Il dossier
Troppe scuole, pochi studenti Più fondi per i nuovi edifici se si chiudono gli istituti inutili Alessandra Fontana e Massimo Bordignon, la Repubblica, 5.12.2008 La nostra scuola ha bisogno di edifici più moderni e più sicuri, come ci ha drammaticamente ricordato la tragedia di Rivoli. Ha anche bisogno di migliorare la qualità della didattica, inferiore alla media europea. Questo significa maggiori risorse per l'incentivazione e la formazione degli insegnanti, maggiori risorse per la valutazione degli apprendimenti, maggiori risorse per l'edilizia scolastica. Dove troviamo tutti questi soldi, soprattutto nel bel mezzo di una recessione? Per rispondere, è bene ricordare che noi non spendiamo poco per l'istruzione; al contrario la spesa per studente del nostro paese è del tutto in linea con quella degli altri paesi sviluppati (2.971 dollari contro una media Ocse di 3.072), nonostante che i risultati siano assai peggiori. La conclusione è che spendiamo male e che dobbiamo imparare a spendere meglio. L'edilizia scolastica è un buon esempio. Una legge del 1996 attribuiva alla Stato il compito di finanziare le Regioni con trasferimenti specifici per la manutenzione degli edifici e di introdurre una Anagrafe edilizia per migliorare l'allocazione dei fonti. Ma a distanza di dodici anni di questa anagrafe non c'è traccia, e i trasferimenti statali si sono nel frattempo ridotti dell'80%, lasciando gli enti locali a cavarsela da soli. Con la conseguenza che chi i soldi ce l'ha, e cioè gli enti locali del Centro-Nord, ha speso di più e gli altri di meno (350 euro in spesa edilizia per alunno al Centro-Nord contro 182 al Sud). Ora il sottosegretario Bertolaso stima, non si sa bene come, visto che l'Anagrafe non c'è, in 13 miliardi le risorse necessarie per mettere in sicurezza le scuole. E dove li troviamo? Il problema principale è che nel nostro paese ci sono troppo insegnanti per studenti (circa il 40% in più rispetto alla media Ocse) e che quindi tutte le nostre risorse se ne vanno in spesa corrente. Anche senza bisogno di maestri unici, ci sono parecchi interventi di razionalizzazione della offerta che consentirebbero enormi risparmi. Per esempio, se solo si riuscisse a uniformare tra regioni il numero di studenti per classe e di insegnanti per classe, portandolo al livello medio delle cinque regioni migliori, si eliminerebbero 34.700 cattedre, con un risparmio superiore a 1 miliardo di euro. Spostando la decisione in merito all'iscrizione dal singolo istituto scolastico al distretto, cioè spostando tra scuole limitrofe gli studenti al margine, si potrebbero eliminare fino a 40mila cattedre tra medie e elementari, con un ulteriore risparmio di circa 1,2 miliardi di euro. E così via.
Ma per tornare al problema dell'edilizia, c'è un altro intervento
che non è più procrastinale. Le scuole italiane sono in cattive
condizioni anche perché son troppe: 42mila, di cui quasi 6mila con
meno di 100 studenti. E la frammentazione della rete, producendo
classi con troppo pochi studenti, è a sua volta responsabile di
circa un terzo dell'eccesso di personale docente rispetto alla media
Ocse. Finora tutti i tentativi di razionalizzazione della rete sono
finiti nel nulla. E per una buona ragione; questo non è un campo
dove si può agire con interventi indiscriminati e passando sopra
alle competenze delle regioni, come immaginava per esempio la bozza
originaria del decreto Gelmini. Qui l'unica azione sensata è quella
di predisporre, sulla base delle informazioni a disposizione del
ministero dell'Istruzione e sulla base di criteri di accessibilità
degli utenti, una mappa efficiente dell'offerta scolastica sul
territorio, individuando i plessi da chiudere. È un'operazione
complessa, ma che si potrebbe fare in tempi brevi, meno di un anno
sulla base delle nostre stime. E se una regione vuole comunque
mantenere plessi inefficienti, se li finanzia con le proprie
risorse, come previsto dalla nostra Costituzione. Con una
avvertenza. Oggi, se un comune chiude una scuola, paga solo dei
costi, soprattutto in termini di conflitti con le famiglie e altre
forze locali. I benefici vanno invece allo Stato centrale, sotto
forma di minori spese per il personale. Se si vuole davvero
incentivare comportamenti più coerenti tra i diversi livelli di
governo, è opportuno prevedere che parte dei benefici resti a
disposizione dell'ente locale stesso, per poter essere reinvestiti
nel settore scolastico.
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www. lavoce. info) |