I nuovi Regolamenti per i Licei Francesco Butturini, Educazione & Scuola 19.12.2008 Da qualche giorno sto studiando i Regolamenti per i Licei, perché sono l’ambiente scolastico in cui vivo e lavoro da più di quarant’anni, prima come professore, e da trent’anni come preside. Gli stessi problemi mi sembra appartengano anche ai Regolamenti per Istituti Tecnici e Professionali (dai quali, se non sbaglio, è scomparso nel nulla l’Istituto Professionale d’Arte). Tornando ai Licei, I quadri orari che le definiscono mi fanno la sensazione di esser nati quasi per sbaglio. O per sbagliare di proposito. Voglio dire: sbagliare la mira cui deve tendere un liceo in Europa, oggi, prima soglia del XXI secolo, nel mondo della globalizzazione planetaria, nel contesto complesso delle relazioni e di una progettualità permanente che è l’anima della società che amiamo di volta in volta definire liquida oppure delle conoscenza. Questi quadri non solo sono vecchi e nascono prima del Regolamento dell’autonomia, il D.P.R. 8 marzo (bella data!) 1999, e prima anche dell’approvazione della legge che modificò il titolo V della nostra Carta costituzionale, ma non rispettano nemmeno il Decreto Legislativo 226/05 cui si dicono vincolati. Tutto questo è comunque poco rispetto a quello che non rispettano e non vedono e non fanno vedere. È questo il motivo per cui li sento, li vedo, li definisco vecchi, superati ancora prima di nascere: non tengono in nessun conto la Strategia di Lisbona 2000/2010, le Raccomandazioni più volte ripetute e ribadite dal Consiglio e dal Parlamento europeo (raccomandazioni che erano state alla base del Regolamento per l’innalzamento dell’obbligo di istruzione: anche questo ignorato con i suoi quattro assi, che non sono più un poker vincente, perché il mazzo non c’è più). Ignorano completamente la risposta didattica, culturale, scolastica che anche la Scuola italiana deve dare alle domande-obiettivo contenute nelle otto competenze chiave, cuore delle Raccomandazioni della Strategia di Lisbona. Ignorano, cioè, la prima e capitale conseguenza che deriverà da questa ignoranza: le certificazioni europee dei nostri diplomi sono a grave rischio di non aver nessun riconoscimento da parte degli altri Paesi dell’Unione. Una bazzecola! A metà novembre (dal 17 al 18), a Londra presso la Brunel University, si è tenuta una Conferenza internazionale dedicata all’alfabetizzazione digitale, come passo non secondario per rispondere alle domande della Strategia di Lisbona. L’Italia era rappresentata da un solo docente, mi sembra dell’università di Perugina. Ho inviato alla conferenza internazionale una mia docente esperta di comunicazioni, che da Londra ci riferisse i risultati del dibattito internazionale in merito, perché in quegli stessi giorni (dal 16 al 20 novembre), nei pressi di Verona, dirigevo il sesto seminario ministeriale nazionale dedicato ad 85 scuole di ogni ordine grado da tutte le regioni d’Italia, con un programma tutto racchiuso nel titolo “Didattica della comunicazione didattica”. Da Londra la nostra inviata ci riferì che tutti i Paesi rappresentati ribadivano la ineludibilità del confronto con le otto competenze chiave e la necessità di affrontare le riforma scolastiche partendo dalle Raccomandazioni della Strategia di Lisbona. Sulla comunicazione didattica ci stiamo lavorando in tanti da qualche decennio, perché in tanti abbiamo scoperto che la relazione didattica (insegnamento/ apprendimento) è relazione di massa ed ha quindi bisogno di tutte le strategie delle relazioni di massa, prime fra tutte quelle complesse e articolate della comunicazione in un contesto laboratoriale. Diversamente, l’aula rimane la stessa stanza che anche un visitatore del XIX secolo non farà fatica a riconoscere in mezzo ad ambienti che non è più in grado di riconoscere e tanto meno abitare ed usare. In quelle 85 scuole, e in centinaia di scuole italiane docenti e dirigenti da anni sperimentano la didattica della comunicazione didattica. Penso agli oltre trecento Licei delle Scienze Sociali, ai licei del progetto Autonomia, alle tante altre scuole che da anni ricercano, fanno ricerca-azione didattica della/sulla comunicazione complessa della relazione fra adulti e studenti. Ebbene, ditemi, nei quadri orari dei Licei, che cosa trovate delle Raccomandazioni di Lisbona? Della laborialità che ne deriva? Dell’alfabetizzazione digitale? Della comunicazione non verbale (cinema, danza, musica, televisione, arte?). Frammenti, di tanto in tanto. Solo frammenti. Manca totalmente una visione della Scuola, un pensiero della Scuola che la faccia diventare punta di diamante della società della conoscenza e dell’economia. Quei quadri rimandano ad una scuola emarginata, priva di interesse, disancorata dal territorio, senza prospettive. Un tempo che ha da passare come la “nuttata” di Eduardo. Un grande avvenire, dunque, aspetta i nostri adolescenti. Solo i nostri, però, perché se date uno sguardo fuori d’Italia, vedrete che in tanti Paesi dell’Unione le cose stanno andando in maniera decisamente differente. Mi chiedo: cosa abbiamo fatto di male per perdere quello che stavamo facendo, che si stava facendo in più di mille scuola che si ostinano a chiamare sperimentali quando dal giugno del 2000 sono passate tutte ad ordinamento?
Come si fa a gettare alle ortiche un patrimonio europeo che la nostra
scuola migliore già sperimentava, ottenendo sicuri, più che sicuri
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