Una serie di dati-choc raccolti dalla Fondazione Agnelli:
ecco perché strangolano il bilancio dell’Istruzione

Troppi e vecchi Il triste identikit dei professori

L’Italia ha raggiunto il record europeo. “Sono così tanti che non si riesce a contarli”. Andrea Gavosto «Sistema malato Serve un freno alle graduatorie infinite. Nel prossimo decennio saranno 300 mila quelli che lasceranno»
Un esercito di 240 mila persone che rappresenta un problema sociale.
Il paradosso Il boom dei docenti non si ferma, mentre la popolazione degli studenti è in calo costante da anni  il bilancio dell’Istruzione

Raffaello Masci La Stampa, 4.12.2008

ROMA
Gli insegnanti sono troppi. Anzi, i maestri sono troppi. E soprattutto sono vecchi. La fondazione Agnelli nella sua indagine sui docenti italiani non è così tranchant, ma, dopo la lettura del dossier, questo si capisce.

La Fondazione, diretta da Andrea Gavosto, a febbraio pubblicherà un Rapporto sulla scuola italiana, di cui ieri ha diffuso alcuni stralci relativi. Tra i dati, alcuni consentono di farsi un’idea abbastanza chiara anche su questioni poste dal governo, specie sul maestro prevalente (erroneamente detto unico) e sul reclutamento del corpo insegnante.

«Il numero esatto degli insegnanti non lo conosce nessuno». Così esordisce il dossier. Le posizioni contrattuali sono talmente variegate che il numero degli insegnanti (a cui è connesso il 97% del bilancio dell’Istruzione) è fluttuante. Nell’anno scolastico 2007-08, tuttavia, gli insegnanti erano 840 mila, di cui 750 mila «normali» (diciamo così) e 90 mila di sostegno. A questa platea vanno aggiunti 25 mila prof di religione, 35 mila docenti dipendenti di scuole comunali o provinciali, 80 mila delle scuole non statali, più 100 mila supplenti con spezzoni di orario, ma comunque di fatto in servizio. Il totale supera il milione di unità. Ma se analizziamo questa massa dal punto di vista dell’inquadramento contrattuale, solo 700 mila sono di ruolo, e 240 mila sono, a vario titolo, precari (quelli di sostegno sono a parte).

Questo numero, dal dopoguerra in poi, è cresciuto esponenzialmente ma non proporzionalmente alla popolazione scolastica: nel 1951, per 5 milioni di alunni, c’erano 240 mila docenti. Nel 1978 (anno del boom) gli alunni erano 10 milioni, ma i docenti già 732 mila. Nel 1980 è iniziato un declino della popolazione scolastica, tuttavia nel 1993 i docenti hanno raggiunto quota 900 mila, grazie alla formula dei tre maestri ogni due classi (introdotta nel giugno ‘90). Nel 2000 c’è stato il picco negativo: 7,5 milioni di studenti, ma a fronte di 850 mila prof.

Tanti o pochi? Nelle elementari ci sono 10,6 bambini per insegnante (senza contare i docenti di sostegno, altrimenti si arriva a 9,6)). In Francia ce ne sono 19,4, in Germania 18,8, in Inghilterra 20,7, in Spagna 14,3. Se si passa alle superiori i numeri sono più omogenei: da noi 11 allievi a docente, in Francia 10,3, in Germania 14, in Inghilterra 11,8.

Nei prossimi 10 anni due fattori dovrebbero alterare l’equilibrio. Da una parte l’applicazione del piano programmatico fissato con la finanziaria, che prevede tra 2009 e 2011 una «cura dimagrante» di 87 mila posti. Dall’altra, ci sarà un’uscita di docenti anziani: la Fondazione Agnelli calcola che andranno in pensione 300 mila docenti nel decennio. Per la scuola si tratterebbe di un’occasione di rinnovamento non solo anagrafico - conclude il dossier - ma professionale, che avrebbe però, come contrappeso, il farsi carico della questione dei precari presenti nelle graduatorie.

Andrea Gavosto, lei è economista e direttore della Fondazione Giovanni Agnelli: la vostra ricerca darebbe ragione alla scelta di reintrodurre nella scuola il maestro prevalente. E’ così?

«Noi forniamo i dati utili ad un ragionamento. Traiamo anche delle conclusioni, ma non forniamo indicazioni politiche, perchè queste spettano ad altri. Certamente nella scuola primaria il rapporto alunni-docenti è il più basso sia d’Europa che dell’area Ocse. E questo è un dato su cui riflettere».

Lei sostiene che la scuola nei prossimi anni potrebbe rinnovare in buona parte la sua classe docente, a patto che rallenti il riassorbimento dei precari. Facciamo spazio ai giovani ma mettiamo sul lastrico i «vecchi» che attendono da anni?

«Noi sosteniamo che la scuola abbia bisogno di un forte rinnovamento anche nel suo corpo docente. Non neghiamo, tuttavia, che una scelta del genere ponga dei problemi di compatibilità sociale. Spetta alla politica compaginare queste due istanze, che esistono e vanno entrambe rispettate».

Anche se non è detto esplicitamente, la ricerca postula un nuovo sistema di reclutamento. E’ così?

«E’ così. Va cambiato il sistema delle graduatorie infinite e che si trascinano per tempi infiniti. Bisogna mettere fine al fenomeno del precariato che si riproduce continuamente e pensare ad un sistema più agile, più meritocratico e capace di attirare verso la scuola le energie migliori del paese. So, peraltro, che sia in Parlamento che nel sindacato in molti stanno riflettendo sulla questione».