P a v o n e R i s o r s e

Caronte, l'Onda
e la "maggioranza silenziosa"

Marina Boscaino da Pavone Risorse, 21.12.2008

Un tempo era solo campagna: una distesa sconfinata di verde incolto, che si stendeva a vista d’occhio; la Cristoforo Colombo, la grande strada che da Roma porta verso il mare di Ostia, e poi solo verde. Nel 1984 - bei tempi - era stata organizzata lì la Festa Nazionale de “L’Unità”. Ora curiosi autobus bianchi, grandi, vistosi e dalla forma rotondeggiante, con il logo di uno dei centri commerciali più grandi d’Italia, fanno la spola da chissà dove per raggiungere il nuovo luogo di culto, sorto in quella zona un tempo verde. Traghettano, moderni Caronti, centinaia di persone ogni tot di minuti, da un capolinea a quella enorme costruzione che rinchiude un universo consumistico, contenente un numero imprecisato di ristoranti, per rifocillarsi tra un acquisto e l’altro. Per orientarsi nello spazio sconfinato, delle “guide” che raggruppano i negozi per piani e categorie merceologiche. Questa è la realtà in cui vivono i miei figli, i loro coetanei e i miei studenti. Bersagliati dall’enorme logo su tre lati dei grandi autobus bianco.

La realtà in cui vivono è quella che indica loro carriere e successi professionali improbabili e (apparentemente) immotivati; in cui assistono al fatto che un’ex velina, le cui foto desnude popolano il web, sia addirituttura ministro delle Pari Opportunità, contravvenendo a qualsiasi forma di buon senso, se non di sobrietà e di rispetto per le istituzioni; o che un’impudica bresciana che parla di serietà dopo essere emigrata in Calabria per conseguire il titolo di avvocato, esercita in maniera eterodiretta la funzione di ministro dell’Università e della Pubblica Istruzione, smantellando – per pari opportunità, evidentemente – scuola e università.

Sono preoccupata per mia figlia, per i messaggi che le arrivano da questo mondo; e affaticata da una maternità che - oggi più che mai - deve inglobare valori e funzioni aggiunte; assumersi il rischio dell’impopolarità di incarnare esempi demodé e impegnativi. Sono preoccupata per i miei alunni e da una funzione di insegnante che, pure, deve contrastare la spinta centrifuga al consumo acritico, alla logica dell’approssimazione; la celebrazione del successo immeritato.

Agitare spettri del passato e mortificare intelligenze, studio, ricerca di dimensione politica nel senso etimologico del termine è l’opera principale del governo della “maggioranza silenziosa”. L’ormai onnipresente e sentenzioso Gaetano Quagliarello ha affermato con sicurezza: “Tanti giovani sono la maggioranza silenziosa del Paese e pensano che per il loro futuro sia proficuo seguire corsi, dare esami (…). Non hanno alle spalle i mass media e il clamore degli slogan di piazza…''.

In queste settimane – prima del colpo di mano dei regolamenti a ridosso della chiusura delle scuole – ho partecipato a moltissime assemblee pomeridiane. La maggioranza silenziosa sono quelli che non ci sono e – se ci sono – stanno, appunto, zitti. Perché non studiano, non si informano, non hanno idee; seguono il “pensiero comune”. Ho visto spesso, invece, ragazzi interessatissimi, consapevoli, silenziosi perché tesi ad imparare, a comprendere. Ragazzi che per la prima volta si sono sentiti protagonisti in una scuola che - per la prima volta, nella loro esperienza - si è trasformata da luogo di trasmissione spesso meccanica a luogo di elaborazione. Le lezioni nel mio liceo non sono quasi mai state interrotte: eppure la legge Gelmini, i provvedimenti di Tremonti e il disegno di legge Aprea li conosciamo alla virgola. Abbiamo partecipato dietro un unico striscione – insegnanti, studenti, Ata e genitori – alla manifestazione del 30 ottobre. Ci siamo interrogati sulle strategie da adottare, sul senso di una resistenza che non ha trovato una sponda consistente nei partiti politici, in crisi di idee e di capacità elaborativa. E responsabili della ventata di anti-politica che ne ha fatto rifiutare qualunque intromissione dagli stessi movimenti. Ma abbiamo anche riflettuto, insieme, - con le cautele e il rispetto dovuti ad una generazione con storia, cultura e scenari alle spalle completamente differenti dai nostri - sul fatto che dire che destra e sinistra sono la stessa cosa può avere la spiacevole conseguenza di ritrovarsi improvvisamente nella guerriglia urbana di Piazza Navona.

Il miracolo laico di una società civile che si risveglia, di ragazzi - addestrati dalla scatola magica alla scommessa della scatola piena di danaro, alla logica del tronista, al culto anoressico del ventre piatto e delle tette che sfidano la gravità – è qualcosa che va incoraggiato, supportato. È per questo che da gennaio, soprattutto dopo l’imposizione autoritaria di regolamenti governativi che sottraggono definitivamente la materia al Parlamento e l’insidia incombente del ddl Aprea, bisogna attivarsi affinché l’Onda non si stemperi definitivamente. Continuando a studiare, ad impegnarsi insieme. Ad usare – noi docenti, noi genitori - gli strumenti che abbiamo a disposizione per aiutare i nostri ragazzi a capire, ancora di più, che la scuola è un bene di tutti. A comprendere il significato profondo degli articoli 3, 33 e 34 della Costituzione della Repubblica.

Capisco: dà fastidio, fa paura. Ma in fondo stiamo già applicando l’insegnamento di “Cittadinanza e Costituzione”: i nostri alunni sanno oggi cosa vuol dire decreto legge. E che una cosiddetta “riforma della scuola” non ha i requisiti straordinari di “necessità e urgenza”. Il taglio di 8 miliardi di euro in Finanziaria certamente sì.