La mummia scrutinata. Archeologia scolastica for dummies Stefano Borgarelli, 22.6.2008.
Sullo scrutinio le luci si sono appena spente. Ci tenevo, che Volpetti avesse il dieci. Niente da fare, è passiva. Anzi, fa spesso resistenza (passiva), quindi: otto. Per l’ennesima volta, colleghi diversi tra loro non hanno visto la stessa persona. Ci siamo divisi. L’autocontrollo di Volpetti (in servizio permanente effettivo, e altamente operativo tutto l’anno) ispira fiducia e rispetto (a me), sfiducia e sarcasmo (alle colleghe). Altalenante sulle righe della pagella tra sufficienza e insufficienza, il profitto di Volpetti non ha entusiasmato. Proprio per questo avrei voluto che un dieci tondo sul suo servizio permanente effettivo (massì, passivo) la premiasse. Ma nel tempo del bullismo fisico e psicologico (di bulli e di “bulle”); dell’ipercinèsi elevata a stile di vita; della distrazione ipermediale non stop, sul massimo voto in condotta, a una che sta ferma per una mattinata scolastica intera, ci dividiamo (anzi, siccome la vogliamo pimpante nel dialogo educativo, e lei potrebbe, e invece non ha fatto una piega – da settembre a giugno – diamole pure due punti di meno). Paradossi di questo curioso tempo. Gli studenti: uno, nessuno, centomila. Per ognuno di noi. E noi per loro. Ma ne abbiamo tratte le debite conseguenze? Nonostante Pirandello (e il dottor Freud), temo sia ancora parecchio diffusa in giro la convinzione che la valutazione sia un prodotto oggettivo. Almeno sulla carta, il modello didattico egèmome – nonostante l’introduzione in Italia dell’epistemologia della complessità nel corso degli anni ’80 – tutto obiettivi e sotto-obiettivi, requisiti e pre-requisiti (eccetera), rimuove acriticamente la mancanza di fondamento da cui necessariamente muove. Assume a conti fatti un modello ideologico di trasmissione del sapere univoco, lineare (non innocente, né alternativo all’aziendalismo che ormai ha saturato irrimediabilmente l’aria). In contraddizione con la retorica – il più delle volte stucchevole – della motivazione all’apprendimento, questo modello mette in ombra proprio il carattere costitutivo dell’insegnare/apprendere in quanto scambio d’orizzonti. Di vissuti. Nella reciprocità transferale della relazione umana, legata alle complesse esperienze d’identificazione introiettiva e proiettiva dell’infanzia (passata cioè attraverso il nessuno e il centomila per arrivare – con fatica mai finita – all’uno). Scambio oltretutto stimolante non a dispetto, ma in virtù del gap generazionale (volendolo e sapendolo sfruttare). Nella reciprocità della relazione, con le loro caratteristiche, entrambe le parti strutturano e ristrutturano il campo del rapporto in modo dinamico, perciò “non dovrebbe essere necessario partire dalla biografia del dottor Semmelweis di Céline o dalle analisi di Foucault su Pasteur e gli esordi dell’igiene, per mettere in chiaro che esiste un problema degli operatori. Per chiarire cioè che quello che gli operatori fanno non è indifferente per la determinazione della situazione.” (Socal 1992). Al contrario, il paradigma pedagogico e didattico più diffuso trascura questo prezioso relativismo, ne rimuove la necessità, e in ultima analisi non si discosta in modo significativo dal senso comune.
Così ci si divide su Volpetti.
Uno l’ammira come prodotto d’una civiltà superiore scomparsa.
Centomila provano fastidio nel vederla imbalsamata dentro la
piramide scolastica. Nessuno riconosce la propria mano
nell’incollatura delle bende, che in lunghi anni di scuola l’hanno
lentamente, inesorabilmente, avvolta.
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