Le ragioni dei laici.

di Dedalus, da ScuolaOggi del 28.2.2008

 

Non è un caso che anche una nota come quella del direttore scolastico della Lombardia sull’ora di religione, sollecitata a quanto pare dalla curia milanese, abbia destato qualche stupore e fatto notizia, finendo sulla stampa nazionale (*). La circolare, una nota sintetica che indica in maniera abbastanza discutibile alcuni “punti di criticità” emersi negli istituti lombardi, non sarebbe in sé particolarmente rilevante. E tantomeno si tratta di questioni nuove, considerate le richieste avanzate dalla Curia già in anni precedenti. Il problema è che si viene collocare (magari senza alcuna intenzionalità da parte del direttore regionale) in un determinato contesto. Per questo ha finito per assumere un particolare sapore, determinando qualche comprensibile reazione.
Stiamo attraversando infatti una fase caratterizzata da un indubbio attivismo da parte delle gerarchie ecclesiastiche e del Vaticano. Qualche osservatore, in maniera tutt’altro che infondata, denuncia un clima di crescente ingerenza della Chiesa nella vita politica italiana, a tutti i livelli, dalla scuola alla sanità, dal sociale alla sfera del “politico”, appunto.

La recente presa di posizione da parte di due autorevoli giornali cattolici (l’Avvenire e la Famiglia cristiana) contro la scelta del Partito democratico di includere Emma Bonino e i radicali e di candidare Umberto Veronesi a Milano come altro può essere interpretata se non come la volontà di condizionare le scelte di quel partito (o di “orientare” l’elettorato cattolico)? Come mai, come ha ricordato opportunamente lo stesso Veltroni, quando nel 2001 i radicali si presentarono alle elezioni con il centrodestra nessuno, al di là del Tevere, ebbe niente da ridire? Perché solo ora vi sarebbe una pericolosa “deriva laicista”?

D’altra parte sono segnali eloquenti la campagna in atto contro la legge 194, come la battaglia contro i Pacs prima o le pressioni esercitate a suo tempo per il finanziamento delle scuole paritarie cattoliche (cui lo stesso centrosinistra è stato tutt’altro che insensibile). E’ un dato oggettivo, in altri termini, il fatto che la Chiesa cattolica vuole avere un ruolo attivo – come forse non succedeva dagli anni ’50 - nelle vicende politiche italiane.
Ora si dice, da parte di autorevoli esponenti del Pd, che non bisogna opporre muro contro muro, (“basta fossati tra laici e cattolici”), che bisogna superare forme di integralismo e di prevaricazione, con il dialogo e l’apertura al confronto. D’accordo, ma la disponibilità al dialogo e all’ascolto deve essere reciproca, senza scomuniche ed anatemi. In buona sostanza ci deve essere rispetto reciproco, che vuol dire attenzione per le ragioni degli altri.

Ma torniamo alla vicenda dell’ora di religione, che continua a far discutere e che, inevitabilmente, rinvia ad una riflessione più generale in materia. Non ci sono dubbi sul fatto che esistono delle norme e che queste vanno rispettate e applicate correttamente. Com’è noto, l'attuale disciplina dell'insegnamento della religione cattolica discende dall’Accordo tra la Repubblica Italiana e la Santa Sede del 18 febbraio 1984 (poi legge n.121/1985) e dalla successiva Intesa tra l'autorità scolastica italiana e la Conferenza episcopale italiana (Dpr 751/1985 modificato dal Dpr 202/1990). Essa prevede che l’I.R.C. venga assicurato all’interno dell’orario scolastico nelle scuole pubbliche, per chi intende avvalersene, come materia quindi “facoltativa”.

Ma occorre anche riconoscere le ragioni di chi ritiene che la scuola pubblica e di Stato dovrebbe essere per definizione laica e aconfessionale. E quindi pensa che il Concordato, in una società multiculturale e multietnica come quella attuale, sia anacronistico oltre che poco aderente al principio di laicità dello Stato (“Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani”, art.7 – “Tutte le confessioni religiose sono egualmente libere di fronte alla legge”, art.8 Costituzione). E quindi che le Intese stipulate potrebbero anche essere oggetto di revisione.
E ancora, che l’ora di religione cattolica, per essere veramente facoltativa e non avere un trattamento diverso e privilegiato rispetto ad altre confessioni religiose, potrebbe essere utilmente collocata fuori dall’orario obbligatorio delle lezioni, ad esempio tra le “attività e insegnamenti facoltativi e opzionali” (ore aggiuntive) previste dal Decreto L.vo n.59/2004, attuativo della legge di riforma n.53/2003.
Non sono poi ragionamenti così peregrini o aberranti. O comunque ci sembra del tutto legittimo pensare e affermare queste tesi, pacatamente, senza furori ideologici o, come si dice oggi, “laicisti”, ma neanche senza veti da parte clericale o cattolica.
Proprio per questo, perché anche le ragioni dei laici hanno diritto di espressione, non ci sembra giusto e dignitoso ammainare la bandiera della laicità delle istituzioni ad ogni stormir di fronde del Vaticano.

 

(*) vedi articolo di Zita Dazzi su la Repubblica del 25.2.2008, cronaca milanese, dal titolo "Ora di religione, strigliata ai presidi. La Curia protesta, il provveditore si mobilita: "Non va penalizzata".