratico, a cosa si riferisce? Sempre Giavazzi - proponendo concorsi locali, con un ampio margine di discrezionalità dei dirigenti scolastici nel reclutamento degli insegnanti e riferendosi all’esperienza dei paesi anglosassoni e scandinavi - suggerisce che «non ha senso valutare le scuole senza aver prima introdotto maggiore flessibilità nei percorsi di studio». Svezia e Inghilterra - ricordiamo al ministro e a Giavazzi - diversamente dall’Italia non scontano però un'anomalia che si chiama Lega Nord; né hanno sviluppato il proprio sistema amministrativo su una logica di lobby, di interessi politici, pseudo politici e di raccomandazioni. Gelmini ha presente la fine che ha fatto Berlinguer, proponendo il test di valutazione della preparazione degli insegnanti (il famoso "concorsone"), che portò allo sciopero di un terzo dei docenti italiani e alla sostituzione dello stesso ministro? Questo non significa certamente il rifiuto di prendere atto delle differenze di impegno, capacità, preparazione, impatto formativo, elaborazione scientifica tra i vari insegnanti: non siamo tutti uguali e sarebbe ora che di se ne tenesse conto. Come che si valutasse la formazione qualificata che ciascuno di noi fa o non fa, affidando la scelta - non riconosciuta né promossa in alcun modo - alla propria etica professionale. L'individuazione di un sistema di valutazione oggettivo deve inoltre tener conto di un insieme di variabili tale che non può essere affidato all'improvvisazione; e a soluzioni dilettantistiche, dirigistiche, autoritarie, muscolari.

Ricordiamo poi al ministro che il terzo punto del suo "programma", l'autonomia - dopo il merito e la valutazione - è stata istituita allo scopo di promuovere la capacità di sviluppo, ricerca e sperimentazione dei singoli istituti; e non lo svincolamento da condizioni nazionali del sistema dell'istruzione (un elemento di garanzia civile), né la trasformazione delle scuole in enti in concorrenza mercantile l'uno con l'altro, sostenuto anche da Giavazzi.