L'integrazione scolastica Se nel cercare di risolvere i problemi dell'integrazione scolastica si punterà esclusivamente ad un calcolo economico basato sui tagli di spesa, il nostro Paese potrà sì avvicinarsi agli altri Stati europei in termini di risparmio apparente, rischiando però di perdere quel primato in ambito di integrazione che lo contraddistingue da più di trent'anni. di Salvatore Nocera* da Superando del 14.2.2008
Com'è ben noto a chi segue i nostri periodici approfondimenti su queste colonne, a seguito dell’articolo 35, comma 7 della Legge Finanziaria 289/02, nel 2006 è stato emanato il Decreto del Presidente del Consiglio (DPCM) 185/06 che nel ribadire i criteri di certificazione di handicap ai fini scolastici, ha trasferito ad una non meglio individuata «commissione collegiale» il medesimo compito di certificazione prima attribuito al singolo specialista nella patologia segnalata. Ciò ha determinato numerose lamentele, soprattutto perché le nuove commissioni, diverse nelle varie Regioni, hanno ridotto il numero delle certificazioni, specie nei confronti dei cosiddetti "disturbi specifici dell’apprendimento".
Anche l'aspetto della non certificazione dei casi di disturbi specifici di apprendimento era stato preso in considerazione da chi scrive, ma non come conseguenza del DPCM 185/06, bensì di una mancata attenzione al diritto allo studio di questi alunni e di un'errata applicazione della Legge quadro 104/92 sui diritti delle persone con disabilità.
Infatti, già tale norma stabiliva che essa dovesse esclusivamente
applicarsi alle persone con handicap e cioè a quelle che, a causa di
un evento traumatico o morboso, hanno subito «una minorazione
stabilizzata o progressiva» (articolo 3, comma 1), mentre l'articolo
12, comma 5 della stessa, a proposito dell'integrazione scolastica,
decretava che «all'individuazione dell'alunno come persona
handicappata», seguissero la formulazione della diagnosi funzionale e
del PEI (Piano Educativo Individualizzato). Certo, gli alunni con difficoltà di apprendimento non sono solo quelli che hanno cause di carattere sanitario - pari a circa il 2% di tutti gli studenti - essendovene un numero ben maggiore - circa cinque volte maggiore - costituito da persone con difficoltà di apprendimento dovute a cause personali, familiari, ambientali, sociali, etniche ecc. In mancanza di adeguate risorse nei confronti di questi ultimi, si è diffusa perciò la prassi di applicare anche a loro la Legge quadro sull'handicap, nominando insegnanti di sostegno a favore di persone che però non potevano giuridicamente qualificarsi con disabilità. Il DPCM 185/06, intervenuto per contrastare questa "deriva applicativa", è stato in realtà applicato nel modo peggiore, senza cioè una contemporanea predisposizione di strumenti didattici e di risorse umane e materiali che sostituissero quelle utilizzate con un uso improprio della Legge quadro.
Lo stesso Ministero, però, se ha ragione nel precisare che la Legge 104/92 si applica esclusivamente alle persone con disabilità, tace su altri obblighi che rimangono a suo carico anche nei confronti di alunni con difficoltà di apprendimento non riconducibili a cause sanitarie. Tace cioè sull'obbligo di formazione di tutti i docenti curricolari a saper trattare con ogni alunno con difficoltà e sulla necessità di non avere classi troppo numerose per realizzare questo impegno di tutti i docenti.
Purtroppo i confronti
con l'Europa in ciò non ci aiutano, perché si dice che abbiamo
un numero di alunni troppo basso per ogni docente, rispetto
alla media continentale e quindi bisogna aumentare il numero degli
alunni per classe. Si è però dimostrato che tale basso rapporto medio
deriva fondamentalmente dalla presenza di un grandissimo
numero di piccole classi in piccoli Comuni o in zone di montagna. I piccoli Comuni che saranno invitati a consorziarsi per garantire i trasporti ad una sola scuola intercomunale invece che a tante scuole comunali con piccole classi di sei o sette alunni, saranno disposti a farlo?
Si pensi ad esempio ai casi in cui ad alcuni alunni con disabilità complesse vengono assegnati un docente per il sostegno didattico con il rapporto di uno ad uno e un assistente per l’autonomia e la comunicazione per tutta la durata dell’orario scolastico. Si pensi ai casi di permanenza pluriennale al termine dei vari gradi di scuola, per timore dell’ignoto dell’ordine di scuola successivo o dell’impreparazione dei docenti curricolari. Si pensi ai casi di ripetenze al termine della terza media o dell’ultimo anno di scuola superiore a causa di un mancato collegamento con i corsi di formazione professionale o di progetti personalizzati di integrazione sociale postscolastici. Si pensi a quegli alunni che ottengono un cospicuo numero di ore di sostegno e che però svolgono attività riabilitative nelle stesse ore della presenza dei docenti per il sostegno. Si pensi ancora ai casi in cui gli Enti Locali mettonmo a disposizione assistenti materiali alle scuole per supplire all’inadempienze di queste ultime nel fornire - a costi notevolmente minori - collaboratrici e collaboratori scolastici per l’assistenza materiale e igienica dedicata agli alunni con disabilità complesse, come espressamente prevede il Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro della scuola che viene, per questa parte, regolarmente disatteso. Si pensi infine ai casi crescenti di assegnazione - per sentenza della Magistratura - di docenti per il sostegno con il rapporto di uno ad uno e con la conseguente condanna dell’Amministrazione Scolastica alle spese e ai danni anche non materiali, a causa della mancanza di aggiornamento obbligatorio dei docenti curricolari nella didattica dell’integrazione.
Di recente l'INVALSI (Istituto Nazionale per la Valutazione del Sistema Educativo di Istruzione e di Formazione) ha pubblicato una ricerca sugli “indicatori di qualità dell’integrazione”, dalla quale risultano aspetti positivi, ma anche molte ombre, a quarant’anni dai primi casi di integrazione. Cominciano pure a conoscersi i risultati di una ricerca sulla qualità dell’integrazione condotta da Andrea Canevaro, Luigi D'Alonzo e Dario Ianes che mette tra l’altro in evidenza come un buon 20% degli alunni con disabilità complesse non trascorra la giornata scolastica in classe, negando così gli obiettivi stessi dell’integrazione.
Eppure è proprio su
questi aspetti che si gioca da una parte il futuro della qualità
dell’integrazione scolastica, dall'altra quello dell’efficienza della
spesa pubblica. * Vicepresidente nazionale della FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell'Handicap).
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