Alunni stranieri in classe: di Marco Pistoi da Pavone Risorse, 8.12.2008 La Camera ha approvato la mozione della Lega Nord in materia di accesso degli alunni stranieri alla scuola dell’obbligo. Il termine originariamente indicato “classi ponte” è stato sostituito dal meno imbarazzante “classi di inserimento”, ma la sostanza non è cambiata: si intende separare gli alunni stranieri. Motivazione? Ridurre i rischi di esclusione. Evidentemente le due cose non sono apparse contradditorie a 256 deputati. Sono anni ormai che nelle nostre scuole “passano” alunni provenienti dai più svariati angoli del mondo ma il mio ricordo più nitido risale ad un primo incontro… Quarta elementare. Un paio di occhi scuri cerchiati di bianco mi osservano incuriositi. Risaltano su un viso ancora più scuro, di bambina. Una piccola finestra sull’Africa, nella mia classe. Non parla italiano ed è timida. Perfetto: insegno da poco e mi pervade un senso di inquietudine. Il programma scolastico… Mi precipito ad acquistare alcuni volumetti dal titolo rassicurante, come “Grammatica italiana per alunni stranieri”… Li butto dopo qualche giorno, ma solo per fare un’altra cosa poco assennata: dissemino l’aula di cartellini con su scritto “lavagna” , “banco”, “porta” e via dicendo… Qualche giorno dopo li stacco. Sono imbarazzanti, e non solo per la bambina. Eppure basta poco per capire. Basta osservare. Trascorsi alcuni giorni la bambina comunica con i compagni (tra cui un brasiliano arrivato da poco), sorride, litiga, protesta (come tutti) e chiede. All’inizio sono brevi scambi, via via si arricchiscono, fino a diventare richieste molto precise: “Cosa vuol dire?” “Come si scrive?” “Come devo dire per…” è il tempo della quotidiana attività nella classe, del gioco durante la ricreazione, del pranzo insieme, delle domande durante le uscite sul territorio… Resisto alla tentazione di coinvolgere la classe in approfondimenti culturali sulla sua terra d’origine. Non è di questo che la bambina ha bisogno, per ora. Sarà lei a chiedere, con il suo italiano incerto, di parlare dell’Africa e delle sue tradizioni, ma solo dopo qualche tempo… Questa prima esperienza mi ha permesso di capire quanto l’integrazione si consolidi attraverso la relazione e come la relazione si costruisca a partire dal gruppo classe, con il quale si condivide un senso di appartenenza e di complicità. È lo spazio educativo protetto da legami affettivi significativi a permettere tanto rapidamente l’apprendimento della nuova lingua (e molto di più…). Il seguito, per noi insegnanti e per la classe intera, è un aprirsi di nuove possibilità didattiche (ad esempio i laboratori di L2) e di momenti di approfondimento (grazie anche al coinvolgimento delle famiglie e alla collaborazione di mediatori culturali, sempre più presenti nelle nostre scuole)… altro che “penalizzante riduzione dell’offerta didattica per gli alunni italiani”! È con la classe e per la classe che si studia l’italiano, si esplorano nuove strategie metodologiche e comunicative, si ritagliano momenti di “recupero” a piccoli gruppi. Una lingua si impara per comunicare e per comunicare occorre avere la motivazione che nasce dal sentirne il bisogno… Come può un bambino (perché di bambini stiamo parlando) avvertire tale bisogno in un “luogo di apprendimento separato”, in un contesto di “discriminazione transitoria positiva” (sic!)…? Naturalmente per fornire un adeguato sostegno linguistico occorrono strumenti e una buona formazione per i docenti, ma dubito esistano “spazi dotati di strumenti appositamente dedicati” che possano sostituire quel formidabile laboratorio didattico - educativo che è la classe.
Recentemente ho incontrato la bambina (ormai ragazza): continua a
studiare con il suo dizionario di italiano sulla scrivania. “Ogni
parola che trovo, mi rimanda a nuovi significati da cercare…”, mi
dice. Sorrido. Non è un limite. È una conquista. La tua conquista. |