Nel 2007 la paga di un neolaureato inferiore a
quella di cinque anni fa
In lieve ripresa il tasso di occupazione. I risultati dell'indagine di
AlmaLaurea
L'Italia immobile dei laureati
i figli degli operai guadagnano meno.
IlLa società è ferma: a 5 anni dalla laurea i
ragazzi provenienti
da classi agiate guadagnano duecento euro al mese in più
Federico Pace, la Repubblica
28.2.2008
Figli di dirigenti che
diventano dirigenti e figli d'impiegati che diventano impiegati. Paghe
che si fanno sempre più esili, occupazioni persistentemente precarie e
disparità di genere e geografiche che permangono nella loro gravità.
Una società priva di dinamismo sociale ed economico. Sono tutt'altro
che liete le scoperte che quest'anno gli oltre trecentomila
neolaureati, la cui truppa di anno in anno andrà facendosi più esigua
per ragioni demografiche, hanno fatto al momento di approdare nel
frastagliato mondo del lavoro.
Quest'anno un neolaureato si è ritrovato nella propria busta paga
1.040 euro. Una cifra che, in termini di potere di acquisto, vale il
92,9 per cento di quello che guadagnava un neolaureato del 2001 (vedi
tabella). E seppure aumenta lievemente il tasso di occupazione, il 48
per cento si ritrova ancora a fare i conti con un tipo di lavoro dalla
natura precaria.
I dati sono quelli del X Rapporto sulla condizione occupazionale dei
laureati italiani presentato oggi a Catania da AlmaLaurea, il
consorzio che riunisce cinquantuno università italiane e che ha
raccolto la testimonianza di 92 mila laureati.
Partiamo però dal lieve miglioramento occupazionale. Quest'anno ha
trovato lavoro, a un anno dalla laurea, il 53 per cento dei giovani,
ovvero poco più di mezzo punto percentuale in più rispetto all'anno
scorso (vedi tabella). Anche la disoccupazione ha segnato una parziale
battuta d'arresto pari allo 0,5 per cento. Rimangono però evidenti le
disparità tra uomini e donne. Lavora il 57 per cento dei primi contro
il 50 per cento delle seconde. Così come al Mezzogiorno il tasso di
occupazione è ancora inferiore a oltre venti punti percentuali di
quello dei loro coetanei residenti al Nord.
Quanto alla precarietà le cose non sembrano migliorare
significativamente. Dal 2000 a oggi il lavoro stabile ha subito una
contrazione in termini percentuali che lo ha visto passare dal 46 per
cento al 39 per cento, mentre il lavoro atipico ha registrato, nello
stesso intervallo di tempo, un aumento di dieci punti percentuali.
Nell'ultimo anno la proporzione di persone con un lavoro stabile, ad
un anno dalla laurea, è aumentato lievemente ma di fatto i due insiemi
sembrano avere invertito, almeno per i primi anni lavorativi, il peso
all'interno di un'occupazione che è divenuta più marcatamente
precaria. Solo dopo cinque anni dalla laurea, la gran parte (il 70 per
cento) dei laureati riesce ad ottenere un impiego stabile.
Ma veniamo alla paga. Seppure i laureati hanno avuto a disposizione
lungo tutto l'arco della vita uno stipendio significativamente
superiore a quello dei loro coetanei diplomati, la laurea ora non
sembra essere più così premiante. Quest'anno la paga media è stata di
poco superiore a mille euro e inferiore, in termini di potere
d'acquisto, a quella del 2001. Ad essere penalizzate sono sempre le
donne che quest'anno portano a casa solo 925 euro rispetto ai 1.186
dei loro coetanei uomini. Dopo cinque anni la paga sale in media a
1.342 euro con costanti disparità territoriali: al Nord si toccano i
1.382 euro, al Centro i 1.288 mentre al Sud si rimane fermi a 1.195
euro.
Che i giovani di oggi fossero destinati a un futuro meno roseo dei
loro genitori lo si era cominciato a capire da tempo. Ma arrivano
sempre più conferme di quello che sta accadendo. Qualche mese fa, uno
studio di alcuni ricercatori della Banca d'Italia aveva mostrato come
negli anni Novanta la retribuzione dei giovani avesse subito una
riduzione significativa rispetto a quella dei loro colleghi più
maturi, e come alla misera paga d'ingresso, si era andata
sovrapponendo una carriera molto meno dinamica e quindi incapace di
assicurare una crescita retributiva che compensasse una partenza così
fiacca.
A questo si aggiunga la scarsa mobilità sociale. Secondo i dati di
AlmaLaurea, a cinque anni dal conseguimento del titolo un giovane
laureato figlio di operai guadagna 1.238 euro al mese, mentre un
ragazzo con lo stesso titolo di laurea ma che proviene da una classe
più agiata riesce a portare a casa 1.437 euro: ovvero 200 euro in più
ogni trenta giorni. E queste differenze si notano in tutte le facoltà.
Per chi esce da economia e statistica diventano anche più acute: 1.276
euro ai figli di operai e 1.519 euro ai figli di chi sta più in alto
nella gerarchia sociale. Tra gli ingegneri la differenza è di poco
inferiore ai 200 euro (1.574 euro contro i 1.759 euro), tra i giuristi
e i laureati del gruppo politico sociale siamo sempre sopra ai cento
euro al mese.
Insomma di padre in figlio. Se ne può trovare conferma anche se si va
ad analizzare il titolo di studio di laurea del genitore e quello
della prole. Si scopre che buona parte dei padri architetti (il 44 per
cento) ha un figlio laureato in architettura, quattro giuristi su
dieci hanno un figlio laureato in giurisprudenza e lo stesso accade
agli ingegneri, ai farmacisti e ai medici (vedi
la tabella). Con evidenti ricadute sui percorsi occupazionali.
Tanto che il 16 per cento dei figli di dirigenti arriva, dopo solo
cinque anni dal titolo di laurea, a ricoprire la carica d funzionario
o dirigente mentre a più del quaranta per cento dei figli di impiegati
succede di ripercorrere il sentiero professionale del padre.
Tutto il fragore degli
anni degli studi universitari, tutti quei giorni in cui si avvicendano
entusiasmi e fatiche, una volta arrivato il tempo dell'occupazione
pare dissolversi per venire sostituito dalla constatazione che la
società italiana si è avvitata su se stessa relegando la mobilità
sociale allo status di chimera. Se si vuole davvero rilanciare
l'economia italiana, si dovrà fare qualcosa.
Al Governo futuro,
Andrea Cammelli, direttore di AlmaLaurea manda la raccomandazione di
aiutare le piccole e medie aziende a "compiere innovazioni di processo
e di prodotto e a dotarsi di capitale umano qualificato favorendo la
formazione di studi associati" perché la ripresa, ha concluso
Cammelli, "passa attraverso la valorizzazione delle risorse migliori
che abbiamo: i tanti talenti che escono dalle università, forse più
numerosi e migliori di quanto non siamo in grado di formare nelle
nostre aule".