I giudizi Nella ricerca Gallup-Doxa

Pessimismo globale.

Indagine in 60 Paesi del mondo 7 italiani su 10: i figli staranno peggio.
I politici vengono considerati disonesti

Giuliana Ferraino Il Corriere della Sera del 23.1.2008

 

(Ap)
Un mondo più pericoloso e meno ricco, governato da leader politici disonesti, con troppo potere e spesso incompetenti. Così nero appare il futuro dei nostri figli, che per «salvarsi», o almeno stare meno peggio, dovrebbero affidarsi a insegnanti e intellettuali, le uniche categorie a suscitare fiducia globale. Se avessero più potere, forse, professori e scrittori metterebbero in cima all'agenda politica la povertà, la crescita, la riduzione delle guerre e la lotta al terrorismo, ma anche la tutela dell'ambiente, che sono le priorità più sentite dall'intero pianeta. Questo racconta l'ultima indagine di Gallup Voice of the People (e di Doxa per l'Italia) per il World Economic Forum di Davos, realizzata su un campione di 61.600 intervistati in 60 Paesi, tra ottobre e dicembre 2007.

Se il pessimismo è globale, l'Europa occidentale e, in particolare l'Italia, hanno una visione ancora più negativa. In Europa il 68% degli intervistati crede che la prossima generazione vivrà in un mondo meno sicuro, in Italia addirittura il 72%. In Nord America (Canada e Usa) la pensano così 6 persone su 10 (62%). Come in Iraq, dove però nel 2005 la proporzione era inversa e il 60% scommetteva su un futuro più sicuro.

(Afp)
Diminuisce la fiducia anche sulle prospettive economiche. L'anno scorso il 40% degli intervistati in tutto il mondo credeva in un futuro più prosperoso per i propri figli, ora quella percentuale è scesa al 33%, mentre per il 36% la situazione peggiorerà. L'Europa è l'area più scoraggiata, con oltre la metà delle persone (54%) convinte che domani ci sarà meno ricchezza. In Italia lo scenario è ancora più nero: così la pensa il 63%. E non va tanto meglio nell'America delle opportunità, dove sul futuro economico sono pessimiste 4 persone su 10.

Gli ottimisti abitano lontano, in Africa: qui il 71% delle cinque nazioni incluse nell'indagine si dice fiducioso che la prossima generazione vivrà in un mondo più prospero. E questo è particolarmente vero per Nigeria (78%) e Kenia (67%), dove però il sondaggio è stato realizzato prima dei tumulti. Pessimismo globale? «Questi risultati sono la proiezione nel futuro della scontentezza presente», sostiene Mario Deaglio, riferendosi soprattutto al-l'Italia, «un Paese che da tre anni registra un calo di contentezza». E spiega: «Su di noi grava un tasso di crescita inferiore al resto d'Europa. Molti respingono l'idea del declino, ma è vero che abbiamo perso posizioni in Europa. Questo si riflette sul nostro peso sulla scena internazionale, ma anche a casa nostra, dove ci sono molte meno multinazionali del passato, non c'è più un'industria chimica e un'industria elettronica, che era il nostro vanto». Un pessimismo che l'economista torinese giustifica anche con il fatto che «siamo il Paese che ha "rubato" di più alle generazioni future. E i giovani cominciano a capirlo, attraverso la precarietà del lavoro e la difficoltà a mettersi in proprio».


Per Patrizio Bianchi i risultati dello studio sono la dimostrazione che «soffriamo tutti di labirintite sociale, ma non ci sono più muri a cui appoggiarci ». Con la fine del mondo bipolare, l'ingresso della Cina nell'economia mondiale, lo sdoganamento di tutte le aree chiuse, «sono venuti meno i confini politici ed economici e con essi i parametri su cui avevamo poggiato la nostra visione del mondo. Il punto è: perché questo genera pessimismo?», chiede l'economista emiliano. La sua risposta: mancano istituzioni che garantiscano un livello di regolazione collettiva adeguato. «Oggi un leader per essere identificato deve essere sempre più locale e vicino, ma i problemi sono sempre più globali. Lo Statonazione non c'è più, minato dal basso dal potere locale (il sindaco, la Regione), dall'alto dall'Europa. Il problema è che non ci sono istituzioni adatte ai nostri tempi, che sappiano dare risposte alla crisi di fiducia generale». Riconoscere credito agli insegnanti e agli intellet tuali, per Bianchi, è solo «la controprova dell'incertezza». Venendo meno la fede nel leader, che è visto come un disonesto, resta «la speranza che qualcuno ci educhi, ci porti fuori dalla crisi». Che poi ci sia «una grandissima incertezza sulle aspettative economiche », l'economista non ha dubbi: «Viviamo un periodo di forte difficoltà, come dimostra l'attuale crisi dei mercati finanziari, soprattutto negli Usa, diventati un fattore di grande instabilità globale. E l'economia è alla base di tutto». Tant'è vero che in Italia la principale priorità è proprio la crescita economica (per il 14%), seguita dal desiderio di riportare fiducia e onestà nel governo, nelle imprese e nelle istituzioni internazionali, un'indicazione rilevante solo nel nostro Paese e nel Regno Unito. Dall'economia, però, continuano ad arrivare segnali poco incoraggianti. Per la prima volta in 11 anni, il sondaggio PriceWaterhouseCoopers tra 1.150 amministratore delegati di grandi aziende diffuso ieri a Davos, registra un crollo di fiducia. Solo il 35% dei manager americani crede che i ricavi della sua società quest'anno aumenteranno (era il 53% nel 2007) e il 44% degli europei (dal 52%), con gli italiani in fondo (solo il 19% gli ottimisti). Eppure «per la prossima generazione il mondo può essere sì più rischioso, ma non necessariamente peggiore. Dipende dalle garanzie che ci sono per proteggersi dai rischi», valuta Bianchi. E ottimista, in fondo, si dichiara anche Deaglio. «Penso che attraverseremo una fase traumatica, come quella di questi giorni. Ma tra la catastrofe e la crescita, credo di più a quest'ultima. Ripartiremo con regole migliori». E immagina «una vita con meno lussi, ma molta più tecnologia e possibilità, visto che le reti su Internet aprono strade prodigiose anche a chi ha poco reddito ».
 

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