Regolamento per il primo ciclo: di Red Rom, da ScuolaOggi 29.12.2008 La prepotenza “verbale” con la quale si sta imponendo alla scuola il Regolamento sul primo ciclo di istruzione rivela un “fumus persecutionis” verso la scuola elementare degno di ben altre cause e certamente non consono a quella che viene decantata come una riforma “epocale”. Due chicche per tutte. La prima si trova nell’intervista indispettita del Ministro dell’Istruzione che dichiara il modulo della scuola elementare “morto e sepolto” (La Stampa, 12 dicembre 2008). Ammettiamo pure che questo sia l’effetto del Regolamento in fase di approvazione. Ma la dichiarazione – per com’è formulata - ferisce tutti quei docenti (e dirigenti) che hanno cercato in questi vent’anni di far funzionare al meglio la scuola elementare, con risultati che anche le più recenti ricerche internazionali (TIMSS, 2008) continuano a giudicare di eccellenza. Ad essere definite “morte e sepolte” sono dunque le 245.000 maestre italiane. Non è un bell’inizio per creare condivisione, consenso, un minimo di motivazione del personale di fronte alle novità… La seconda si legge in un passaggio del Regolamento sul primo ciclo (quello approvato dal Consiglio dei Ministri in prima lettura il 18-12-2008), là ove si parla di formazione del personale docente in vista della riforma: la formazione avrebbe lo scopo di favorire “l’adattamento” (sic!) dei docenti al nuovo ordinamento (art. 4, comma 11)! Dunque, maestre e professori sono considerati potenziali “disadattati” rispetto alle magnifiche soluzioni prospettate dalla riforma! Ma non si era sempre detto e scritto (anche in autorevoli documenti del Ministero) che la formazione in servizio si basava sulla riflessione sull’esperienza, sulla valorizzazione delle buone pratiche, sullo scambio alla pari in una comunità di professionisti? Qui tutto sembra ridursi ad un forzato adattamento a ciò che un legislatore lontano ha decretato, senza mai aprire un confronto vero, senza argomentazioni, senza dati, senza storia. Appunto, “olio di ricino” da ingerire per convincere i più recalcitranti.
Ma di scivoloni semantici sono piene le dichiarazioni ufficiali: quando ad esempio si torna a mettere in auge il doposcuola degli anni ’50 (come surrogato del tempo pieno) solo per far quadrare il traballante teorema del maestro unico. Peccato, quando nei Concorsi magistrali (è vero, si facevano regolarmente ogni due anni ed era uno stimolo allo studio per i giovani insegnanti) si chiedeva ai candidati di riferire delle “Linee guida” (1972) della legge 820(1971, ove si parlava di “giornata educativa integrata”, di “equa ripartizione dei carichi orari”, di “pari dignità delle discipline”, di “contitolarità e condivisione” tra i docenti. Già, ma oggi chi decide non è tenuto a conoscere questa storia (e altre ancora più umili), perché forse pensa di esercitare un “potere” conferito una volta per tutte dagli elettori. Però, la scuola elementare italiana è essa stessa un grande fenomeno sociale, capillarmente diffusa nel territorio, con ricche tradizioni, che non sopporta di essere manomessa per miserevoli calcoli ideologici (fossero solo contabili!).
Si dice che tutto ciò è dovuto alla ferrea logica dei conti pubblici. La voragine c’è, è sotto gli occhi di tutti, anche se diverse potrebbero essere le scelte di fronte alla crisi finanziaria globale. E’ tempo di “lacrime e sangue” per tutti, ci ammonisce il saggio Presidente della Repubblica. Anche la scuola deve fare la sua parte, aggiunge per le orecchie più distratte. Possiamo accettarlo (a malincuore, perché conosciamo bene le percentuali insufficienti che il nostro Paese dedica a ricerca, istruzione e formazione), ma lo si faccia con sobrietà e senso della misura. Non per puro spirito di rivincita nei confronti di una intera stagione pedagogica. Facciamoli, dunque, questi conti. Molte cifre sono esposte nelle tabelle allegate al Piano programmatico di cui alla legge 133/08. Anche se molti si stanno chiedendo quale sia la versione “valida” di quel Piano –indispensabile per passare ai Regolamenti – perché negli atti si continua a citare la prima versione del 4 settembre 2008, dimenticando che poi sono intervenute due ulteriori leggi (la 169 e la 189) e ben due pronunce (pareri) del Parlamento sul Piano programmatico, che ponevano consistenti “condizioni” al Governo, tanto è vero che sulla parte centrale del parere del Senato si ebbe l’astensione dell’opposizione. E’ stata vera insipienza politica del Ministro dell’Istruzione non aver saputo accogliere questa disponibilità, quando da tutte le parti si chiedono scelte condivise e nuove forme di collaborazione di fronte alle difficoltà del quadro economico. In altre parole, ci saremmo aspettati dal Ministro dichiarazioni più aperte, al plurale: “insieme abbiamo convenuto…di modificare taluni aspetti per costruire un consenso più ampio”, ed invece tetragono: “…non ho cambiato idea di un millimetro…”.
Ma teniamo pure fermi i vincoli di bilancio (gli ormai famosi 8 miliardi di risparmi sull’istruzione) e ricostruiamo i dettagli della manovra per la scuola elementare. Ormai è solo di essa che si parla. C’è una inaspettata (nessuno l’aveva richiesta) riduzione dell’orario scolastico a 24 ore settimanali, quando il 75% della scuola primaria è assestata tra le 30 e le 40 ore (per cui si è dovuto riaprire – a malincuore – la possibilità di scelta su ben 4 opzioni di orario, caso unico in Europa!); - viene eliminata la compresenza, come si sottolinea più volte nel Regolamento, ed è la prima volta che una norma si qualifica per le accezioni negative: il non-modulo, la non-compresenza. Ma bisogna pur sapere che la compresenza (meglio, la contemporaneità di due docenti, per qualche ora la settimana) è spesso l’unica risorsa per far fronte al disagio, alle difficoltà di apprendimento, alle molteplici esigenze di integrazione. E ancora, va segnalato che in molte regioni (del nord) con moduli funzionanti spesso su 5/6 giornate e con 2/3 rientri pomeridiani, la compresenza proprio non esiste… - viene suggerito l’aumento del numero medio, minimo e massimo degli allievi per classe (dello 0,40 nel triennio, ma di “1 o 2 unità” come si dice con approssimazione nella relazione tecnica presentata al Parlamento), creando difficoltà a tutti i livelli, nelle grandi periferie come nei piccoli centri… - si ripristina l’anticipo, nell’elementare e nella materna, qui senza nemmeno la gradualità prevista dalla riforma Moratti; e chi ha mai fatto una verifica seria degli effetti dell’anticipo? - scompaiono gli specialisti di inglese (tutti e i 12.000 posti assorbiti in tre anni, si scrive nell’allegato al Piano), surrogati da docenti preparati alla meno peggio con 150 di formazione “alla svelta”. Ma non dovevamo incentivare le lingue comunitarie e diventare una scuola più europea? - infine, si opera una pesante riduzione del personale ausiliario (di già, non sono forse più dei carabinieri?): ma allora, che attenzione ci potrà essere per i bisogni di cura, di sicurezza, di benessere per nostri piccoli (pensiamo, in particolare, ai bambini della scuola dell’infanzia)? E via di questo passo, infierendo nella carne viva della nostra scuola elementare. Non vorremmo che il rinvio della “riforma” della scuola superiore, così come il più tranquillo ripristino di orari, modelli organizzativi, organici nella scuola media inferiore, finisse con il penalizzare ulteriormente la scuola primaria.
Ammettiamo pure l’inderogabile urgenza di tutte le misure sopra ricordate (resta però sempre il beneficio della controprova, di vie alternative per raggiungere gli obiettivi di contenimento della spesa attraverso una puntuale e condivisa ricognizione delle aree di spreco, di improduttività, di sovrapposizione di interventi, e non solo nel campo dell’istruzione…). Detto questo, cioè dovendo subire misure coatte di riduzione della spesa, almeno si lasci alla scuola “attonita” la possibilità di organizzarsi nel migliore dei modi. Risulta a questo punto inconcepibile l’accanimento contro l’attuale organizzazione della scuola elementare (1/4 a tempo pieno, ¾ a “modulo” seppure con svariate interpretazioni: dal docente prevalente agli orari solo antimeridiani, dal team “classico” dei tre docenti all’articolazione in più rientri pomeridiani, dalle classi numerose ai micro-plessi). Ora, intervenire con la formula taumaturgica del “maestro unico”, ovunque e sempre, è una palese forzatura nei confronti della tanto elogiata autonomia che, in materia di organizzazione didattica affida ad ogni scuola il compito di definire le migliori condizioni dell’insegnamento (commi 1 e 4 dell’art. 5 del Dpr 275/1999) . Nella scuola elementare non esistono cattedre specialistiche, con l’eccezione della lingua straniera e dei docenti di sostegno. La docenza è “generalista”, nel senso che tutti i docenti sono abilitati ad insegnare tutte le discipline previste nel curricolo obbligatorio (oggi, quelle contenute nel DM 31-7-2007), potendo poi organizzare l’insegnamento in forma cooperativa (il team docente) per meglio valorizzare le competenze degli insegnanti (gli ambiti, le discipline), in una ottica di responsabilità condivisa (la contitolarità). In quasi vent’anni questo modello non ha funzionato? Ha prodotto più svantaggi che vantaggi? Se è così, si argomenti in merito, si citino ricerche, dati, riscontri, monitoraggi. Altrimenti resta solo la forzatura politica ed ideologica.
Non vogliamo però difendere l’indifendibile. Anche nella nostra scuola elementare ci sono punti deboli. E’ il tempo di farsi delle oneste domande: - la pluralità docente ha portato sempre ad una effettiva competenza di “didattica disciplinare” degli insegnanti? Forse no. Ma allora si propongano momenti seri di formazione, iniziale ed in servizio. Si sostengano la ricerca didattica e l’impegno di maestre e maestri, che nelle elementari non sono mai venuti meno; - non sempre i tempi “distesi” promessi si sono rivelati tali? Ricordiamo che la legge di riforma del 1990 proponeva un modello europeo, con una giornata educativa integrata anche mediante rientri e permanenze a scuola. Ciò non è avvenuto? Ma allora si attivino le risorse necessarie per arricchire le strutture, i servizi di supporto, gli ambienti di apprendimento e di vita a scuola; - si è manifestata una eccessiva frammentazione degli interventi, con il moltiplicarsi di specialismi e figure? Perché, allora, non interpretare correttamente il principio del team teaching, cioè di un gruppo (ristretto) di docenti responsabili di tutta l’attività didattica di un gruppo di allievi (sostegno e supplenze compreso), con stabilità e continuità di presenze; - mancano i punti di riferimento educativo? Perché non riprendere la questione “tutoriale” come funzione diffusa di ascolto e di aiuto, di coordinamento didattico di un’equipe docente, di adeguata attribuzione di tempi di presenza in classe? Ben altro dalla rozza imposizione di un unico insegnante “asso pigliatutto”, con il rischio di impoverire il quadro delle relazioni educative in una classe… - i livelli di apprendimento non sono adeguati? Ci sono fragilità latenti che poi si manifestano negli ultimi anni della scuola media? Manca una sufficiente attenzione verso le competenze di base (quelle che una volta si sarebbe chiamato il “leggere, scrivere, far di conto”)? Ma allora perché imbastire un’allarmistica campagna di opinione tutta giocata su carenze nei comportamenti e nella disciplina (voto in condotta, grembiule, figura “forte” del docente) piuttosto che sui livelli reali di apprendimento dei nostri ragazzi, da migliorare anche grazie ad un percorso di base coerente e unitario? Se questi sono i problemi veri che la scuola elementare deve affrontare (ma qualcuno si è premurato di esplicitarli?), allora perché non aprire un serrato e coraggioso confronto con la scuola “reale”, con i suoi insegnanti, con i genitori, anche andando oltre i riti ed i miti di questi anni (il tempo scuola, la pluralità, i “buoni programmi”, i buoni risultati), per interrogarsi a fondo sui compiti di una moderna scuola di base, con un occhio più rivolto all’Europa dei prossimi anni che non all’Italietta degli anni ’50?
Nonostante tutto, resta aperta la scommessa di una scuola elementare all’altezza della sua tradizione, impegnata ad offrire il meglio a tutti i ragazzi (“la scuola è aperta a tutti” ci ammonisce la Costituzione), nella duplice sfida dell’inclusione e dell’eccellenza. Con meno risorse, purtroppo. Con docenti, forse, meno motivati. Con rigidità organizzative impensabili fino a pochi mesi fa. Con un sottofondo di ostilità dell’opinione pubblica, artatamente promossa dai “poteri forti” (si pensi all’accanimento contro la compresenza…). Un contesto assai rischioso, capace di mettere a dura prova chi ancora intende impegnarsi per il buon funzionamento della scuola primaria. E bene farebbero i decisori politici ed i responsabili dell’amministrazione a rendersene conto in tempi utili. Intanto la scuola dell’autonomia ha qualche margine di manovra, seppure ristretto. Proviamo ad individuarli: a) attivare un rapporto aperto con i genitori, ai quali la normativa affida un ampio diritto di scelta sui modelli orari ed organizzativi, ed ai quali va proposto il progetto migliore in ogni contesto, superando pigrizie e convenienze, per trasformare gli utenti nei migliori alleati per i prossimi mesi; b) utilizzare fino in fondo gli spazi giuridici contenuti nel regolamento sull’autonomia, per delineare le caratteristiche dell’organizzazione dell’insegnamento. Nell’ambito delle risorse assegnate, si può continuare a praticare la pluralità docente, certamente come modello innovativo, da deliberare a cura degli organi collegiali competenti, con ampia facoltà di documentare e comparare risultati e rendimento degli allievi, con espliciti impegni di formazione e ricerca per i docenti innovatori. Insomma, ci potrebbe essere una nuova stagione della pluralità docente come scelta consapevole, dopo “la pluralità” docente vissuta (per troppi anni) come routine; c) operare in una ottica di organico di istituto (se vogliamo, di comunità professionale), ove mettere a frutto tutte le risorse disponibili: insegnanti di base, specialisti, docenti di sostegno, figure intermedie. La capacità della scuola di gestirsi come una unità organizzativa pensante farà la differenza. Molto si chiede a dirigenti “capitani coraggiosi”: tra il subire il grigiore imposto dalle norme impersonali o invece interpretare una funzione di guida autorevole della propria comunità, soprattutto nei momenti più difficili; d) lavorare a fondo sui nuovi curricoli (la conferma triennale delle Indicazioni del 2007, checchè si scriva nel Regolamento, appare come il dato più confortante dell’attuale situazione), come materiali utili a non tradire la storia di questi anni della scuola elementare (ricordiamoci di concetti quali ambiente di apprendimento, alfabetizzazione di base, didattica laboratoriale, cura educativa, ecc.), anzi come stimolo a re-investire sul valore formativo delle discipline e sul rinnovamento delle relative didattiche.
1 - Art. 5 – Dpr 275/1999, Comma 1: “Le istituzioni scolastiche adottano, anche per quanto riguarda l'impiego dei docenti, ogni modalità organizzativa che sia espressione di libertà progettuale e sia coerente con gli obiettivi generali e specifici di ciascun tipo e indirizzo di studio, curando la promozione e il sostegno dei processi innovativi e il miglioramento dell'offerta formativa.” Comma 2: “In ciascuna istituzione scolastica le modalità di impiego dei docenti possono essere diversificate nelle varie classi e sezioni in funzione delle eventuali differenziazioni nelle scelte metodologiche ed organizzative adottate nel piano dell'offerta formativa.”
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