Impetratum quod petebatur.

Renato Lo Schiavo da DocentINclasse, 17/1/2008

 

Non si può più riposare in pace neppure all'Altro Mondo, roba da matti! Tra giaculatorie e cori goliardici c'è un'atmosfera da casino sottoposto ad accertamento congiunto della Guardia di Finanza e dei NAS; tutti lì a controllare, non parliamo dei cani poliziotto intenti a sniffar patenti... Bah!

Da bravo semirincoglionito, sapevo che uno va all'università, solitamente, per prendere un pezzo di carta o per rimorchiare fusti e pupe; qualcuno per non sentire più quelli che lo torturano dicendo che il suo domani passa da lì, e qualche altro per trovare un posticino tranquillo dove studiare per i fatti suoi. Credevo che il campionario si esaurisse qui, ma gli avvenimenti di questi giorni mi hanno fatto ricordare che ci sono pure gli jannacciani, coloro che ci vanno giusto per vedere l'effetto che fa. Il fatto è che in questo caso ci vuole una buona collaborazione: se la gente si mette a ridere mentre urlo che è scappato il leone o se mi riconosce mentre seguo il mio corteo funebre, finisce tutto a carte quarantotto.

Cos'è dunque successo? Ho capito che, per fornire un momento di sano svago all'Università, che quanto a sfascio mostra sfavillantemente di far parte a pieno titolo della scuola italiana, una pia consuetudine vuole che si finga di inaugurare qualcosa che invece è già cominciato da un pezzo (l'anno accademico, per esempio) e si inviti un mazzo di scocciatissime autorità a fare un po' di passerella. Fasulla essendo la situazione, banale è ciò che si dice. Non intendo riferirmi al contenuto (che può essere interessantissimo e di alto livello culturale), bensì alla configurazione del discorso: l'oratore di turno infatti non fa altro che esercitare le proprie funzioni, per cui il professore professa (il senso delle proprie ricerche), l'amministratore amministra (il discorsetto su quanto di positivo ha fatto ed ancor più ha da fare), il prete pretica (perdonate la lenizione della dentale, dovuta a grossolana figura paretimologica), il contestatore contesta.

Soffermiamo un momento l'attenzione su quest'ultima figura professionale: negli anni '60 i contestatori di turno decisero di abolire il complemento oggetto, sostituendolo con l'aggettivo 'globale' (ad ogni epoca la sua globalizzazione...), non si sa se per estendere il proprio raggio di azione o se per risparmiarsi la fatica di scegliere di volta in volta un obiettivo specifico. Per uno sciagurato effetto della teoria della relatività, ci troviamo oggi a rivivere una situazione che appunto dimostra la labilità delle categorie di spazio e tempo in una con la ininfluenza del deja-vu nella terapia della sessantottinite.

Come vuole la società dello spettacolo, per spruzzare lustrini sulla banalità di una cerimonia d'apertura (fasulla) si invita qualche star e siccome 'starismo' oggi è gemello di 'scandalismo', c'è chi coglie la palla al balzo per limare il differenziale di gradimento rispetto alla superstar precedente, pianificando uno scandalo. Ciò che serve, per un'ottima riuscita, è solo una bella mano d'aiuto da parte di qualche insipiente azienda agricola.

Se si invita che so, il papa, a parlare, egli non può che dire, papale papale, quello che ha sempre detto e che graziosamente non perde occasione di ripetere. Quid novi? Pare però che sia sorta un'obiezione formale (la forma è sostanza, diceva Topo Gigio annusando il gruviera): a lectiomagistralizzare dev'essere un prof, abbreviazione di 'professore', non di 'professatore' (di fede). Per le ormai abusatamente citate leggi dello spettacolo, si può essere sicuri che il telegiornale non riferirà dell'alluvionale lezione del professore, ma del vibrante sermone pontificale, il quale, in base alle note leggi di cui sopra, non sarà mai in offesa ma sempre in difesa di qualcosa. Gli stessi operatori del settore sanno però ormai benissimo che neanche le parole dell'oratore biancovestito resistono al logoramento del già detto, quindi le sostituiscono con una parafrasi precotta al microonde.

Insomma, ho già troppo scocciato e taglio corto: anziché dire le ormai solite banalità, molto meglio non dire niente, facendo la figura del perseguitato (non sono state le persecuzioni, del resto, a far trionfare il cristianesimo antico?). Grazie a Dio, i volenterosi disposti a far riuscire bene il giochetto non sono mancati ed anzi hanno interpretato benissimo la loro parte, con tanto di esultanza e corsa sotto la curva dei tifosi dopo aver segnato quello che gli pareva un gol-capolavoro.

Il Ministro dell'Università, Mussi, che pure con quel bel faccione rubicondo sarebbe un ottimo testimonial del Ministero delle Produzioni Vitivinicole, ha dovuto invece assumere posa di contrito e far la parte del Ministro della Solidarietà; torme di politici hanno finalmente potuto convincere gli italiani che il vero male del paese non sono la disoccupazione, la recessione, la corruzione, la malavita, le morti sul lavoro e neppure il cassonetto espiatorio oggi rifiutato ad ogni parallelo, bensì quattro zucconi che non hanno ancora imparato il giochino del "Tu non farmi parlare, così io faccio bella figura, anzi una figura molto migliore che se io parlassi"; stuoli di commentatori perimediatici hanno blablablato di tutto di più; i gerarchi della gerarchia hanno avuto qualche problema a contenere la soddisfazione tracimante, ma alla fine sono riusciti a mostrarsi perfino paternalmente tolleranti, esibendo brani del discorso non più di persona discusso, fatti apposta per ingenerare rammarico per l'occasione perduta - dagli altri, naturalmente.

Stando quassù, a me rimane l'impressione di un colossale equivoco: i contestatori volevano soltanto, per una forma di riguardo verso il sommo pontificatore (quel che è giusto, è giusto: come pontifica lui...), risparmiargli la scortese salva di fischi che avevano premeditato di rivolgergli. Scortese e sicuramente stonata: avete mai fatto caso a quanto risultino scomposte, le salve di fischi, in simili frangenti? Molto meglio, per le orecchie di tutti, ascoltare le parole di Peppino di Germania e poi rallegrarne festosamente il commiato con una intonatissima fischiettata: 'Colonel Bogey', ad esempio, motivetto orecchiabile e capace di rendere appassionante "Un ponte sul fiume Kwai", film sulla triste vicenda di alcuni lavoratori in nero, loro malgrado facitori di ponti, ma fermamente intenzionati a sabotare il processo di cooperazione fra i popoli.

Senofane di Colofone