Competenze chiave e nuovi bienni.
Considerazioni utili.

di Anna Crovo, da ScuolaOggi del 28.2.2008

 

Difficilmente il complesso processo di trasformazione che sta vivendo la Scuola negli ultimi anni può ridursi solo ad una “ottimizzazione organizzativa”.

Cruciale sarebbe una riflessione: su scopi, funzioni (in rapporto all’evoluzione della domanda sociale), prassi, valutazione dei risultati dell’azione formativa.

Al momento, invece, ad una “teoria” della riforma ricca di nuovi orizzonti e prospettive, corrisponde, di fatto, una “pratica” dell’azione formativa del tutto insufficiente.

Proprio la prassi didattica, soprattutto nella scuola secondaria superiore, è ferma, nel migliore dei casi, agli anni '80: accademica, frantumata, arretrata, priva di appeal. E, a quanto dicono i dati PISA, anche inefficace.

Pensiamo alla rivoluzione di Internet e della globalizzazione e rileggiamo gli obiettivi nei piani di lavoro di gran parte delle nostre scuole.

Ricerchiamo in essi una qualche attenzione ai diversi tipi di intelligenza e stili di apprendimento degli studenti, ad una didattica individualizzata: non ve ne è quasi traccia.

Sotto questo profilo, la proposta fatta nell’ormai lontano 1993 dall’Organizzazione Mondiale della Sanità di una “Life Skills Education” appare fantascienza nelle nostre aule.

Tutto ciò anche se il nuovo obbligo di istruzione introdotto nell’agosto 2007 formalizza (almeno teoricamente) il cambiamento, declinando le otto Competenze chiave di cittadinanza, che da queste “life skills” traggono origine: 1. imparare ad imparare, 2. progettare, 3. comunicare, 4. collaborare e partecipare, 5. agire in modo autonomo e responsabile, 6. risolvere problemi, 7. individuare collegamenti e relazioni, 8. acquisire ed interpretare l’informazione.

Trasversali e uguali per tutti gli studenti (indipendentemente dal percorso formativo intrapreso), necessarie per la costruzione e il pieno sviluppo della persona, di corrette e significative relazioni con gli altri e di una positiva interazione con la realtà naturale e sociale.

Quel che manca ancora è la consapevolezza, tra i docenti, che la cosa “si può fare”. E anche strumenti e risorse adeguati, leve per vincere ostacoli e resistenze al cambiamento.

 

Cinque chiavi per aprirsi al futuro

In questo senso, il nuovo libro di Howard Gardner Five Minds for the Future (uscito a dicembre in Italia edito da Feltrinelli con il titolo Cinque chiavi per il futuro), suggestivo e pragmatico, può offrire un contributo davvero interessante. Egli vi indaga, appunto, le capacità e/o i modi di pensare, gli approcci mentali, che stima necessari per entrare da protagonisti nel mondo di domani: globalizzato, iper tecnologico, competitivo, in continua evoluzione.  

Le mind di cui scrive qui sono qualcosa di diverso e altro dalle multiple intelligences, di cui postulò l’esistenza ormai 25 anni fa. Piuttosto che facoltà cognitive innate, sono meglio descritte come ampi usi della mente, che noi possiamo coltivare a scuola, nella professione o sul posto di lavoro.

E’l’approccio, però, ad essere profondamente differente. Illustrando le diverse intelligenze, Gardner parla in veste di psicologo (che chiarisce come la mente si è organizzata, come si è evoluta); parlando delle cinque menti, invece - con uno spostamento dal descrittivo al prescrittivo - si pone come un policymaker, un politico, suggerendo i tipi di capacità umane e abilità a cui tutti, come società civile, dovremmo dare la priorità nel futuro. E indicando come e in che direzione promuoverle.

 

Sulla base di queste premesse, egli delinea nel libro la fisionomia del suo quintetto.

I primi tre tipi di mente correlati alla sfera cognitiva, gli ultimi due al nostro modo di trattare la sfera umana:

La mente disciplinata (o disciplinare)

  • padroneggia le conoscenze e le procedure chiave associate a discipline, professioni, mestieri;

  • si impegna con diligenza puntando al miglioramento continuo, anche al di là dell’educazione formale (lifelong learning).

La mente sintetizzante

  • isola i dati essenziali dalla massa di informazioni;

  • li incorpora nel proprio sapere di base e nel proprio repertorio professionale;

  • organizza i materiali in modo che abbiano significato per sé e per gli altri.

La mente creativa

  • va al di là di ciò che è noto (outside the box, dice Gardner), del sapere e delle sintesi esistenti in uno o più ambiti disciplinari, ponendosi nuove domande;

  • offre soluzioni inattese appropriate, capaci di influire sulla realtà in modo permanente.

La mente rispettosa

  • mostra interesse attivo e simpatetico verso coloro che appaiono diversi;

  • cerca di capire e di lavorare efficacemente e agevolmente con gli altri, qualunque sia il loro background, la loro condizione/posizione e il loro punto di vista;

  • va al di là della semplice tolleranza e del “politicamente corretto”;

  • bada alle qualità dei singoli individui e non agisce in modo riflesso sulla base di pregiudizi.

La mente etica

  • riflette sul proprio ruolo (come studente, lavoratore, cittadino) e ne concettualizza le caratteristiche;

  • agisce in modo responsabile e appropriato al ruolo assunto;

  • tendere all’eccellenza e all’impegno nei diversi contesti.

 

Come e in che ordine coltivare le “cinque menti”?

Gardner propone anche un ordine ottimale in cui le diverse menti (tutte presenti fin dall’inizio, ma capaci di venire alla luce soprattutto in determinate fasi dello sviluppo) dovrebbero essere coltivate. Il che non è vincolante, ma offre ugualmente importanti input al decisore politico come pure al docente. E cioè:

1.  Creare fin dall’inizio un clima basato sul rispetto dell’altro. Dove il rispetto manca, tutti gli altri traguardi sono più difficili da raggiungere. 

2.  Acquisite le abilità di base nella scrittura, lettura e calcolo verso la fine della scuola elementare – precondizioni per un apprendimento efficace – è il momento per sviluppare i modi di pensare delle principali discipline. Ci vogliono anni, meglio cominciare subito.

3.  Forte delle conoscenze delle procedure distintive di ogni disciplina, lo studente è ora pronto per affrontare la sintesi, come pure il pensiero interdisciplinare.

4.  Negli anni della scuola secondaria e dell’università, l’individuo diventa capace di pensiero astratto; può quindi ora concettualizzare il mondo del lavoro e le responsabilità del cittadino e agire di conseguenza. Rimane, tuttavia, importante offrire sempre - anche ai giovanissimi - modelli di comportamento etico, indispensabili per spianare la strada a discorsi più complessi.

La creatività richiede un discorso a parte, visto che il suo ruolo nell’educazione formale dipende, in parte, dal suo ruolo nella società, in quel particolare momento o latitudine. Sicuramente essa va di pari passo con lo sviluppo disciplinare, considerato che

-   chi non padroneggia conoscenze e procedure chiave delle maggiori discipline non può essere autenticamente creativo

-   in assenza di creatività, una mente disciplinata non può che riprodurre “prodotti” ripetitivi.

 

Ma è, soprattutto, riguardo al come, che Gardner offre indicazioni operative preziose, puntualizzate per ciascuna delle cinque mind, e sintetizzabili come segue

Sul piano disciplinare:

Superamento  di una realtà educativa il cui l’obiettivo sia la memorizzazione di fatti, numeri, definizioni,  a favore dell’acquisizione dei modi di pensare distintivi delle diverse materie chiave. Ne deriva la necessità di sviluppare il curricolo in profondità, a spese dell’ampiezza; cosa che, nella pratica, dovrebbe portare ad una revisione dei programmi per l’individuazione di conoscenze e procedure chiave nelle diverse discipline.

Sul piano metodologico:

Scelta di strategie didattiche che, andando oltre la lezione frontale e l’approccio strettamente disciplinare, favoriscano sempre un taglio laboratoriale e multi-prospettico. Gli obiettivi saranno quelli

a.      di raggiungere più studenti (personalizzazione del percorso di apprendimento) e

b.      di verificare quanto l’apprendimento sia effettivo,

dando ampie opportunità per mettere in atto di persona quanto appreso in situazioni diverse da quelle già sperimentate (performances of understanding, le chiama Gardner).

Numerose le strade percorribili nella prassi didattica: lasciare aperte le possibilità di fare collegamenti (rispettando altresì la pluralità di connessioni appropriate); proporre attività che non siano caratterizzate da un’unica risposta, ma facciano appello ad altre realtà, all’inventiva, a soluzioni creative; esercitare la tolleranza, se non l’aperto incoraggiamento, per gli errori produttivi. Tutte fanno appello a una pluralità di approcci alla realtà, tutte all’apprendere sperimentando.

Sul piano relazionale:

Sono possibili almeno tre considerazioni

-         La prima riguarda un aspetto del fare scuola, da parte di chi vi opera, che potrebbe essere definita, la cultura dell’esserci. In altri termini: un insieme di comportamenti attenti all'"essere presenti", come intelligenza, come cuore, come intenzionalità, consapevolezza del proprio ruolo.

Lo sviluppo delle diverse menti/intelligenze è possibile, dice Gardner, solo in presenza di una comunità di adulti che le sostenga, offrendo ai giovani una molteplicità di modelli positivi per preparazione, atteggiamenti, scelte di vita, creatività.

-         Di qui la seconda considerazione, che è uno sviluppo della prima: la perduta dignità sociale della professione insegnante, la difficoltà a farsi “ascoltare”, la necessità di ridare senso ed efficacia all’azione educativa sono problemi reali. Ci sono i dati a confermarlo. Andrebbero, però, affrontati da una prospettiva diversa. Riflettendo, innanzi tutto, che è una questione di educazione alla bellezza. I giovani hanno bisogno di crescere in un ambiente in cui ogni persona tende nel suo fare a costruire bellezza. Fare l’insegnante non significa spiegare, valutare, programmare,  ma spiegare,  valutare, programmare bene. A regola d’arte. Insegnare a regola d’arte è un gesto di bellezza, è tutta la dignità di un insegnante. Bellezza necessaria a vivere sapendo di non essere asserviti a un lavoro ingrato e privo di senso.

-         Da ultimo, ma non per questo meno importante, gli studenti hanno bisogno di sapere 1. perché stanno studiando quello che stanno studiando, 2. come queste conoscenze possono essere utilizzate in modo costruttivo. Rendere espliciti obiettivi, criteri senso delle nostre scelte, come fondamentale strategia di coinvolgimento e apprendimento.

 

Conclusioni

La maggior parte delle tesi riproposte nel libro non sono novità assolute per chi ha seguito l’itinerario di ricerca di Gardner, ma approfondiscono concetti già presenti in libri, articoli e saggi pubblicati precedentemente. Quali sono i diversi stili cognitivi? Che cos’è l’apprendimento? Come si manifesta? In che modo educare al comprendere? Che funzioni svolgono le istituzioni educative? Temi sui quali la sua riflessione si esercita analiticamente da più di vent’anni, continuamente  aggiornati alla luce dell’attività di studioso e ricercatore. Nuovo è invece lo sforzo di dare unitarietà e compiutezza alla proposta complessiva. E nuovo, come si è detto, è il passaggio dal descrittivo al prescrittivo, il tentativo di proporci ipotesi risolutive che, pur sembrando talvolta un po’ low profile, poco accademiche (o forse proprio per questo) hanno il pregio di portare il discorso ad un livello di grande concretezza.

Qui non interessa richiamare ancora le responsabilità della società, della famiglia o della politica per il diffuso illetteratismo, per l’inciviltà, talvolta dirompente, di alcuni studenti, per la tendenza a prendere scorciatoie, ma riportare l’attenzione sulle responsabilità che spettano agli operatori scolastici.

Gardner identifica con semplicità e chiarezza, nella sua analisi, gli ostacoli e le resistenze che qualunque tentativo di guarire “il mal di scuola” incontra sulla sua strada: il conservatorismo (“Ci troviamo benissimo con l’educazione tradizionale e le pratiche che esistono da tempo. Perché cambiare?”),  il senso di impotenza (“Gli obiettivi sembrano buoni, ma non so come raggiungerli, né come valutarli”), talvolta l’aperta diffidenza (“Chi può sapere quali rischi nascondano questi consigli? Magari l’eccessiva creatività può scivolare nell’anarchia”).

Ed arriva ad identificare almeno tre leve su cui agire per il miglioramento:

1.  Investire energie e risorse sul piano organizzativo. La scuola non è affare esclusivo del Dirigente scolastico e dei suoi collaboratori, tuttavia, egli rileva, quando si parla di innovazione e di motivazione dei docenti, sono fondamentali esempi di leadership positiva, pronta a promuovere, indirizzare, valorizzare, coordinare.

2.  Ridare spazio e significatività ai momenti collegiali. Per superare il concetto di scuola come impresa individuale, per affrontare insieme nuovi percorsi di ricerca didattica (sui contenuti disciplinari e approcci metodologici), per una efficace valutazione dei risultati ottenuti. 

3.      Valorizzare (anche in termini di carriera) il lavoro ben fatto: l’impegno, la professionalità, la disponibilità ad aggiornarsi, la capacità progettuale…

E’ preferibilmente da queste analisi e linee di lavoro che si dovrebbe ripartire per garantire qualità al lavoro nelle scuole e quindi risultati apprezzabili nelle direzioni auspicate dal progetto di riforma. Non credo basti interrogarsi rispetto alle Conoscenze chiave di cittadinanza – Gardner rimane, comunque, una miniera da sfruttare; è necessario che la riflessione coinvolga anche i  momenti-chiave di una corretta pratica didattica, la relazione, l’aggiornamento didattico metodologico degli insegnanti.

E a partire da queste riflessioni - che interrogano certamente il mondo della scuola, ma anche chi ha responsabilità sulle politiche scolastiche – ipotizzare un nuovo profilo per l’insegnante i cui tratti caratterizzanti siano, in primo luogo, quelli di una figura professionale disciplinata, sintetica, creativa, rispettosa ed etica.