L’adozione dei libri di testo di Claudio Cereda, da ScuolaOggi del 25.2.2008.
Il Tg3 ha dato notizia con un certo rilievo di
una novità inesistente riguardante la scuola: la emanazione di un
nuovo decreto ministeriale sul “tetto” per le adozioni alle superiori.
Si tratta di una non notizia perché il tetto esisteva da tempo e chi
opera nella scuola sa, da tempo, che non è quello il problema. Ma
questa volta il ministro Fioroni “vuol fare sul serio” e dichiara
tramite decreto che i conti dovranno tornare. Scuola per scuola e anno
per anno si fissano i tetti di spesa cui dovranno attenersi i singoli
docenti nell’operare le proprie scelte. Così per esempio si avrà (anno
per anno):
Ogni anno ci sorbiamo la lamentazione televisiva
contro gli editori che gonfiano i prezzi, che fanno nuove edizioni
finte o contro i libri che costano una cifra spropositata. La cosa
buffa, ma davvero buffa (o tragica), si ha quando si parla di scuola
elementare e ti sbattono in video mamme che si lamentano del costo
degli zaini e dei diari firmati. L’abdicazione al proprio ruolo di
genitore e di adulto si celebra al supermercato nel reparto della
scolastica: il bimbo e la bimba fanno i capricci e la mamma asseconda.
Una variante del rito si verifica da qualche anno con le nuove
tecnologie (del tutto ignote all’adulto ma notissime al bambino): e
allora via con gli acquisti inutili, povera merce di scambio che fa da
succedaneo alla genitorialità.
NON E’ IL CASO DI ABOLIRE L’ADOZIONE OBBLIGATORIA? 2008 meno 1968 uguale quaranta: sono passati quarant’anni da quando c’è stato l’ultimo tentativo di dare la scalata al cielo; tanti errori (anche tragici) soprattutto nella fase degli epigoni, ma almeno ci fu la voglia di prendere il toro per le corna e ci si interrogò anche sul senso del libro di testo. Si parla tanto di libertà di insegnamento e ci si dimentica che essa significa libertà di ricerca: progettare un percorso didattico, lavorarci sopra e in questo ambito produrre materiale didattico, indicazioni bibliografiche, sitografia. Insegnare agli studenti a frequentare le librerie e le biblioteche: i luoghi dove esistono i libri veri. Da anni il mercato della editoria scolastica è in progressiva perdita di senso: aumentano i marchi e diminuiscono gli editori; gli editori specializzati che avevano campato per anni su alcuni titoli e autori consolidati sono stati comprati e venduti (tanti editori e pochi padroni). Quando mi capita di parlare con i “rappresentanti” terminali della filiera la discussione finisce sempre sui gadget di corredo, sulla guida per il docente, sulla struttura a box di qui e sulla scheda di là. Parole d’ordine: semplificare, abbellire, colorare, pensare il meno possibile. Intanto le sale professori si riempiono di decine di volumi appoggiati sopra gli scaffali dei registri; volumi che qualcuno ha richiesto e che non ha nemmeno portato a casa o che nessuno ha richiesto ma sono arrivati lo stesso. Un libro dovrebbe essere il concretizzarsi di una ipotesi didattica, di un progetto, di un’idea relativa a quella disciplina e invece questi tristissimi testi sono tutti uguali e non c’è ragione per una adozione che non sia la maggiore o minore simpatia del rappresentante: che tristezza. Esemplifico per non restare troppo nel generico.
1) Letteratura Italiana: hanno senso quelle
grandi opere antologiche corredate di apparati critici in 5, 6, 7, …
volumi in cui poi manca sempre ciò che si cerca e si supplisce con le
fotocopie? Hanno senso le antologie nell’era di Internet e delle
collane economiche dei classici? Non è il caso di educare i giovani, e
di rimando le famiglie, a comperare qualche libro in più e qualche DVD
in meno? 3) Libri di matematica: sono sempre più grossi, sempre più colorati e sempre più omissivi e ingannevoli dove servono la capacità di strutturare e la razionalità (si spreca l’evidente su ciò che evidente non è ma si insegna a fare gli esercizi per imitazione). 4) Libri di fisica: ne escono in continuazione sia di belli sia di mediocri. Ma perché ne escono così tanti e non si lavora invece per migliorare e potenziare l’esistente lavorando su due otre tipi di approccio. 5) Libri di storia: sono così pieni di apparati didattici (documenti, immagini cartine, rimandi, schede) che quando ne maneggio uno mi chiedo come possa, uno studente medio, trarne il dovuto profitto.
L’EDITORIA SCOLASTICA CHE VORREI E’ l’editoria che produce libri normali cioè libri che alla fine dell’anno uno sente il bisogno di conservare. Io ho fatto l’ITIS nei primi anni 60 e ho ancora i tre volumi di Elettrotecnica dell’Olivieri e Ravelli edizioni Cedam con copertina in cartone telata marrone scuro e lettere oro su cui ho mosso i miei primi passi verso la scienza. Invece questa editoria scolastica produce libri che uno studente si affretta a portare al mercatino dell’usato alla fine dell’anno e qualche volta anche prima. Intervenga su questo il Ministro Fioroni, prenda iniziative che consentano, data una materia, di evitare la messa in circolazione di 50 testi quasi uguali. Su di essi hanno lavorato circa 70 autori, circa 50 redazioni, 50 tipografie. C’è stato uno spreco di danaro e di lavoro e alla fine i libri scolastici costano molto e valgono poco. Come potrebbe essere diversamente? E’ pensabile una sinergia tra mondo dell’editoria e ministero che porti a selezionare autori efficaci e sappia premiare la ricerca e la produzione didattica? E’ pensabile che nella carriera dell’insegnate ci sia spazio per la ricerca, la produzione e la documentazione didattica? E’ pensabile che il ministero incentivi la diffusione del free book via internet? Quanta buona fisica e buona matematica ci sono nei test delle Olimpiadi: e in rete ci sono più di 10 anni di prove disponibili gratuitamente (testo e soluzioni). Non sarebbe meglio fare in modo di spendere ancora meno di quelle cifre indicate dal ministero (e che nell’attuale contesto sono improponibili) e lavorare per una scuola in cui sul banco, come a casa, ci sono un PC e Internet? E’ mai possibile che una cosa grandiosa e seria come Wikipedia sia nota agli studenti ed ignota ai docenti e al ministero? Ebbene sì, sono un po’ anarchico visionario e un po’ nostalgico del centralismo. Mi piacerebbero libri essenziali, pensati, certificati a livello superiore, con prove provenienti da banche dati nazionali o regionali, diversificati a seconda delle opzioni pedagogiche in non più di tre o quattro tipologie. Mi piacerebbe poter scegliere il testo dopo aver visto gli studenti e dopo aver discusso con loro il taglio del corso; mi piacerebbe poter indicare una rosa di testi entro cui, a seconda della sensibilità e dello stile cognitivo, ogni studente possa scegliere; mi piacerebbe far usare libri che valga la pena di conservare.
IL MODELLO DI FIORONI CHE ISPIRA IL DECRETO E’ vero che ci sono le elezioni anticipate ma da chi aveva iniziato il suo mandato parlando di strategia del cacciavite mi sarei aspettato un approccio ai problemi della scuola un po’ meno da “repubblica delle banane”. Cosa ce ne facciamo di questo decreto? E’ stato fatto per cercare voti? Cosa facciamo se i conti non tornano? Faremo litigare il professore di lettere con quello di matematica? Diremo a quello di geografia che siccome la sua materia non è importante gli conviene adottare l’atlante (che non entra nella somma)? Faremo arrabbiare i Dirigenti Scolastici costretti a controllare le somme e a riconvocare i Consigli di Classe inadempienti? Distribuiremo degli elenchi di testi in ordine di costo? Faremo riconvocare i Consigli di Istituto per approvare una deroga del 10% di costo in più per le classi sperimentali e chiederemo loro di motivare, come dice il decreto? Ma cosa c’è da motivare se in una sperimentazione ci sono materie in più? Faremo tutte queste cose mentre i listini degli editori sono già stati depositati?
Ministro Fioroni, ministro dell’Istruzione e
dirigente di un partito che si candida al rinnovamento dell’Italia ci
vuole spiegare perché per l’ultimo anno di Liceo Classico il tetto è
di 315 euro e per l’IPSIA di 125? E guardi che non mi accontenterò
della risposta basata sulla fotografia della spesa storica nei due
ordini di scuola. Vorrei che ci fosse un ragionamento. |