Caro prof. Francesco Giavazzi,
ma lei la scuola la conosce?

Vincenzo Pascuzzi da ReteScuole del 15.6.2008

Provo a replicare all’articolo di Francesco Giavazzi, apparso sul Corriere della Sera di oggi 15.6.2008, “Come assumere gli insegnanti”.

La lettura dell’articolo mi ha portato a concludere che il prof. Giavazzi conosca molto poco la situazione attuale della scuola italiana e faccia considerazioni teoriche opinabili e riferite a una scuola ipotizzata più che reale. Ma andiamo con un po’ di ordine.

Il nuovo ministro Gelmini ha taciuto per circa un mese, poi ha parlato ed ha innescato – di proposito o meno – una massiccia strategia di disinformazione relativa appunto al settore Istruzione. La Gelmini ipotizza in un futuro imprecisato, ma più improbabile che lontano, più soldi agli insegnanti, ma solo a quelli bravi, però riducendone il numero, bla, bla, bla. Altri politici, commentatori ed esperti (veri o presunti) del settore scuola si sono uniti ben volentieri nell’azione di disinformazione intorbidendo le acque e distogliendo l’attenzione dai problemi veri e attuali. Quali sono questi problemi? Provo ad indicarne alcuni:

- 50.000 precari da assumere subito secondo quanto predisposto dal precedente governo; si tratta di docenti con 10, 15 o anche 20 anni di precariato alle spalle! Nessuna azienda privata avrebbe potuto compiere questo abuso pluriennale.

- Il 53% delle scuole in edifici inidonei o non a norma e privi di manutenzione (secondo Legambiente). Anche qui, nessuna azienda privata …

- Un numero imprecisato ma notevole di scuole si trova con arredi (banchi, sedie, lavagne, attaccapanni, porte, finestre) in condizioni pietose. Altre scuole con laboratori didattici privi o carenti di attrezzature e strumentazione.

- I risultati implacabili delle rilevazioni OCSE-PISA verranno forse alleviati con la riduzione di 10 mila cattedre e mantenendo il precariato alle dimensioni attuali, cioè 140 mila docenti precari che cambiano scuola ogni anno e lavorano 10 mesi su 12?

- La situazione dei debiti non saldati “scoperta” dal ministro Fioroni e “risolta” con l’OM 92. Si può ragionevolmente recuperare un 4 in matematica con un corsetto di 15 ore magari somministrate a dosi di 2 ore a lezione a giorni alterni, quando le ore di lezione in un a.s. sono 120 o 150? Le scuole, pilotate dai presidi, stanno approntando una massiccia e scoperta operazione di maquillage: entro il 31 agosto, il 95-99% dei debiti saranno ufficialmente saldati ma solo dal punto di vista formale e burocratico. La sostanza resterà quella attuale, o meglio, precedente: scuole costrette a promuovere anche chi non merita per non perdere classi e rischiare la chiusura o l’accorpamento.

Veniamo alle aziende private e alle loro prestazioni. Vengono citate come esempi da seguire e da imitare anche nel settore pubblico della scuola. Mi pongo alcune domande:

- Ma le aziende private non sono responsabili – più del settore pubblico – del lavoro in nero, della mancanza di misure di sicurezza e delle conseguenti morti sul lavoro?

- Non sono private le aziende che trafficano con rifiuti tossici e anche radioattivi?

- Non sono le aziende private italiane che erogano ai loro manager e dirigenti le retribuzioni più alte rispetto all’Europa e agli USA pur in presenza di risultati minori?

- Non sono le aziende private carenti di ricerca e innovazione sempre rispetto all’Europa e agli USA?

Ma poi ha qualche senso ipotizzare la concorrenza fra scuole come fattore risolutivo delle prestazioni dei docenti e quindi dell’apprendimento degli allievi? Solo alcuni spunti e osservazioni:

- L’apprendimento è un risultato pluriennale. Chi assicura che una scuola ritenuta “valida” o “migliore” continui ad esserlo per tutto un quinquennio oppure nel tempo? Docenti e presidi possono pure trasferirsi o andare in pensione. E i compagni di classe non determinano pure essi i risultati scolastici? E chi se li può scegliere?

- L’apprendimento è anche o principalmente determinato dall’allievo. Dalle sue scelte, capacità, caratteristiche, impegno, motivazioni. Tutti aspetti che si manifestano nel tempo e nelle situazioni specifiche.

- La vicinanza determina anche la scelta della scuola. In un distretto o provincia le scuole possono essere poche (meno di 5 o 10). Avrebbe senso scegliere una scuola “buona” ma distante 50 o 100 km per un ragazzo di 13-14 anni?

- E come le scuole sceglierebbero e incentiverebbero i docenti migliori? Quanti euro in più? Partecipazione agli utili? Magari telefonino, macchina aziendale, segretaria e fringe benefits? Forse si dimentica che anche per i docenti vale la vicinanza all’abitazione.

- Ogni scuola avrebbe un ufficio per la selezione del personale oppure si affiderebbe alle società specializzate? Avremo società head hunter? Oppure i docenti potrebbero addirittura venire ceduti e acquistati come i calciatori?! Si potrebbero assumere X stranieri?!

- La scuola “migliore” sarebbe limitata nella sua crescita dall’edificio che occupa oppure potrebbe espandersi ed inglobare altre scuole?

- Se poi la concorrenza funziona a scuola, si potrebbe forse applicare anche ai Commissariati di P.S., alle Stazioni dei CC, agli Uffici Postali, alle Parrocchie …?


I presidi poi. Secondo me, si sta creando il mito del preside. Con l’autonomia sono stati nominati Dirigenti. Qualcuno si sente Manager o Imprenditore. Il ministero gli ha scaricato un tir di incombenze e adempimenti ma le loro possibilità di decisione e scelta sono veramente limitate. Sono essenzialmente dei super-burocrati che però devono rispondere e essere responsabili. Loro mi sembrano alla ricerca di un ruolo riconosciuto: intanto comandano, scavalcano o scansano volentieri i docenti, cercano il rapporto diretto e privilegiato con le famiglie, a volte condizionano indebitamente il Collegio Docenti e i Consigli di Classe, creano situazioni collettive confuse in cui possano emergere, decidere, apparire. Diversi siti di scuole si aprono proprio con la foto del preside e con il suo curriculum!

A che titolo e perché la loro figura dovrebbe essere ancora incentivata? Nella scuola impropriamente nominata “azienda” investono forse i loro capitali? Hanno particolari esperienze o know how? In genere sono ex docenti che hanno lasciato l’insegnamento dopo un certo numero di anni, o decenni, a volte per stanchezza, monotonia, saturazione o semplicemente per una retribuzione meno misera ma pur sempre inadeguata.