Caritas: la separazione in classe di A.G. La Tecnica della Scuola, 8.12.2008. Per il Direttore della Caritas diocesana di Roma, monsignor Guerino Di Tora, il problema non è quello di differenziare i programmi di insegnamento, né tantomeno separare, ma occorre favorire il più possibile l'approccio pedagogico interculturale. Per fare ciò bisogna però capire che la diversità culturale non è un elemento di disturbo, ma una ricchezza da valorizzare: e l'onere del cambiamento non è esclusivamente a carico del soggetto che si deve integrare, ma anche del contesto sociale di accoglienza. "Il problema non è quello di differenziare i programmi di insegnamento, né tantomeno separare, ma occorre favorire il più possibile l'approccio pedagogico interculturale": in caso contrario si rischia di favorire il rimpatrio dei più svantaggiati e figli di stranieri, anche se nati in Italia. Il Direttore della Caritas diocesana di Roma, monsignor Guerino Di Tora, torna, seppure senza mai citarla, sulla mozione che introduce le cosiddette classi ponte, riservata agli studenti non italiani più in difficoltà, presentata qualche settimana fa dalla Lega Nord ed approvata dalla Camera. L’occasione per farlo è la presentazione del volume 'Crescere stranieri in Italia. Rischi e opportunità' sulla situazione dei minori immigrati’. Per il rappresentante della Caritas insistere su logiche educative separatorie rischia infatti di incentivare il fenomeno del rimpatrio nel loro Paese di non pochi bambini nati in Italia ma appartenenti a famiglie straniere spesso in estrema difficoltà e non sempre in regole con il permesso di soggiorno. E tutto questo accadrebbe malgrado la legge garantisca il diritto allo studio per tutti i giovani che si trovano nel territorio italiano, a prescindere dallo stato della famiglia di appartenenza. Negli ultimi mesi si un numero sempre maggiore di mamme straniere fanno compiere ai figli, nati in Italia, un ritorno in 'patria' per farli accudire dai propri familiari, impossibilitati a farlo in Italia. Per monsignor Di Tora si tratta “di un dramma che ci chiama a risposte immediate e concrete". Per evitarlo servirebbero interventi di sostegno tutele assicurative e promozione delle forme di auto-aiuto all'interno delle comunità. Oltre che garantire a tutti i bambini, anche se figli di irregolari, la piena tutela sanitaria con il pediatra di famiglia e l'assistenza sociale. Ma anche nuovi asili ed una piena integrazione. E si tratta "investimenti sociali da fare subito", avverte il monsignore. Investimenti che necessitano, per forza di cosa, l’attuazione del passaggio da una 'società multiculturale' a una 'società interculturale', ovvero che vede nella diversità culturale "un elemento di disturbo da annientare, assimilare o emendare: una ricchezza da accogliere e valorizzare – continua Di Tora - fermo restando che l'onere del cambiamento non è esclusivamente a carico del soggetto che si deve integrare, ma anche a carico di coloro che appartengono al contesto sociale di accoglienza". Alla presentazione del volume, organizzata nell'ambito delle iniziative della Provincia di Roma per la Giornata per i diritti dell'infanzia, hanno partecipato anche dell'assessore provinciale alle politiche sociali, Claudio Cecchini e la professoressa Mimma Tafà del Dipartimento di Psicologia Dinamica e Clinica dell'Università La Sapienza di Roma.
Il libro, curato
da Maria Francesca Posa, responsabile dell'asilo nido interculturale
"Il piccolo mondo", con contributi di esperti e studiosi, affronta
le implicazioni cliniche e psicosociali dell'immigrazione dei
minori, sia quelli al seguito dei genitori che di quelli nati in
Italia. “L'esperienza scolastica – ha detto Posa - è spesso il banco
di prova per il bambino straniero ma che "può anche divenire una
risorsa laddove, supportato dalla famiglia e dalla scuola, riesca ad
approdare a una sana integrazione tra le due culture di
appartenenza". |